lunedì 30 novembre 2009

USA: QUELLI CHE SOGNANO LA MUTUA

Da un articolo apparso su IO DONNA del Corriere della Sera:

La riforma del sistema sanitario americano è considerata essere la prima vera cartina tornasole per l'amministrazione di Barack Obama. Nella battaglia politica per estendere a tutti i cittadini l'assistenza sanitaria si giocherà l'immagine del nuovo presidente. Se all'inizio del prossimo anno la riforma non fosse ancora passata, infatti, i Democratici temono il giudizio degli elettori alle votazioni di mid-term del 2010, con cui si rinnoverà una parte del Congresso.
La mancanza di copertura assicurativa oggi condiziona la vita a circa 46 milioni di americani. Sono andato a scoprire cosa può significare avere un problema di salute quando si vive in uno dei paesi più ricchi e avanzati del mondo.

Per gran parte della sua vita, Steve Trimboli ha avuto un'assicurazione sanitaria pagata dai suoi datori di lavoro. Quattro anni fa, a xx anni, decide di mettersi in proprio aprendo un locale a Brooklyn.
“Ci ho messo un paio d'anni per cominciare a far girare gli affari. Nel frattempo, mi sono trovato in un limbo: non potevo beneficiare del programma di aiuto statale per redditi bassi ma neanche permettermi un'assicurazione privata”.
In quel periodo, a Steve viene diagnosticato un cancro alle tonsille.
“Il mio dottore mi suggerì di andare al Bellevue Hospital di New York, uno dei pochi che accetta pazienti senza assicurazione a prezzi scontati e con formule di rateizzazione delle parcelle”.
Steve è stato operato ed è guarito, ma oggi sta ancora ripagando il debito con l'ospedale.
“Per un anno sono dovuto andare in ospedale otto volte al mese. Pagavo le visite in contanti e vivevo accumulando debiti sulle carte di credito”.
Ora il locale di Steve si è fatto un certo nome, ma lui non può ugualmente permettersi un'assicurazione medica.
“Avendo già sofferto di un tumore, le assicurazioni mi chiedono premi di oltre 1000 dollari al mese. Sono stato fortunato, ma ho capito che, a volte, in questo paese è meglio essere povero: magari fai fatica a mangiare, ma se stai male si prendono cura di te”.

Sean Khozin fa il medico di base a Brooklyn e delle assicurazioni che gestiscono il sistema sanitario ne ha fin sopra i capelli.
“Il sistema è inefficiente, ma questa riforma rischia di non migliorare le cose”, dice il medico 37enne.
Fino a tre anni fa, la burocrazia imposta dalle assicurazioni lo costringeva a perdere tempo prezioso e investire il 30% dei suoi introiti per riscuotere le parcelle dei suoi pazienti.
Così ha deciso di uscire dal sistema, accettando solo pazienti solventi.
“Ora posso permettermi di visitare meno malati, dedicando più tempo ad ognuno e abbassando i prezzi”.
Oltre a preservare il ruolo delle assicurazioni, la riforma sembra trascurare un altro problema con cui i medici come Sean si trovano a combattere ogni giorno.
“Per difendermi dalle cause legali che vengono continuamente intentate contro noi medici per qualsiasi pretesto, sono costretto a pagare premi assicurativi altissimi e a tutelarmi prescrivendo esami spesso inutili che gravano sui conti della sanità”.
La pratica è chiamata medicina difensiva, e si stima che ogni anno pesi circa per due miliardi di dollari sui bilanci della sanità americana.
Anche uno dei capisaldi della riforma, l'estensione a tutti i cittadini della copertura assicurativa, lascia Sean piuttosto scettico.
“Creare una copertura universale non significa necessariamente garantire a tutti accesso alle cure di cui hanno bisogno. I medici come me sono già oberati di lavoro e se non si migliora l'assistenza di base, si rischia di intasare il sistema”.

Enrico Nodari ha sposato una ragazza americana e vive a New York dal 2004. Poco dopo essere arrivato, quando ancora cercava lavoro ed era senza assicurazione, ha sperimentato sulla sua pelle il funzionamento del sistema sanitario americano.
“Mi sono sentito male all'improvviso. Ero bloccato in macchina nel traffico, mi mancava l'aria. Sono uscito dall'auto e sono collassato a terra”, ricorda Enrico, 32enne laureato a Roma che oggi gestisce società di servizi via internet.
Dopo un ricovero d'urgenza, vari esami e quattro giorni d'ospedale, Enrico viene dimesso con una diagnosi di intossicazione alimentare aggravata da un attacco di panico, di cui non aveva mai sofferto in vita sua.
Le brutte sorprese, però, non sono ancora finite.
“Dopo circa un mese è arrivato a casa un conto dell'ospedale da 22.000 dollari. Non li avevo. Ero disperato e non sapevo che fare”.
Alla fine Enrico è riuscito a farsi accettare dal programma di aiuti Medicaid per soggetti con reddito sotto i 10.000 dollari e il suo conto è stato saldato dal governo americano.
“Ma se avessi avuto un lavoro, anche mal retribuito, avrei dovuto pagare”.
Oggi Enrico ha un'assicurazione sanitaria che funziona bene, ma copre solo lui.
“Per adesso non posso permettermi di avere dei figli perché il premio assicurativo diventerebbe troppo alto”.

Lynn Sher è attrice, ha 31 anni e non possiede assicurazione sanitaria da quando ha finito l'università.
“Sarebbe bello avere una copertura ma non posso permettermi di pagarla”, dice.
Lynn è attrice e musicista e rientra in quella categoria tagliata fuori dal sistema di assistenza sanitaria: guadagna troppo per poter accedere al programma Medicaid, ma poco per avere una polizza da privata, che costa mediamente 3/400 dollari al mese.
“Sapendo come muovermi fino ad ora sono sempre riuscita a trovare qualche clinica disposta a vistarmi gratuitamente”.
A Philadelphia, dove è nata, Lynn ha trovato un dentista che fa pagare una tariffa minima, e a volte è riuscita addirittura ad ottenere delle medicine scrivendo direttamente alle case farmaceutiche.
Rimangono però escluse tutte le cure considerate non essenziali.
“Mi piacerebbe poter fare un esame della vista e farmi vedere da un podologo, ma sono lussi che per ora non posso affrontare”.
Lynn è ottimista e cerca di non pensare al caso in cui dovesse affrontare una vera emergenza.
“Non voglio dover fare un lavoro che non mi piace solo per poter pagare un'assicurazione. E se dovesse succedermi qualcosa, troverò una soluzione. Magari andando in Canada”.

Cheri Barnes zoppica visibilmente mentre esce da una clinica di New York che cura pazienti senza copertura sanitaria. Lei una polizza ce l'ha, grazie al suo impiego di segretaria presso un centro di assistenza per senza tetto. La sua assicurazione, però, si rifiuta di pagare la risonanza magnetica che l'ortopedico le ha prescritto e Cherie si trova in un vicolo cieco.
“Senza quell'esame il medico ha detto che è impossibile stabilire con certezza la causa del dolore. Io faccio fatica a camminare, ma in questo momento non posso permettermi di sborsare 2500 dollari”.
Il problema al ginocchio è cominciato all'inizio dell'estate, quando Cheri è caduta mentre andava al lavoro.
“All'inizio non riuscivo a muovermi, ma dalle lastre è risultata solo una torsione al menisco e nulla di rotto. Due mesi dopo, però, il dolore ha ricominciato a tormentarmi senza un motivo apparente”.
Cheri è tornata dall'ortopedico che, per avere un quadro più completo della situazione, le ha chiesto di fare una risonanza. Ma l'assicurazione ha rifiutato per ben due volte di autorizzare il pagamento, e la clinica, che cura esclusivamente pazienti non assicurati, non può aiutarla perché lei risulta avere una polizza.
“In passato l'assicurazione mi aveva già coperto questo tipo di esami. Non capisco perché stavolta rifiuti di farlo nonostante il parare del medico”.

Michele Lees soffre di depressione e, oltre ad essere in cura con uno psicoterapista, è costretta a prendere una dose giornaliera di psicofarmaci.
“Senza le medicine tendo ha sviluppare un istinto suicida. Per tanto tempo, però, non ho avuto un'assicurazione e ho dovuto arrangiarmi da sola per trovare i farmaci”.
Michelle ha 33 anni e fa la ballerina professionista a New York. Per arrotondare lo stipendio, fino all'anno scorso era costretta a lavorare in nero come cameriera e non poteva permettersi un'assicurazione privata.
“Dopo aver chiamato tutte le cliniche psichiatriche della città, sono riuscita a trovarne una disposta a pagare per i farmaci di cui avevo bisogno. Ci vuole molta determinazione e un poco di fortuna, ma in questo paese si può vivere anche senza assicurazione”.
Oggi Michelle continua a ballare insegnando danza ai bambini e la sua scuola le garantisce una copertura medica adeguata. Ma il problema potrebbe ripresentarsi appena decidesse di cambiare lavoro.
“Mio marito sta prendendo in considerazione di trasferirsi da New York. Se lo seguissi dovrei tornare ad arrangiarmi per pagare farmaci e terapia, ma la cosa non mi spaventa: l'ho già fatto in passato e so di poterlo tonare a fare in futuro”.

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