Foto di Nanni Fontana |
Il virologo americano che scoprì il virus, ha creato un network a livello mondiale. Per condividere scoperte e far avanzare le ricerche.
La popolazione mondiale è divisa equamente
fra generi, ma se si considerano le statistiche dei malati di Aids, si potrebbe
credere che le donne siano ben più numerose degli uomini. Il virus, che
teoricamente non discrimina, continua infatti a colpire il genere femminile più
di quello maschile. Nell’Africa sub-sahariana, la zona più flagellata dalla
malattia, le donne rappresentano quasi il 60% dei sieropositivi. Una volta
infette, inoltre, tendono a subire più abusi rispetto ai maschi. Secondo uno
studio di UNAIDS, lo stigma della malattia cambia secondo il sesso di chi la
contrae.
Gli squilibri cultuali e socio-economici
fra generi, che in maniera più o meno velata esistono ancora ovunque, sono alla
base di questa sproporzione nell’incidenza del virus: le condizioni di
svantaggio riducono spesso la possibilità femminile di negoziare il modo in cui
viene praticato il sesso o in cui è possibile proteggersi dall’HIV. Inoltre,
limitano l’accesso alle informazioni riguardanti le malattie sessuali e ai
servizi di prevenzione.