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sabato 11 giugno 2016

Christo - The Floating Piers

Photo: Wolfgang Volz
“In over fifty years of activity, Jeanne-Claude and I have realized only 22 of the 59 works that we conceived, owing to the difficulty of obtaining permits. While we have lost interest in some of the unfinished projects, there are others we still care deeply about: The Floating Piers is one of these.” More than six years have passed since his wife’s death, but Christo, whose full name is Christo Vladimirov Yavachev, speaks as if she were still at his side. At the end of 2009, Jeanne-Claude was carried off suddenly by a brain aneurysm, interrupting a long human and professional partnership. But Christo has not given up and has continued to fight to realize the works they conceived together. The last of which will be unveiled on June 18 at Lake Iseo. The Floating Piers is a system of walkways that will embrace the island of San Paolo and part of that of Montisola, uniting them to the mainland (the route begins from the town of Sulzano). A path running just above the surface of the water for more than three kilometers that will be open to the public day and night for three weeks and temporarily change the lake’s appearance. Continue reading on Klat

martedì 9 febbraio 2016

Visions of Yoors - Arazzi d'artista

Gli arazzi dell'artista belga Jan Yoors sono la sintesi tra la cultura classica europea e le pratiche artistiche del Novecento


La ventennale storia degli atelier dell’artista Jan Yoors è una perfetta metafora dello sviluppo di Manhattan nel secondo dopoguerra. L’artista belga sbarca a New York nel 1950 dopo anni di peripezie che, durante la guerra, lo vedono lavorare per la Resistenza e internato in vari campi di concentramento.
“Jan rimane affascinato dalla prosperità degli Stati Uniti e decide subito di restare”, ricorda il figlio Kore, terzo genito dell’artista fiammingo scomparso nel 1977.
Al termine del conflitto, Yoors non ha più radici nella Vecchia Europa ed è pronto a ricominciare da capo. Si trasferisce a New York insieme alle due donne con cui già convive e che negli States gli daranno tre figli e diventeranno strette collaboratrici sul lavoro.

lunedì 8 giugno 2015

Venezia, Spazio Louis-Vuitton: Hayez-Schulz, il classico dialoga col contemporaneo

Le opere di Schulz nel suo studio
Non più solo installazioni multimediali: da qualche anno l’artista tedesco Tilo Schulz dipinge opere non figurative con segni dinamici, solchi e strappi che creano contenuti dai significati diversi. L’artista 43enne, originario di Lipsia, la chiama pittura metaforica perché i quadri astratti raccontano delle irregolarità e degli splendori che formano il nostro mondo. Così, quando la fondazione Louis Vuitton gli ha chiesto di realizzare un’opera che dialogasse con una serie di dipinti di Francesco Hayez (1791-1882) – appena restaurati ed esposti presso l’Espace Louis Vuitton di Venezia durante la 56esima Biennale – Schulz non si è fattosfuggire l’opportunità.

giovedì 19 febbraio 2015

Lo strano mercato dell'arte contemporanea

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Miss ko2 dell'artista Takashi Murakami
E' uno dei più opaci al mondo. Tutti lo seguono ma nessuno ne comprende veramente i meccanismi. E solo in pochi ci guadagnano. L’economista Don Thompson analizza il mercato dell'arte contemporanea, spiegando perché oggi i prezzi siano arrivati a contare più delle opere stesse.

Nel 1997 l’artista giapponese Takashi Murakami crea un’opera intitolata Miss Ko2. E’ una scultura di una cameriera in minigonna dai grandi occhi azzurri e i seni prorompenti, alta un metro e ottanta, in fibra di vetro, ispirata alla cultura dei manga e degli anime. Il lavoro è prodotto in quattro esemplari e viene inizialmente venduto per 19.500 dollari. Sei anni dopo, Miss Ko2 è battuta all’asta nella sede newyorkese di Christie’s per 567.000 dollari. E nel 2010 è rivenduta durante un’asta di Phillips de Pury per 6,8 milioni di dollari al collezionista di origini israeliane Jose Mugrabi.

lunedì 26 maggio 2014

Aleph Sactuary, il tempio dell'arte psichedelica

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Klarwein and his daughter inside the Aleph
Photo by Caterine Milinaire


“Sono il più famoso fra gli artisti sconosciuti”, ripeteva spesso ironico Mati Klarwein. I quadri del pittore tedesco scomparso nel 2002 sono apparsi sulle copertine di alcuni degli album più venduti degli anni Settanta: Abraxas di Carlos Santana, Bitches Brew di Miles Davis e Last Days and Time degli Earth, Wind&Fire. Gente come Jimi Hendrix, Jackie Kennedy e Brigitte Bardot erano suoi ammiratori. Ma fra il grande pubblico il suo nome resta quasi sconosciuto. Così come il suo capolavoro più rappresentativo, l’Aleph Sanctuary, una stanza con pareti e soffitto composti da 68 quadri fatti dal pittore nel corso di 10 anni.
Klarwein nasce ad Amburgo nel 1932 da padre ebreo polacco e madre cattolica tedesca. Con l’avvento delle leggi razziali naziste si trasferisce a Gerusalemme, ma poco dopo lo scoppio del conflitto arabo-israeliano, rientra in Europa per studiare all’Accademia delle Belle Arti di Parigi e poi con Fernand Léger. Questa formazione classica gli permette di cominciare a lavorare come ritrattista. Ma è l’incontro con il pittore austriaco Ernst Fuchs, che lo introduce al surrealismo di Dalì e Buñuel, a incendiare la creatività di Klarwein.

lunedì 5 maggio 2014

Rinus Van de Velde, artista impersonatore

Foto Pablo Arroyo
A giudicare dai suoi quadri, l’artista belga Rinus Van de Velde vive una vita intensa e ricca di avventure. Un giorno è il campione di scacchi Bobby Fischer alla vigilia della vittoria per il titolo mondiale. Un altro è nei panni dello scienziato illuminista Isaac Newton mentre compie esperimenti usando il suo corpo come cavia. Poi è un tennista professionista o il miglior amico del poeta russo Vladimir Majakovskij. Nella realtà, la vita dell’artista trentenne ricorda più quella dello scrittore Jules Verne, famoso per aver scritto i suoi romanzi di viaggio senza mai essersi mosso dal suo appartamento di Parigi.
“L’esistenza fra le quattro mura bianche del mio studio di Anversa è piuttosto noiosa e ripetitiva”, ammette Van De Velde al telefono dalla città fiamminga. “Attraverso i miei quadri mi diverto a immaginare cosa avrei potuto fare se non fossi un artista”.
Per creare i grandi disegni a carboncino che l’hanno reso famoso, Van de Velde ha cominciato ispirandosi a immagini recuperate in vecchie riviste, creando una sorta di autobiografia della vita che non ha mai vissuto.

giovedì 13 marzo 2014

Nan Goldin: "La mia vita sotto scatto"

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Courtesy Nan Goldin
Teschi di cartapesta, animali imbalsamati e una pericolosa attrazione per sesso e droghe. Siamo entrati a casa di Nan Goldin, una delle fotografe più controverse, che ha trasformato le sue esperienze in opere d'arte. 

Prima d’incontrare Nan Goldin ho la strana sensazione di conoscerla pur non avendola mai vista. D’altronde, osservare il lavoro della fotografa americana significa diventare partecipi degli aspetti più viscerali della sua vita: dal suicidio della sorella maggiore, passando per gli anni di tossicodipendenza, gli abusi da parte degli amanti e la perdita di tanti amici per overdose o Aids. Tutte esperienze che Goldin ha registrato con l’obiettivo della sua macchina fotografica a partire dagli anni Settanta. Così, quando ci ritroviamo faccia a faccia nel salotto della sua casa di Manhattan, risulta subito facile stabilire una connessione, anche se Goldin sta attraversando un momento stressante. Tra pochi giorni inaugurerà una mostra a Roma e dovrà traslocare a Brooklyn.

martedì 19 novembre 2013

Il nuovo Whitney Musuem di Renzo Piano

Granito ed elitismo contro vetro e integrazione. Le differenze fra gli stili architettonici della vecchia sede del Whitney Museum e quella nuova che sta sorgendo nel Meatpacking District non potrebbero essere più evidenti. Con poche finestre e pareti di pietra, l’edificio modernista disegnato da Marcel Breuer negli anni Sessanta sembra fatto apposta per mantenere una certa distanza fra il pubblico e l’arte custodita al suo interno. Al contrario, la nuova sede del museo firmata da Renzo Piano, che aprirà nel 2015, è pensata per essere trasparente e accessibile.
“E’ lo stesso tema affrontato più di quarant’anni fa con il progetto del Pompidou di Parigi”, dice Piano durante una visita al cantiere della nuova sede. “Aprire a tutti la cultura con la C minuscola”.
Il Whitney Museum è specializzato in arte americana moderna e contemporanea e possiede una delle più grandi collezioni del paese. Ma gli spazi ridotti dell’edificio di Breuer nell’Upper East Side costringono il museo a tenere la maggior parte delle opere in depositi.

mercoledì 16 ottobre 2013

Gordon Matta-Clark: the Italian Grand Tour


Photo by Gordon Matta-Clark
Da sempre l’Italia attira intellettuali in cerca d’ispirazione, curiosi di studiare le radici della civiltà occidentale. Ma per un breve periodo a cavallo fra gli anni Sessanta e Settanta, la tradizione del Grand Tour italiano ha attirato anche avanguardie dell’arte mondiale in cerca di un pubblico pronto ad apprezzarle. Inizialmente, gli esponenti dell’arte concettuale e minimalista americana faticavano ad avere riconoscimento in patria e, appena potevano, venivano in Europa per trovare galleristi e collezionisti disposti a finanziarli. Fra questi artisti c’era Gordon Matta-Clark, “anarchitetto” diventato famoso per i suoi lavori in edifici in demolizione, su cui interveniva inventando forme nuove con flessibili, seghe e scalpelli.

mercoledì 10 luglio 2013

Danh Vo, artista che gioca con fonti e paternità

Photo by Heinz Peter Knes
Danh Vo ha una biografia particolare a cui fa spesso riferimento nei suoi lavori. L’artista aveva quattro anni quando nel 1979 la sua famiglia tentò di scappare dal Vietnam per gli Usa a bordo di un’imbarcazione di fortuna. La fuga si concluse con l’intervento di una nave danese, che li ritrovò nell’oceano Pacifico e li accolse come rifugiati politici, offrendogli la possibilità di trasferirsi invece a Copenaghen. Quest’esperienza ha segnato il lavoro Vo, che spesso coinvolge anche altri autori nella produzione delle sue opere.
“Mi piace includere riferimenti autobiografici e reinterpretare il lavoro di altri, giocando col concetto di fonte e di paternità”, dice l’artista trentottenne.
Due anni fa, ad esempio, ha chiesto ad artigiani cinesi di riprodurre una copia in bronzo della Statua della Libertà a grandezza naturale per poi spargerne diversi pezzi in giro per il mondo: i capelli della statua sono finiti all’Art Institute di Chicago, la pelle al New Museum di New York e le dita dei piedi al Kunsthalle Fridericianum di Kassel.

mercoledì 26 giugno 2013

Chi porta l'arte fuori dai musei

Cecilia Alemani non ha cominciato la sua carriera di curatrice con la missione di portare l’arte fuori da musei e gallerie. Da quando, però, è diventata responsabile del programma artistico della High Line, famoso parco sopraelevato di Manhattan, e dei progetti speciali di Frieze New York, la curatrice milanese si è trovata di colpo ad essere una delle committenti d’arte pubblica più potenti della Grande Mela.
“Portare la creatività fuori dai luoghi tradizionali, aprendo l’arte a un pubblico eterogeneo è un esercizio affascinante”, dice Alemani. “E sentire gente comune che discute un’opera è gratificante quanto ricevere critiche positive dagli addetti ai lavori”.

venerdì 24 maggio 2013

Camille Henrot, artista tuttologa per Biennale enciclopedica


Camille Henrot non si spaventa certo davanti ai progetti ambiziosi. Per il suo debutto alla Biennale di Venezia, l’artista francese ha scelto di creare un video che racconta la storia delle origini dell’universo attraverso miti e leggende di tutte le culture del mondo.
“Quello che un artista può apportare è una distanza, anche un certo dilettantismo, capace di generare una prospettiva ampia e legare fra loro le materie più disparate”, dice la film-maker e scultrice parigina dal suo atelier di New York.
Henrot ha sempre espresso un certo interesse per l’antropologia. In passato, ha creato video e installazioni fatte di materiale recuperato per strada o su internet che indagavano temi tratti da culture diverse.

venerdì 26 aprile 2013

Riapre il paradiso della Minimal Art a New York

Foto Andrea Steele
A SoHo, la casa-studio di Donald Judd riapre al pubblico. Dove tutto è rimasto come se fosse ancora abitata dallo scultore


Il palazzo è uno dei più belli del quartiere di Soho, ma per oltre un decennio è rimasto nascosto dalle impalcature che coprivano la facciata con le grandi finestre incorniciate dalle colonne in ghisa. Ora l’attesa è finita e, dopo un lungo processo di ristrutturazione, lo studio-abitazione dello scultore Donald Judd sta per aprire le porte al pubblico. I trabattelli sono già scomparsi e a Giugno sarà accessibile anche lo spazio che l’esponente della minimal art aveva riempito con opere sue e di suoi contemporanei come Dan Flavin, Carl Andre, Claes Oldenburg e Frank Stella.
Alla sua morte nel 1994, l’artista americano ha voluto che l’ex fabbrica, acquistata quando SoHo era un ghetto semiabbandonato, aprisse al pubblico. Con la condizione, però, che gli interni rimanessero invariati. Judd era famoso per creare volumi con materiali industriali come l’alluminio e il plexiglass. Ma la sua ricerca si estendeva anche al rapporto fra le opere e lo spazio circostante.

martedì 1 gennaio 2013

Così rivive il capolavoro rotto


Che ne è di un'opera d'arte danneggiata e rifiutata dal mercato? Viene spogliata del suo valore e finisce in un magazzino. Una mostra a New York resuscita questi zombie d'autore

La mostra è ospitata in una villa in stile vittoriano nel mezzo del campus della Columbia University di New York, ma l’allestimento fa pensare a un obitorio: muri bianchi, ambiente asettico e opere sdraiate su carrelli come fossero cadaveri. D’altronde l’esposizione riunisce pezzi d’arte contemporanea paragonabili a zombie: sculture, quadri e fotografie d’artisti famosi intrappolati in un limbo fra la vita e la morte.

lunedì 19 novembre 2012

Rachel Feistein, l'artista con la saldatrice

Photo by Steve Pyke
Per la prima volta la scultrice americana espone a Roma nella galleria di Larry Gagosian. Insieme con il pittore John Currin forma una delle coppie più potenti dell’arte contemporanea americana.

Alla vigilia delle sue mostre, va spesso storto qualcosa. A pochi giorni dall’inaugurazione della prima personale a Roma, Rachel Feinstein si aggira nel suo atelier di New York avvolta in una grande coperta bianca. L’uragano Sandy è appena passato, lasciando la scultrice senza luce né riscaldamento e forzandola a lavorare al freddo sotto la pallida luce del sole autunnale. Feinstein, che insieme al pittore John Currin forma una delle coppie più potenti dell’arte contemporanea americana, ha un’aria elegante anche imbacuccata in una trapunta. Non si fatica a capire perché, oltre ad essere una scultrice affermata, sia considerata anche una musa da firme della moda come Marc Jacobs e Tom Ford, con cui ha collaborato sia come modella che come creativa.

lunedì 25 giugno 2012

Lara Favaretto al MoMA PS1


Foto Moma PS1
Coriandoli, cemento, spazzole da autolavaggio. Per realizzare le sue installazioni, l’artista trevisana Lara Favaretto utilizza i materiali più disparati. E il P.S.1 di New York non le ha certo posto limiti per allestire la sua mostra. Al punto da lasciarla libera di riaprire una finestra murata. Riempire di terra una stanza. E guidare una moto dentro al museo. D’altronde, l’artista qui si sente a casa. Dieci anni fa aveva partecipato a un programma per giovani emergenti organizzato da questa succursale del Moma. E oggi è tornata ad occuparne le sale con una panoramica personale che mette in mostra i suoi lavori più significativi.

mercoledì 6 giugno 2012

TheFairGoer: arte a portata di click

Foto Valentina Angeloni
Un gruppo d’architetti italiani ha creato il sito TheFairGoer per visitare virtualmente le fiere d’arte contemporanea

Il mercato dell’arte cresce a velocità impressionante anche in tempi di crisi, con decine di fiere che ogni anno aprono i battenti in giro per il mondo. Seguirle tutte di persona è diventato quasi impossibile, a meno di non sfruttare la tecnologia virtuale. Per questo un gruppo d’architetti italiani trapiantati a New York ha creato un sito per visitare le fiere d’arte contemporanea attraverso lo schermo di un computer. La piattaforma, chiamata theFairgoer, mostra le opere online e permette di contattare le gallerie. Consente di raccogliere informazioni sugli artisti, i loro lavori e i prezzi a cui vengono venduti, come se si stesse passeggiando fra i padiglioni dell’esposizione.
“Quest’anno in un solo mese qui a New York si sono tenute contemporaneamente una dozzina di fiere d’arte”, dice Chiara Faliva, che ha creato theFairgoer insieme ad altri due soci nell’ottobre 2011. “A meno di non avere tempo illimitato e il dono dell’ubiquità, è difficile stare dietro a tutte”.

giovedì 31 maggio 2012

Tom Sachs in gita su Marte

Space Program: Mars, foto di Genevieve Hanson
L’odore di popcorn che ti accoglie entrando nell’immensa sala che ospita l’ultima installazione
dell’artista americano Tom Sachs a New York ti mette dell’umore giusto. Lo scultore ha riempito la hall di modellini spaziali, trasformando questa ex accademia militare in un teatro di posa dove va in scena una missione alla conquista di Marte. C’è tutto quel che occorre per creare la grande illusione, dalla rampa di lancio del missile alla sala controllo, con decine di schermi che proiettano le immagini di ciò che avviene durante le fasi dell’operazione. Sachs ha ricreato con il suo tipico stile bricolage, fatto di viti, compensato e sbavature, gli elementi della missione spaziale in scala reale: la navicella per sbarcare su Marte, il veicolo per esplorarla, le tute degli astronauti, i moduli per abitare sul pianeta. E quando non è stato possibile rispettare le dimensioni originali, come nel caso del missile, ha costruito modellini fedeli.

giovedì 19 aprile 2012

Lothar Osterburg, the print-maker version's


Un vecchio proverbio dei paesi anglofoni dice: “One man’s trash is another man’s tresure”, cioè quello che per qualcuno è spazzatura, per altri è un tesoro. Da quando si è trasferito a New York, l’artista tedesco Lothar Osterburg sembra aver fatto di questo detto il suo motto, raccogliendo materiale di scarto che accumula nel suo studio per creare le sculture e le scenografie alla base delle sue opere.
“Il laboratorio è pieno di roba in attesa di essere riciclata”, dice Osterburg rovistando fra scaffali traboccanti di oggetti trovati per strada.

venerdì 9 marzo 2012

Abramovic:"Non sono la nonna della PerformArt"


Photo by Jean-Baptiste Mondino
Intervista all'artista serba alla vigilia dell'apertura della sua prima performance dopo la retrospettiva del Moma di New York

A giudicare dalle performance che l’hanno resa celebre in tutto il mondo, Marina Abramović può sembrare una persona ascetica e seriosa. Nel 1997 ha vinto un Leone d’Oro alla Biennale di Venezia pulendo un cumulo d’ossa di animali, simbolo delle atrocità delle guerre avvenute nella sua nativa Iugoslavia; nel 2002 si è rinchiusa per 12 giorni nella teca di una galleria senza mangiare. E nel 2010 è rimasta immobile per più di 700 ore a fissare negli occhi il pubblico del Moma di New York. Quando la s’incontra di persona, però, appare subito chiaro che dietro questi lavori estremi si nasconde una donna solare che ha voglia di ridere e scherzare, adora la moda e l’arredamento di design. Fino a qualche tempo fa, Abramović tendeva a nascondere questi lati del suo carattere per paura di compromettere il suo ruolo di artista impegnata. Oggi, invece, sa di non aver più bisogno di dimostrare nulla e si sente libera di esporre anche i suoi lati più umani.