Nella terza puntata del viaggio controcorrente lungo il Po esploriamo Ferrara e la bassa mantovana. La rotta del 1951 che portò l'alluvione del Polesine. La città delle due ruote. I cantastorie e il Moby Dick d'acqua dolce. Qui si ascolta il bues combattendo una guerra tra formaggi. Sotto il controllo di uno sceriffo.
Il Grande Fiume italiano, il nostro Old Man River,
qui si distende come per filare via più veloce nel suo ultimo tratto prima di
diramarsi e quindi annullarsi nel nulla adriatico; maestoso, profondo, turgido
d’acqua, terra e storie. Il cielo sopra il Po, sopra il nero ponte ferroviario
di Occhiobello, stasera è cremisi e indaco e oro che cade sui giunchi e i
pioppi verso la verde terra piatta; una bellezza che intimorisce in
quest’unirsi d’acqua selvaggia e selvaggio cielo, una visione straniante, come
accade nei film più danubiani di Emir Kusturica... Sembra di sentire, appena
coperto dal treno merci, il canto di un bluesman, la sua gola è secca e il
cuore cupo perché la vita, anch’essa, scorre via rapida come il fiume, tutti i
fiumi. Per un attimo è come essere sul Mississippi Delta, la Gerusalemme del
blues, dove nelle serate d’estate anche le cicale sembrano ondeggiare ebbre di
calura evocando il call and response fra un campo e l’altro, banjo qui lungo un
fosso, armonica là nel canneto che costeggia la vecchia ferrovia del cotone...
martedì 29 settembre 2015
lunedì 28 settembre 2015
Nel paese delle giostre e delle cozze Dop
Seconda tappa del viaggio lungo il Po, in un paradiso naturale dove eccellono 30 aziende che producono ruote panoramiche e montagne russe e dove si alleva un mollusco che ha appena ricevuto il prestigioso marchio dall'Unione Europea
“E’ che se in Italia non hai il vino non sei
nessuno”, dice Maurizio Barotto vogando controcorrente con il suo “batel del
Po”. Si sta parlando del Polesine, quest’isola incastonata tra l’Adige, il Po e
l’Adriatico, che non capiamo, dopo giorni di esplorazioni, perché non abbia
ancora conosciuto la classica riscoperta, il famoso “re-branding” che ti fa
diventare di moda. Prima o poi anche l’angolo più remoto, la valle più sperduta
e fuori dai circuiti hanno il loro momento di riscatto; arriva il New York
Times che indica la “nuova Toscana” di turno, il marketing parte in quarta
e sei subito nel giro. “Manchiamo solo noi, toh forse il Molise… Ma per avviare
la pratica, uscire dall’isolamento e diventare doc, oggi devi almeno avere un
vino potabile. Invece siamo ancora quelli dell’alluvione, il Mezzogiorno del
Nord”. Anche il cinema di solito funziona bene, ma il Polesine, come il Grande
Fiume che l’ha creato a propria immagine e somiglianza e come Maurizio col suo
batel fatto a mano, anche lì non ha seguito la corrente comoda della modernità
e le commediole tipo “Basilicata Coast to Coast”.
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venerdì 11 settembre 2015
Fronte del Po, un percorso lungo gli argini storici, culturali e naturalistici del Grande Fiume
Viaggio controcorrente in otto puntate alle origini del Po, dove la terra si mescola all'acqua e gli uccelli stanno sotto i pesci
Alla fine, quando ci siamo seduti a pelo di Po per uno spritz al dehors del glorioso Imbarco del Re - vista sui ponti, sul Monte dei Cappuccini e sulla collina torinese - la signora Graziella che gestisce il bar-ristorante da Perosino ed è la regina mai deposta del fiume (“a 18 anni seminavo gli spasimanti vogando con il mio canoin controcorrente”) ci ha chiesto, pensando di metterci in crisi: “Qual è il posto che vi è rimasto nel cuore?” Tutti quattro abbiamo guardato il Po con disincanto, perché vederlo scorrere lì davanti al Valentino, così sontuoso, cortese e aristocratico, così consapevole, nonostante la sua giovane età, di far parte dell’élite dei fiumi che specchiano le più belle città del mondo, ci sembrava troppo sofisticato e troppo contemporaneo, quasi una cartolina digitale. Noi venivamo invece da un viaggio esotico, da luoghi stranieri, lontani, appartati. Si potrebbe dire anacronistici se non fosse che il mondo che vive lungo fiumi dalla personalità intensa come il Po se ne infischia di stare al passo con i tempi, ma ha un suo tempo. E sta a chi vi si affaccia d’entrarci in sincronia.
Alla fine, quando ci siamo seduti a pelo di Po per uno spritz al dehors del glorioso Imbarco del Re - vista sui ponti, sul Monte dei Cappuccini e sulla collina torinese - la signora Graziella che gestisce il bar-ristorante da Perosino ed è la regina mai deposta del fiume (“a 18 anni seminavo gli spasimanti vogando con il mio canoin controcorrente”) ci ha chiesto, pensando di metterci in crisi: “Qual è il posto che vi è rimasto nel cuore?” Tutti quattro abbiamo guardato il Po con disincanto, perché vederlo scorrere lì davanti al Valentino, così sontuoso, cortese e aristocratico, così consapevole, nonostante la sua giovane età, di far parte dell’élite dei fiumi che specchiano le più belle città del mondo, ci sembrava troppo sofisticato e troppo contemporaneo, quasi una cartolina digitale. Noi venivamo invece da un viaggio esotico, da luoghi stranieri, lontani, appartati. Si potrebbe dire anacronistici se non fosse che il mondo che vive lungo fiumi dalla personalità intensa come il Po se ne infischia di stare al passo con i tempi, ma ha un suo tempo. E sta a chi vi si affaccia d’entrarci in sincronia.
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