martedì 29 settembre 2015

A spasso con la bici sacra sulle tracce del siluro

Nella terza puntata del viaggio controcorrente lungo il Po esploriamo Ferrara e la bassa mantovana. La rotta del 1951 che portò l'alluvione del Polesine. La città delle due ruote. I cantastorie e il Moby Dick d'acqua dolce. Qui si ascolta il bues combattendo una guerra tra formaggi. Sotto il controllo di uno sceriffo.
  
Il Grande Fiume italiano, il nostro Old Man River, qui si distende come per filare via più veloce nel suo ultimo tratto prima di diramarsi e quindi annullarsi nel nulla adriatico; maestoso, profondo, turgido d’acqua, terra e storie. Il cielo sopra il Po, sopra il nero ponte ferroviario di Occhiobello, stasera è cremisi e indaco e oro che cade sui giunchi e i pioppi verso la verde terra piatta; una bellezza che intimorisce in quest’unirsi d’acqua selvaggia e selvaggio cielo, una visione straniante, come accade nei film più danubiani di Emir Kusturica... Sembra di sentire, appena coperto dal treno merci, il canto di un bluesman, la sua gola è secca e il cuore cupo perché la vita, anch’essa, scorre via rapida come il fiume, tutti i fiumi. Per un attimo è come essere sul Mississippi Delta, la Gerusalemme del blues, dove nelle serate d’estate anche le cicale sembrano ondeggiare ebbre di calura evocando il call and response fra un campo e l’altro, banjo qui lungo un fosso, armonica là nel canneto che costeggia la vecchia ferrovia del cotone...
Ed ecco che davvero sulla riva sinistra, sulla sabbia fina della golena accanto a una vecchio night abbandonato, vediamo un ragazzo suonare la sua solitudine con la slide guitar, Poor Boy a Long Way from Home... e poi come una preghiera lo straziante Catfish blues di Tommy McLennan.
Sembra che nella nostra risalita del Po, prima d’affrontarne le complessità, si debba coglierne alcune semplici note, quasi l’alfabeto essenziale d’una nuova lingua utile per viaggiare in questa ventunesima, orizzontale e sconosciuta regione d’Italia. Andrea Laino dice che viene qui da Bologna non tanto per trovare gli accordi, “ma per trovarmi in sintonia con il mondo del fiume, anche perché in questo punto esistono forze potenti, siamo nel cuore di tenebra del Po...” Occhiobello: la rotta del 1951, la breccia che diede inizio alla Grande Alluvione del Polesine. “È accaduto là, oltre quel boschetto” dice Andrea. 

Po gonfio di pioggia e mare alto per lo scirocco, fu lo scontro tra due ciclopi; e l’argine costruito dagli austriaci e rinforzato da Napoleone cedette come un castello di sabbia sulla battigia. Sulla riva ferrarese, a Ro Ferrarese, lo ricorda bene il farmacista Giuseppe Sgarbi, 93 anni, papà di Elisabetta e Vittorio Sgarbi. È nato dall’atra parte, a Villa Fora, una frazioncina di Badia Polesine. Racconta chiudendo gli occhi, per vedere meglio - come fa quando scrive le sue memorie di colto fiumarolo padano. “Poi ci siamo trasferiti a Stienta dove ho vissuto fino ai trent’anni. Il Po è stato la mia vita. Finito il corso allievi ufficiali a L’Aquila, venivamo mandati in licenza per un mese e io quel mese lo trascorsi tutto sul Po.
Giuseppe Sgarbi
Avevo una piccola barca che mio padre mi aveva regalato con seggiolino scorrevole, da Stienta mi portavo verso il centro del fiume dove c’era un’isola di sabbia”. Dice che era un buon nuotatore, un nadarin... “Sul fiume la vita scorre e così i ricordi... Le donne lavavano i panni e raccoglievano l’acqua per fare la polenta... Poi l’alluvione. Veniva giù di tutto, alberi, pezzi di case, casse da morto, comò. Quando il Po ha rotto a Occhiobello io abitavo già qui a Ro e volevo andare a vedere come stavano mia madre e le mie sorelle nel Polesine. Risalii il fiume fino a Ficarolo per trovare qualcuno che se la sentisse d’attraversare. Nessuno aveva il coraggio. Tranne una donna, la Nena. Salimmo sulla sua barca in quattro, ci buttammo nella corrente, fortissima, la Nena ci disse di farci il segno della croce... Non l’ho mai dimenticata, la Nena in piedi sulla barca, sembrava una polena, una divinità. So che le hanno dedicato il nome di un vaporetto...”
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 Il Po, per il farmacista Sgarbi, è stato una pozione magica, che non ha mai smesso di accendere l’immaginazione. “Ricordo che da bambino mio padre mi portò sulla canna della bicicletta a vedere il Po gelato, era il terribile inverno del 1929, io avevo 8 anni. Era completamente gelato. Vidi il sacerdote di Stienta che attraversava il fiume a piedi, cosa abbastanza pericolosa. Camminava sulle acque, insomma sul ghiaccio”. Cose da matti, incredibili. Che quando uno del posto le sente raccontare dice: “Fa credi che ‘l Po ‘l va ‘nsú”...



Visioni o realtà? Ferrara è le due cose insieme. Tutto prende qui altre dimensioni. Anche la bici, sacra come in India lo è la vacca. Vedi gente che la porta a passeggio neanche fosse un cane. Pare che qui la cosa giusta sia usarne una nella settimana e una per la festa. In campagna fanno ancora parte del paesaggio, le vedi sfilare lentamente lungo le snelle processioni dei pioppi dritti come candelabri. Si pedala lentamente, magari l’uno con la mano sulla spalla dell’altro, coppie d’innamorati che si baciano senza perdere l’equilibrio. E Ferrara è la città della bicicletta, come Modena lo è della Ferrari e Houston per i razzi spaziali. “Si potrebbe fare un ritratto dell’Emilia parlando delle biciclette”, ha scritto Cesare Zavattini, nato, come Ligabue, a Luzzara, la capitale del naïf italiano: “Anche se ce ne sono in tutto il mondo, sembra qui la loro sede naturale... assume forza di un simbolo locale come la luna bassa”.
Alla bici tutto è permesso, detta legge, voci non confermate dicono che anche il sindaco a Ferrara giri contromano o addirittura senza mani. Non v’è dubbio che questa sarà la capitale naturale della ciclabile VenTo, che andrà da Venezia a Torino percorrendo gli argini del Po e alla cui traccia ci siamo ispirati in questo viaggio controcorrente. Sarà una piccola rivoluzione, come ha scritto il Guardian, “per un Paese autodipendente” come l’Italia; d’altronde da queste parti si dice che anche il socialismo debba tutto alla bici, furono gli operai a diffonderlo nelle campagne quando alla coscienza di classe s’aggiunse il nuovo mezzo di locomozione. “La bicicletta salverà il Po” dice Paolo Pileri, il prof del Politecnico che ha dato inizio al progetto, sostenuto soprattutto da Fondazione Cariplo: “Perché è vittima di interessi piccini e localistici che lo hanno ridotto letteralmente a pezzetti, amministrati da soggetti diversi, con criteri diversi, con sensibilità diverse, concorrendo così a cancellare quella unitarietà che è uno dei valori portanti del fiume, di tutti i fiumi, che non sono cattivi perché esondano, ma sono buoni perché raccolgono le acque, non ci rubano risorse, ma ci danno ricchezza fertilizzando i nostri territori, non separano le genti, ma le uniscono lungo un filo che non vediamo solo perché l’unica logica imperante è quella metropolitana, centro-periferia. Ecco, la bici e VenTo ci faranno riprendere il filo”.
Visioni e realtà possono coincidere, appunto, nella città di Pico della Mirandola e Copernico, del Tasso, dell’Ariosto, di Giorgio Bassani, Michelangelo Antonioni, degli spazi metafisici di De Chirico e Savinio e De Pisis... Una città dalle atmosfere incantate “dalla pigrizia della provincia” come scrive Giorgio Conti nel suo bel libro “Il Grande fiume
Po” (Mondadori). “Ferrara” dice “è la città dove ristagna una malinconia lunga, trascinata nei secoli dopo gli sfarzi dell’Umanesimo e del Rinascimento”. Enigmi, irrequietezza sospesa, piazze dalla luce abbacinante. La nostalgia della grandeur degli Estensi, modello delle corti di tutta Europa: gli spettacoli e le estenuanti delizie sul Po, “superbo altero fiume” secondo il Tasso; esibizioni di magnificenza inaudita e mai vista, il teatro, i fuochi artificiali, la folle cucina che si fece per la prima volta arte pura... E poi lo sfaldamento, prima brutale, con l’arrivo del dominio papale; quindi il lento e doloroso declino del Po ferrarese, di cui Riccardo Bacchelli, il “Tolstoi del Delta” con il suo esondante Mulino del Po, prefiguró addirittura la morte per avvelenamento...
Claudio Castagnoli
“Ora è invece un luogo senza legge, in balia di banditi e predoni” dice con amarezza Claudio Castagnoli, comandante della polizia provinciale di Ferrara, lo “scieriffo” del Po, uomo simbolo della lotta alle gang sul fiume, riconosciuto dall’Adriatico al Pian del Re. Perché il Grande Fiume Dimenticato è acqua di nessuno, se non fosse per Castagnoli e pochi altri la valle sarebbe zona franca per ogni crimine, un Bronx lungo seicento chilometri; potresti scendere con una bomba atomica o una tonnellata d’eroina fino al mare senza trovare una divisa, qualcuno che ti chieda i documenti. Lungo il Danubio ci sono punti di controllo ogni dieci chilometri, per dire. Castagnoli ha cominciato combattendo le Br e ora difende la Natura pistola in pugno, se serve. Racconta delle albe sul fiume, lungo questo tratto che stiamo risalendo in barca fino a Felonica, Sermide, la foce del Mincio, Governolo; parla di cannuccia e fragmites australes, di garzette e germani reali... “Una bellezza che toglie il fiato, una specie di sindrome di Stendhal...” dice. Qualcuno negli Stati Uniti ha cominciato a chiamare la sopraffazione che si prova davanti alla bellezza della Natura - così come accade con l’opera d’arte - “sindrome di Thoreau”, il filosofo che ha analizzato l’estasi dell’uomo moderno davanti alla wilderness. “Eppure il bello è solo l’inizio del tremendo...” dice Rilke nelle Elegie Duinesi. E qui il tremendo si chiama Siluro, il Moby Dick del Po, il pesce arrivato dalla regione danubiana che raggiunge dimensioni mostruose, leggendarie, di cui daremo conto più avanti nel viaggio. “Stava bene dov’era”, dice lo Scieriffo del Po. “E lassù il freddo ne regolava popolazione e dimensioni. Qui arrivano a pesare vari quintali e raggiungono quasi i tre metri di lunghezza, praticamente squali d’acqua dolce”.
Da predatore dei fiumi si è trasformato in preda, venduto sui mercati romeni e ungheresi da
pescatori senza scrupoli che saccheggiano il Po “con una mattanza che elimina anche quel poco che il siluro non ha ancora sterminato”. “Questi sono dei vampiri, vengono fuori la notte con azioni da guerriglia” dice il comandante, “calano le reti in velocità anche per chilometri. Sono per lo più bande romene. Prima che faccia giorno portano via le reti e quintali e quintali di pesce. L’unico modo di combatterli è quello di poter sequestrare i mezzi e infliggere sanzioni pesanti, ma noi siamo solo una piccola pattuglia di 14 agenti, facciamo quel che possiamo”. Elenca gli eroici risultati ottenuti contro i predoni del Po: 16 chilometri di reti sequestrate, 46 mila euro di sanzioni di cui solo seimila pagate, 13 barche sequestrate, 3 motori fuoribordo e una decina di elettrostorditori” con cui i banditi portano barbaramente in superficie i giganti che stanno annidati nelle buche del fondale. “Qualche settimana fa abbiamo sequestrato 4 chilometri di rete tesa davanti a un’idrovora. Se quella rete si fosse impigliata nell’idrovora avrebbe causato danni per centinaia di migliaia di euro”. Il siluro fa parte del vasto bestiario degli alieni del Po. “È arrivato il gambero rosso dalla Louisiana, è arrivata la tartaruga col baffo rosso. E la nutria, liberata dagli allevatori dei castorini da pelliccia: un animale che qui non ha competitori naturali e si sviluppa in modo pauroso; colonizza gli argini e li fa franare, devastano le culture agricole”. In Inghilterra hanno preso misure radicali con un decreto del governo, in Italia i comuni lasciano fare agli schioppi dei cacciatori. “Spero”, dice lo Scieriffo “che prima o poi Carlo Cracco decida che la nutria è buonissima e così un problema diventerà subito una ghiottoneria”.

Contro gli alieni e i banditi, in assenza della legge, da un argine all’altro si creano nuove alleanze. Come quella tra Parmigiano Reggiano, destra Po, e Grana Padano, sinistra Po. Prima divisi dal Grande Fiume e dai disciplinari, ora uniti a combattere le contraffazioni. Graziano Zucca, casaro della Latteria Sociale Gonfo di Motteggiana, bassa mantovana, racconta come queste forme siano sostanza: servono 500 litri di latte per farne una. Un quintale di latte per sette chili di parmigiano, che possono invecchiare anche tre anni. “Una tracciabilità che porta addirittura alla mucca” dice. “Vedere queste forme mi emoziona come guardare il fiume al tramonto”. Ma Graziano si rabbuia: “Siamo in guerra, noi insieme agli amici del Grana”. L’ultimo nemico da combattere sia chiama Gran Moravia, formaggio a pasta dura che imperversa nei super, viene dalla Romania, come i predatori del siluro.
Wainer Mazza
“La gente del Po è sempre più abbandonata e disperata” dice Wainter Mazza, l’ultimo cantastorie padano. Sulla riva di Governolo anche Wainer cerca la sintonia con il fiume, come il bluesman. Stringe la chitarra e guarda il Po su a monte, dove il sole affonda nei gorghi color malva. Questo è il momento preciso in cui comincia la caccia delle zanzare- piragna. “I vecchi dicevano sbatasi ‘nt’al Po e truvalu süt, buttarsi nel Po e trovarlo asciutto. Il massimo della malasorte sia per chi vuole rinfrescarsi che per chi vuole farla finita”. Ma poi parte con una storia allegra e balenga delle sue.

  
3/8 - The River Journal Project

testo di Marzio G. Mian e Nicola Scevola
Foto di Nanni Fontana e Massimo Di Nonno

Pubblicato su Sette

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