Il Grande Fiume italiano, il nostro Old Man River, qui si distende come per filare via più veloce nel suo ultimo tratto prima di diramarsi e quindi annullarsi nel nulla adriatico; maestoso, profondo, turgido d’acqua, terra e storie. Il cielo sopra il Po, sopra il nero ponte ferroviario di Occhiobello, stasera è cremisi e indaco e oro che cade sui giunchi e i pioppi verso la verde terra piatta; una bellezza che intimorisce in quest’unirsi d’acqua selvaggia e selvaggio cielo, una visione straniante, come accade nei film più danubiani di Emir Kusturica... Sembra di sentire, appena coperto dal treno merci, il canto di un bluesman, la sua gola è secca e il cuore cupo perché la vita, anch’essa, scorre via rapida come il fiume, tutti i fiumi. Per un attimo è come essere sul Mississippi Delta, la Gerusalemme del blues, dove nelle serate d’estate anche le cicale sembrano ondeggiare ebbre di calura evocando il call and response fra un campo e l’altro, banjo qui lungo un fosso, armonica là nel canneto che costeggia la vecchia ferrovia del cotone...
Ed ecco che davvero sulla riva sinistra, sulla sabbia fina della golena accanto a una vecchio night abbandonato, vediamo un ragazzo suonare la sua solitudine con la slide guitar, Poor Boy a Long Way from Home... e poi come una preghiera lo straziante Catfish blues di Tommy McLennan.
Sembra che nella nostra risalita del Po, prima d’affrontarne le complessità, si debba coglierne alcune semplici note, quasi l’alfabeto essenziale d’una nuova lingua utile per viaggiare in questa ventunesima, orizzontale e sconosciuta regione d’Italia. Andrea Laino dice che viene qui da Bologna non tanto per trovare gli accordi, “ma per trovarmi in sintonia con il mondo del fiume, anche perché in questo punto esistono forze potenti, siamo nel cuore di tenebra del Po...” Occhiobello: la rotta del 1951, la breccia che diede inizio alla Grande Alluvione del Polesine. “È accaduto là, oltre quel boschetto” dice Andrea.
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Giuseppe Sgarbi |
Visioni o realtà? Ferrara è le due cose insieme.
Tutto prende qui altre dimensioni. Anche la bici, sacra come in India lo è la
vacca. Vedi gente che la porta a passeggio neanche fosse un cane. Pare che qui
la cosa giusta sia usarne una nella settimana e una per la festa. In campagna
fanno ancora parte del paesaggio, le vedi sfilare lentamente lungo le snelle
processioni dei pioppi dritti come candelabri. Si pedala lentamente, magari
l’uno con la mano sulla spalla dell’altro, coppie d’innamorati che si baciano
senza perdere l’equilibrio. E Ferrara è la città della bicicletta, come Modena
lo è della Ferrari e Houston per i razzi spaziali. “Si potrebbe fare un
ritratto dell’Emilia parlando delle biciclette”, ha scritto Cesare Zavattini,
nato, come Ligabue, a Luzzara, la capitale del naïf italiano: “Anche se ce ne
sono in tutto il mondo, sembra qui la loro sede naturale... assume forza di un
simbolo locale come la luna bassa”.
Alla bici tutto è permesso, detta legge, voci non confermate dicono che anche il sindaco a Ferrara giri contromano o addirittura senza mani. Non v’è dubbio che questa sarà la capitale naturale della ciclabile VenTo, che andrà da Venezia a Torino percorrendo gli argini del Po e alla cui traccia ci siamo ispirati in questo viaggio controcorrente. Sarà una piccola rivoluzione, come ha scritto il Guardian, “per un Paese autodipendente” come l’Italia; d’altronde da queste parti si dice che anche il socialismo debba tutto alla bici, furono gli operai a diffonderlo nelle campagne quando alla coscienza di classe s’aggiunse il nuovo mezzo di locomozione. “La bicicletta salverà il Po” dice Paolo Pileri, il prof del Politecnico che ha dato inizio al progetto, sostenuto soprattutto da Fondazione Cariplo: “Perché è vittima di interessi piccini e localistici che lo hanno ridotto letteralmente a pezzetti, amministrati da soggetti diversi, con criteri diversi, con sensibilità diverse, concorrendo così a cancellare quella unitarietà che è uno dei valori portanti del fiume, di tutti i fiumi, che non sono cattivi perché esondano, ma sono buoni perché raccolgono le acque, non ci rubano risorse, ma ci danno ricchezza fertilizzando i nostri territori, non separano le genti, ma le uniscono lungo un filo che non vediamo solo perché l’unica logica imperante è quella metropolitana, centro-periferia. Ecco, la bici e VenTo ci faranno riprendere il filo”.
Alla bici tutto è permesso, detta legge, voci non confermate dicono che anche il sindaco a Ferrara giri contromano o addirittura senza mani. Non v’è dubbio che questa sarà la capitale naturale della ciclabile VenTo, che andrà da Venezia a Torino percorrendo gli argini del Po e alla cui traccia ci siamo ispirati in questo viaggio controcorrente. Sarà una piccola rivoluzione, come ha scritto il Guardian, “per un Paese autodipendente” come l’Italia; d’altronde da queste parti si dice che anche il socialismo debba tutto alla bici, furono gli operai a diffonderlo nelle campagne quando alla coscienza di classe s’aggiunse il nuovo mezzo di locomozione. “La bicicletta salverà il Po” dice Paolo Pileri, il prof del Politecnico che ha dato inizio al progetto, sostenuto soprattutto da Fondazione Cariplo: “Perché è vittima di interessi piccini e localistici che lo hanno ridotto letteralmente a pezzetti, amministrati da soggetti diversi, con criteri diversi, con sensibilità diverse, concorrendo così a cancellare quella unitarietà che è uno dei valori portanti del fiume, di tutti i fiumi, che non sono cattivi perché esondano, ma sono buoni perché raccolgono le acque, non ci rubano risorse, ma ci danno ricchezza fertilizzando i nostri territori, non separano le genti, ma le uniscono lungo un filo che non vediamo solo perché l’unica logica imperante è quella metropolitana, centro-periferia. Ecco, la bici e VenTo ci faranno riprendere il filo”.
Visioni e realtà possono coincidere, appunto, nella
città di Pico della Mirandola e Copernico, del Tasso, dell’Ariosto, di Giorgio
Bassani, Michelangelo Antonioni, degli spazi metafisici di De Chirico e Savinio
e De Pisis... Una città dalle atmosfere incantate “dalla pigrizia della
provincia” come scrive Giorgio Conti nel suo bel libro “Il Grande fiume
Po”
(Mondadori). “Ferrara” dice “è la città dove ristagna una malinconia lunga,
trascinata nei secoli dopo gli sfarzi dell’Umanesimo e del Rinascimento”.
Enigmi, irrequietezza sospesa, piazze dalla luce abbacinante. La nostalgia
della grandeur degli Estensi, modello delle corti di tutta Europa: gli
spettacoli e le estenuanti delizie sul Po, “superbo altero fiume” secondo il
Tasso; esibizioni di magnificenza inaudita e mai vista, il teatro, i fuochi
artificiali, la folle cucina che si fece per la prima volta arte pura... E poi
lo sfaldamento, prima brutale, con l’arrivo del dominio papale; quindi il lento
e doloroso declino del Po ferrarese, di cui Riccardo Bacchelli, il “Tolstoi del
Delta” con il suo esondante Mulino del Po, prefiguró addirittura la morte per
avvelenamento...
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Claudio Castagnoli |
pescatori senza scrupoli che saccheggiano il Po “con una mattanza che elimina anche quel poco che il siluro non ha ancora sterminato”. “Questi sono dei vampiri, vengono fuori la notte con azioni da guerriglia” dice il comandante, “calano le reti in velocità anche per chilometri. Sono per lo più bande romene. Prima che faccia giorno portano via le reti e quintali e quintali di pesce. L’unico modo di combatterli è quello di poter sequestrare i mezzi e infliggere sanzioni pesanti, ma noi siamo solo una piccola pattuglia di 14 agenti, facciamo quel che possiamo”. Elenca gli eroici risultati ottenuti contro i predoni del Po: 16 chilometri di reti sequestrate, 46 mila euro di sanzioni di cui solo seimila pagate, 13 barche sequestrate, 3 motori fuoribordo e una decina di elettrostorditori” con cui i banditi portano barbaramente in superficie i giganti che stanno annidati nelle buche del fondale. “Qualche settimana fa abbiamo sequestrato 4 chilometri di rete tesa davanti a un’idrovora. Se quella rete si fosse impigliata nell’idrovora avrebbe causato danni per centinaia di migliaia di euro”. Il siluro fa parte del vasto bestiario degli alieni del Po. “È arrivato il gambero rosso dalla Louisiana, è arrivata la tartaruga col baffo rosso. E la nutria, liberata dagli allevatori dei castorini da pelliccia: un animale che qui non ha competitori naturali e si sviluppa in modo pauroso; colonizza gli argini e li fa franare, devastano le culture agricole”. In Inghilterra hanno preso misure radicali con un decreto del governo, in Italia i comuni lasciano fare agli schioppi dei cacciatori. “Spero”, dice lo Scieriffo “che prima o poi Carlo Cracco decida che la nutria è buonissima e così un problema diventerà subito una ghiottoneria”.
Contro gli alieni e i banditi, in assenza della legge, da un argine all’altro si creano nuove alleanze. Come quella tra Parmigiano Reggiano, destra Po, e Grana Padano, sinistra Po. Prima divisi dal Grande Fiume e dai disciplinari, ora uniti a combattere le contraffazioni. Graziano Zucca, casaro della Latteria Sociale Gonfo di Motteggiana, bassa mantovana, racconta come queste forme siano sostanza: servono 500 litri di latte per farne una. Un quintale di latte per sette chili di parmigiano, che possono invecchiare anche tre anni. “Una tracciabilità che porta addirittura alla mucca” dice. “Vedere queste forme mi emoziona come guardare il fiume al tramonto”. Ma Graziano si rabbuia: “Siamo in guerra, noi insieme agli amici del Grana”. L’ultimo nemico da combattere sia chiama Gran Moravia, formaggio a pasta dura che imperversa nei super, viene dalla Romania, come i predatori del siluro.
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Wainer Mazza |
3/8 - The River Journal Project
testo di Marzio G. Mian e Nicola Scevola
Foto di Nanni Fontana e Massimo Di Nonno
Pubblicato su Sette
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