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venerdì 24 febbraio 2017

Montana, dove i cowboy sono i nuovi pellerossa


Ultima puntata del viaggio del River Journal Project lungo il Missouri, il grande fiume che attraversa l'heartland americano.

Siamo alle sorgenti del Missouri, luogo sacro della nazione. In realtà non è proprio una sorgente, perché si tratta della confluenza di tre torrentelli, il Jefferson, il Madison e il Gallatin, una triforcazione chiamata appunto Three Forks. Sembra in effetti che i tre fiumiciattoli lavorino in concerto, gorgoglino allo stesso ritmo regolare e immettano tutti la medesima quantità d’acqua in un corso tutto nuovo, chiamato a rispondere a un destino ben più impegnativo del loro. La piana diffonde una forte carica spirituale, forse proprio per quel contrasto tra un contesto naturale senza gran carattere – banchi sabbiosi, qualche tronco marcito, sterpaglia, addirittura un’infilata disordinata di tralicci per l’alta tensione - e la sincronica affluenza dei tre umili corsi nel Missouri, che da qui parte a bomba, già turgido di carisma. I 33 argonauti della Corps of Discovery ne presero atto, rinunciarono a decidere quale fosse la goccia madre, stabilirono qui le Bocche del Ponto della nuova America e proseguirono oltre le Montagne Rocciose alla ricerca del Vello d’Oro, la via dell’Ovest verso il Pacifico. 

giovedì 10 novembre 2016

La macchia nera di Williston

Parchi nazionali e bisonti. Ranch e praterie. Bacini petroliferi caduti in disuso dopo il crollo dei prezzi. Nel Nord Dakota, tra asprezza, bellezza e resilienza, perché qui la gente non può non reinventars.
 
L’incontro è avvenuto mentre il tramonto dava il meglio di sé sulle Badlands, le Mako Sika per i Sioux, “terre cattive” nell’Ovest del Nord Dakota. Si saliva lungo un costone color ocra scolpito dal vento, nel mezzo di un complesso di canyon e calanchi che ricordano le formazioni aspre di Aliano in Basilicata; fiancheggiavamo una delle poche vallate dolci che montano dalla prateria e che raccontano in 4D come qui ci fosse l’oceano: davanti a noi, al margine della carreggiata il bisonte, fermo come un grande masso di onice appena uscito dalle profondità, ancora imbrattato di terra, il testone rivolto verso l’auto. Il lampeggio degli occhi non c’illumina sulle sue intenzioni, potrebbe essere curiosità, ma anche una luna storta. Gli indiani Lakota ci avevano avvertito che quando ingobbiscono la coda è meglio essere a una cinquantina di passi perché possono aver preso la decisione di caricare a razzo. Sappiamo anche che i bisonti di ragioni per caricare ne hanno almeno quattro milioni, quanti più o meno ne sono stati eliminati dall’uomo bianco in una ventina d’anni nella seconda metà dell’Ottocento; con calma e pudore ci allontaniamo dalla sua primordiale e sacrosanta solitudine. E pensiamo quanto sia intrigante il rapporto tra gli americani e la wilderness.

venerdì 14 ottobre 2016

Lo spirito di Toro Seduto odiato da Donald Trump

La terza tappa del viaggio lungo il Missouri River per capire l'America di oggi passa fra le riserve delle tribù di nativi americani Dakota, da Omaha a Bismarck.

Poco più a Sud di Yankton, sulla sponda destra del Missouri, l’affaccio sul fiume è solenne. Un bluff, un promontorio erboso, piatto come un biliardo; e intorno una guardia di “alberi del cotone”, che sono poi pioppi, gli stessi che ombreggiano le lanche del Po e che furono importati dall’America per produrre la miglior carta italiana, ma che qui, a casa loro, sono così immensi e antichi che è facile confonderli con le querce secolari. Come accade solo lungo i fiumi di carattere - dove certi luoghi basta guardarli e si capisce subito che non è solo la loro bellezza ad attrarre, quanto la teatrale vocazione a ospitare l’epopea e la Storia - in questo tratto di Missouri si sente come un brivido la presenza del Grande Spirito della pianura; sullo sbalzo sembra di essere osservati dai pellerossa infrattati nella boscaglia dall’atra parte, che è già Sud Dakota. È qui che la spedizione di Lewis e Clark - risalendo il Missouri alla ricerca di quel passaggio a Nord Ovest che avrebbe aperto la via all’espansione americana - si accampò alla vigilia dell’incontro con i Sioux, la più bellicosa delle tribù. Da qui i bianchi osservavano inquieti i fuochi e le danze propiziatorie oltre il fiume.

lunedì 12 settembre 2016

Nel granaio d'America cresce il dissenso agrario

In un oceano di pannocchie e solitudine si mettono in dubbio alcune certezze e il viaggiatore europeo è costretto a rivedere molti stereotipi. A cominciare dalla questione Ogm.

L’odore si sente già uscendo da Dakota City sulla highway verso la zona industriale. Rugginoso e dolciastro. Oltrepassate le porte girevoli e una volta entrati nella reception della Tyson, il più grande mattatoio del mondo - 400 manzi uccisi e squartati ogni ora - l’odore del sangue inonda il cervello e ti fa vedere tutto rosso. Anche se tutto è bianco, e dal di fuori l’impianto potrebbe essere un’immensa fabbrica di frigoriferi. Impossibile entrare alla Tyson, è la Fort Knox della bistecca. Un simbolo troppo forte che potrebbe fare gola soprattutto agli animalisti, che nutrono un odio bestiale per questa catena di sgozzaggio, raccontata in Fast Food Nation da Eric Schlosser, che riuscì a introdursi nell’impianto grazie a un operaio messicano il quale voleva denunciare il “backstage” dell’hamburger, le condizioni di lavoro, il più pericoloso e malpagato della catena alimentare americana.

venerdì 2 settembre 2016

Saint Louis, la Sarajevo della guerra razziale

Il gateway Arch, simbolo di St Louis, MO
L’ondata di violenze a sfondo razziale che ha infiammato gli Stati Uniti è cominciata a Ferguson, sobborgo di Saint Louis, il 9 agosto del 2014 quando la polizia ha ucciso Michael Brown, ragazzo nero disarmato. Nei giorni successivi sono scoppiate le rivolte e il movimento Black Life Matters ha cominciato ad affermarsi, con l’escalation di molti casi simili in altre aree metropolitane nel Paese. 
Comincia dunque qui, dalla periferia di Saint Louis, l’alpha delle rivolte razziali moderne, il nostro viaggio in cinque puntate lungo il Missouri attraverso la cosiddetta Real America, l’America vera, quella che custodisce il mito della frontiera, lontano dalle grandi metropoli e dai riflettori della campagna elettorale. Questo viaggio fa parte di un progetto indipendente e multimediale che si chiama The River Journal Project e si propone di raccontare l’attualità e il contemporaneo attraverso i grandi fiumi del mondo.

lunedì 11 gennaio 2016

Corna reali, cultura, movida. Torino vola sull'acqua del Grande Fiume

Il viaggio sul Po si chiude nel capoluogo piemontese, che vanta un boom di progetti legati al fiume con una navigabilità allargata, i Murazzi al centro della rinascita e una serie di iniziative volte a creare una nuova identità dopo gli anni della one-company town.  

“Madama passava di qua”, dice la signora Graziella. Siamo nella cantina seicentesca del bar-ristorante da Perosino, al glorioso Imbarco del Re al Valentino, vista sui ponti, il Monte dei Cappuccini, la collina torinese. “Ricordo che in quell’antro sempre umido, durante la guerra i miei genitori cuocevano il pane di nascosto. Pane fatto con la farina bianca, intendo. I parenti della nonna dalla campagna ogni tanto portavano la farina bianca che in città non si trovava. E s’infornava in quel buco perché godeva di un misterioso tiraggio. Poi un giorno i custodi del castello del Valentino, che sta proprio qui sopra ci disserro che vedevano uscire del fumo che profumava di pane da una botola. Non fu difficile collegare i fatti. Quando tanti anni dopo abbiamo ristrutturato il locale è saltato fuori che quel buco era un vero e proprio passaggio segreto, c'era l'ingresso con una porta e poi un'altra che andava verso il castello. Abbiamo trovato anche una garitta per un soldatino di guardia”. Eccolo il fiume regale, eccola dunque la famosa via del peccato di Madama Cristina, figlia del Re di Francia e sposa di Vittorio Amedeo I di Savoia.

lunedì 21 dicembre 2015

Qui resiste il mito del buon Paese selvaggio

La settima tappa attraversa il paradiso piemontese. In questo tratto, con 235 chilometri di parco fluviale e 36 mila ettari di area protetta, il Grande fiume diventa il migliore esempio di bellezza non conformista. La risposta al desiderio di natura imprevedibile

La veranda della baràca sembra un ring, e Angelo sta all’angolo, stringe i denti come se aspettasse la prossima ripresa, seduto sulla panca, le braccia allargate sulle assi come un cristo in croce. “A remi faccio circa seicento chilometri l’anno. A volte mi chiedo quanto durerà, ho 74 anni e posso remare ancora un giorno intero…” Angelo Bosio è stato l’unico a risalire il Po controcorrente, da solo in piedi sul barcè, una specie di discendente piemontese della piroga. Nel 2008 è venuto su a remi, o aggrappandosi al ramp, una pertica ferrata che serve per arpionare il fondale e fare leva, mettere k.o. la corrente.

giovedì 29 ottobre 2015

Terra di riva e di golena, di boschi e di sabbioni


Il sesto episodio del viaggio sul Po ci porta ad attraversare il cuore del pavese. "Dopo l’amplesso con il Ticino, il Po rincoglionisce letteralmente", scriveva Gianni Brera, cantore raffinato di questa parte del Grande fiume dove la provincia, per qualche strana alchimia, è diventata avanguardia

Scendendo il Po a motore spento, spinti dalla corrente, si ha l’impressione che, all’approssimarsi della foce del Lambro sull’argine sinistro, all’altezza di Orio Litta nel Lodigiano, il Grande fiume provi ribrezzo, anzi terrore. Ha da poco ricevuto una boccata d’ossigeno dal Ticino che è tra i fiumi più puliti d’Europa; e a monte, dal ponte della Becca, si può proprio osservare come per un lungo tratto l’acqua giallognola del Grande fiume e quella cerulea del Ticino rimangono per conto loro, faticano a mescolarsi, poi si vede che il Ticino annacqua il suo sussiego svizzero, si rassegna e diventa Po. Il quale fa appena in tempo a godersi questa botta di vita - “dopo l’amplesso con il Ticino, il Po rincoglionisce letteralmente” scriveva Brera - che incontra il fiume più inquinato d’Europa. Scarta sulla destra, come se sentisse odore di morte, come sapesse che lo stanno per colpire 40 metri cubi di veleno al secondo.

mercoledì 21 ottobre 2015

Nel regno dei pirati dove anche la pesca è fuorilegge

La quinta tappa del viaggio esplora il tratto tra Parma, Cremona e Piacenza, dove i pesci siluro hanno attirato centinaia di bracconieri, molti dall'estero, che si muovono con barche prive di licenze e segni di riconoscimento. E nella zona, in tre anni, ci sono stati 500 furti di motori.
Salami, sinistra Po. Sua maestà il culatello, invece, stagiona bene solo sulla sponda destra: bassa parmense, tra le nebbie, nel grigio della “fumara”, e gli argini; più precisamente solo nella cosiddetta Bassa verdiana, delimitata dalla via Emilia e dal Fiume e con Busseto al centro. La forza del destino del culatello si esprime al massimo nell’umido di Zibello: Katia Soncini, che nella vita seleziona parmigiano e mette al mondo tra i più pregiati culatelli, assicura che è qui dove il maiale diventa divinità. Non la solita e ritrita eccellenza italiana, ma proprio creatura da adorare. Forse non la pensa così il Po che riceve la cacca di cinque milioni di porci, ma si sa che c’è porco e porco.

giovedì 8 ottobre 2015

Nel porto delle nebbie dove si sono perse le navi

La quarta tappa del viaggio lungo il Po ci porta tra le province di Mantova e Reggio Emilia. A Boretto doveva sorgere lo snodo del traffico commerciale del fiume, che avrebbe tolto dall'autostrada 3000 Tir l'anno. Ma così non è stato, e nella zona c'è chi punta sul business delle crociere per turisti

Il Po vuole le sue vittime, dice Massimo Bernardi, ex operaio. “Se ci sono meno annegati è solo perché c’è ormai quasi più nessuno che viene a Po a nuotare. Non è questione che è traditore, Lui c’ha bisogno di tirar giù ogni tanto qualcuno, sono le regole”. Siamo nel regno del “Re del Po” a Boretto, la sua reggia è fatta con i legni trascinati dal fiume che s’accumulano sotto il ponte di Viadana: un’opera incastonata tra i pioppi grigi e i salici selvatici; a seconda della prospettiva e della luce diventa una nave baleniera arenata, nido di argentavis magnificens, cioè una sorta di cormorano preistorico, oppure riparo per individui selvatici e per ragazzini che riempiono i vuoti ed eterni pomeriggi d’estate tuffandosi nell’acqua verdina; si potrebbe chiamarla installazione, e in effetti ricorda la famosa Big Bambù dei fratelli Stern, ma è molto di più, è il castello costruito con le sue mani dal Re del Po, al secolo Alberto Manotti, che oggi non è in reggia, ma a tirare le righe col gesso al campo sportivo.

martedì 29 settembre 2015

A spasso con la bici sacra sulle tracce del siluro

Nella terza puntata del viaggio controcorrente lungo il Po esploriamo Ferrara e la bassa mantovana. La rotta del 1951 che portò l'alluvione del Polesine. La città delle due ruote. I cantastorie e il Moby Dick d'acqua dolce. Qui si ascolta il bues combattendo una guerra tra formaggi. Sotto il controllo di uno sceriffo.
  
Il Grande Fiume italiano, il nostro Old Man River, qui si distende come per filare via più veloce nel suo ultimo tratto prima di diramarsi e quindi annullarsi nel nulla adriatico; maestoso, profondo, turgido d’acqua, terra e storie. Il cielo sopra il Po, sopra il nero ponte ferroviario di Occhiobello, stasera è cremisi e indaco e oro che cade sui giunchi e i pioppi verso la verde terra piatta; una bellezza che intimorisce in quest’unirsi d’acqua selvaggia e selvaggio cielo, una visione straniante, come accade nei film più danubiani di Emir Kusturica... Sembra di sentire, appena coperto dal treno merci, il canto di un bluesman, la sua gola è secca e il cuore cupo perché la vita, anch’essa, scorre via rapida come il fiume, tutti i fiumi. Per un attimo è come essere sul Mississippi Delta, la Gerusalemme del blues, dove nelle serate d’estate anche le cicale sembrano ondeggiare ebbre di calura evocando il call and response fra un campo e l’altro, banjo qui lungo un fosso, armonica là nel canneto che costeggia la vecchia ferrovia del cotone...

lunedì 28 settembre 2015

Nel paese delle giostre e delle cozze Dop

Seconda tappa del viaggio lungo il Po, in un paradiso naturale dove eccellono 30 aziende che producono ruote panoramiche e montagne russe e dove si alleva un mollusco che ha appena ricevuto il prestigioso marchio dall'Unione Europea

“E’ che se in Italia non hai il vino non sei nessuno”, dice Maurizio Barotto vogando controcorrente con il suo “batel del Po”. Si sta parlando del Polesine, quest’isola incastonata tra l’Adige, il Po e l’Adriatico, che non capiamo, dopo giorni di esplorazioni, perché non abbia ancora conosciuto la classica riscoperta, il famoso “re-branding” che ti fa diventare di moda. Prima o poi anche l’angolo più remoto, la valle più sperduta e fuori dai circuiti hanno il loro momento di riscatto; arriva il New York Times che indica la “nuova Toscana” di turno, il marketing parte in quarta e sei subito nel giro. “Manchiamo solo noi, toh forse il Molise… Ma per avviare la pratica, uscire dall’isolamento e diventare doc, oggi devi almeno avere un vino potabile. Invece siamo ancora quelli dell’alluvione, il Mezzogiorno del Nord”. Anche il cinema di solito funziona bene, ma il Polesine, come il Grande Fiume che l’ha creato a propria immagine e somiglianza e come Maurizio col suo batel fatto a mano, anche lì non ha seguito la corrente comoda della modernità e le commediole tipo “Basilicata Coast to Coast”.

venerdì 11 settembre 2015

Fronte del Po, un percorso lungo gli argini storici, culturali e naturalistici del Grande Fiume

Viaggio controcorrente in otto puntate alle origini del Po, dove la terra si mescola all'acqua e gli uccelli stanno sotto i pesci

Alla fine, quando ci siamo seduti a pelo di Po per uno spritz al dehors del glorioso Imbarco del Re - vista sui ponti, sul Monte dei Cappuccini e sulla collina torinese - la signora Graziella che gestisce il bar-ristorante da Perosino ed è la regina mai deposta del fiume (“a 18 anni seminavo gli spasimanti vogando con il mio canoin controcorrente”) ci ha chiesto, pensando di metterci in crisi: “Qual è il posto che vi è rimasto nel cuore?” Tutti quattro abbiamo guardato il Po con disincanto, perché vederlo scorrere lì davanti al Valentino, così sontuoso, cortese e aristocratico, così consapevole, nonostante la sua giovane età, di far parte dell’élite dei fiumi che specchiano le più belle città del mondo, ci sembrava troppo sofisticato e troppo contemporaneo, quasi una cartolina digitale. Noi venivamo invece da un viaggio esotico, da luoghi stranieri, lontani, appartati. Si potrebbe dire anacronistici se non fosse che il mondo che vive lungo fiumi dalla personalità intensa come il Po se ne infischia di stare al passo con i tempi, ma ha un suo tempo. E sta a chi vi si affaccia d’entrarci in sincronia. 

giovedì 14 maggio 2015

Così abbiamo dato un valore alla natura

Bacino di Ashokan che fornisce acqua a New York
I pippistrelli del Texas, le mangrovie thailandesi, il bacino idrico di New York: tre esempi in cui gli ecosistemi fanno risparmiare l'uomo. Che ora quantifica (in soldi) gli ecoservizi offerti dalla Natura.

Guadando un pipistrello è più facile pensare a un vampiro che a un pesticida naturale. Eppure è solo grazie a questi roditori con le ali se i coltivatori texani di cotone possono risparmiare sugli antiparassitari chimici. Ogni notte, migliaia pipistrelli che vivono nelle caverne del Texas meridionale escono allo scoperto e mangiano l’equivalente di circa due terzi del loro peso corporeo d’insetti, fra cui due vermi particolarmente nocivi per la pianta di cotone. Uno studio fatto da un team di economisti ambientali nelle contee vicine a San Antonio ha dimostrato che, se i produttori di cotone dovessero pagare il servizio reso dai pipistrelli, il conto annuo sarebbe di 740.000 dollari, cifra non trascurabile considerando che il fatturato dall’industria cotoniera locale è circa 6 milioni di dollari.
Fino a pochi anni fa, l’uomo dava per scontato che la natura offrisse servizi gratuiti e perpetui. Gli ecosistemi erano considerati al pari di schiavi, il cui lavoro è sfruttato ma raramente apprezzato.

domenica 19 aprile 2015

Per non sprecare cibo dobbiamo copiare l'Italia

Photo by Noah Fecks
Buttare il meno possibile e usare prodotti di stagione, anche quelli poveri o poco noti. Così nascono i piatti serviti alla First Family americana dallo chef americano Dan Barber


I tavoli del Blue Hill, uno dei ristoranti più esclusivi di New York, frequentato dal presidente Obama e la First Lady Michelle, sono decorati con mozziconi di verdura lasciata fiorire: c’è il sedere di sedano da cui sbocciano foglioline verde tenero e la pastinaca bianca con il gambo sottile e le foglie verde bandiera. Allineate insieme alle posate, ci sono matite per annotare le impressioni della cena sulle tovagliette di carta riciclata che ricoprono i tavoli. Nel mezzo, candele dal colore biancastro e l’odore pungente. Sono fatte di grasso di manzo solidificato e, una volta accese, si liquefanno diventando un intingolo appetitoso da gustare con il pane servito caldo, ottenuto da un impasto di grano già utilizzato per la fermentazione della birra. Questi ingredienti “riciclati” sono alla base della filosofia di Dan Barber, chef e co-proprietario del ristorante, già vincitore dell’equivalente dell’Oscar della cucina americana.
“Cercavo un design d’interni che sottolineasse l’importanza di non sprecare nulla”, dice Barber, autore di La cucina della buona terra, libro sulla gastronomia sostenibile uscito in Italia il 17 aprile.

giovedì 12 marzo 2015

Le banche USA fanno guerra ai venditori di fumo

Photo by Benjamin Rasmussen/NYT/Contrasto
Affari a gonfie vele negli Stati dove la vendita della marijuana è libera. Ma niente conti correnti per chi ha aperto negozi: non si accettano banconote "profumate di erba".


Dylan Donaldson è nervoso. È accompagnato da due guardie armate fino ai denti e, come ogni settimana da quando ha aperto un dispensario di marijuana, è il giorno in cui deve trasportare la merce scottante dal suo negozio a un deposito segreto in mezzo alle Rocky Mountains. Ogni volta cerca di usare una macchina diversa, mandando la sua auto su un tragitto alternativo per ingannare possibili malintenzionati. Da quando la marijuana è stata legalizzata nello Stato del Colorado, però, la merce scottante non è più l’erba ma i contanti che questa genera. I soldi guadagnati con la marijuana, infatti, puzzano troppo per le banche americane che si rifiutano di aprire conti correnti a chiunque faccia affari con la cannabis, costringendo gli imprenditori a imboscare montagne di cash.