giovedì 14 maggio 2015

Così abbiamo dato un valore alla natura

Bacino di Ashokan che fornisce acqua a New York
I pippistrelli del Texas, le mangrovie thailandesi, il bacino idrico di New York: tre esempi in cui gli ecosistemi fanno risparmiare l'uomo. Che ora quantifica (in soldi) gli ecoservizi offerti dalla Natura.

Guadando un pipistrello è più facile pensare a un vampiro che a un pesticida naturale. Eppure è solo grazie a questi roditori con le ali se i coltivatori texani di cotone possono risparmiare sugli antiparassitari chimici. Ogni notte, migliaia pipistrelli che vivono nelle caverne del Texas meridionale escono allo scoperto e mangiano l’equivalente di circa due terzi del loro peso corporeo d’insetti, fra cui due vermi particolarmente nocivi per la pianta di cotone. Uno studio fatto da un team di economisti ambientali nelle contee vicine a San Antonio ha dimostrato che, se i produttori di cotone dovessero pagare il servizio reso dai pipistrelli, il conto annuo sarebbe di 740.000 dollari, cifra non trascurabile considerando che il fatturato dall’industria cotoniera locale è circa 6 milioni di dollari.
Fino a pochi anni fa, l’uomo dava per scontato che la natura offrisse servizi gratuiti e perpetui. Gli ecosistemi erano considerati al pari di schiavi, il cui lavoro è sfruttato ma raramente apprezzato.
Chi nutriva simpatie per la causa ambientale lo faceva per amore degli animali, rispetto della natura o senso del dovere verso il prossimo. Per oltre mezzo secolo, gli ecologisti hanno continuato a predicare: “Proteggiamo quest’ambiente! Non uccidiamo quella specie!”. Ma la strategia ha ottenuto risultati limitati: la lista degli animali in estinzione è in espansione e le risorse del pianeta diminuiscono. Quindi, alcuni studiosi hanno deciso di cambiare tattica.
Foresta di mangrovie nella provincia di Krabi, Thailandia
“Davanti a ragionamenti di tipo economico-produttivi raramente riuscivamo a far valere la necessità di difendere la natura”, dice Riccardo Valentini professore di Ecologia all’Università della Tuscia. “D’altronde la politica tende a rispondere a logiche che toccano più direttamente le tasche dei cittadini”.
Per questo, nel 1997, l’economista americano Robert Costanza ha pensato di mettere la natura sullo stesso piano dell’economia, elaborando un metodo per calcolare il valore dei servizi offerti dagli ecosistemi della terra. Tra i più importanti ci sono: la produzione di ossigeno da parte delle piante, la regolazione della composizione chimica dell’atmosfera, lo smaltimento dei rifiuti organici garantito dai batteri, la depurazione delle acque effettuata dal terreno, la produzione di serbatoi genetici per il futuro. La somma totale di questi servizi (e molti altri) crea un valore che, stimato a oggi, è pari a circa 135.000 miliardi di euro l’anno, ovvero il doppio del Pil mondiale. Da allora il metodo è stato aggiornato e rielaborato, ma la sostanza non cambia: si analizza un ecosistema, elencando i servigi che questo offre, come ad esempio i vermi che modellano il suolo, i coralli che proteggono le coste dalle mareggiate o i pipistrelli che mangiano insetti dannosi all’agricoltura. Si assegna un valore a questi servizi in base alle leggi della domanda e dell’offerta. E si ottiene il valore monetario di un dato ambiente.
Questo ragionamento è stato fondamentale, ad esempio, per convincere lo stato di New York a proteggere il bacino idrico dei Catskill, che fornisce acqua potabile alla Grande Mela e al suo hinterland. Dal dopoguerra in avanti, infatti, la zona che alimenta la riserva idrica è stata trasformata da nuovi insediamenti urbani e coltivazioni intensive, con un progressivo peggioramento della qualità dell’acqua. Per continuare a bere tranquillamente, negli anni Novanta New York City avrebbe dovuto costruire un impianto di depurazione da tre miliardi di dollari. Il governo ha quindi studiato gli interventi necessari a ripristinare le capacità depurative della zona umida del Catskill. Ed è venuto fuori che l’ecosistema locale avrebbe potuto offrire lo stesso servizio del depuratore per la metà del prezzo.
In Italia lo studio della natura in questo senso non è ancora così avanzato. Esiste un progetto pilota, chiamato Making Good Nature, che entro quest’anno assegnerà un valore economico ad alcuni ecosistemi sparsi per la penisola. E c’è chi, come il professor Valentini, ha cercato di stimare il valore di alcune funzioni ecosistemiche particolari.
“In base alla sua capacità di sequestrare CO2, abbiamo calcolato che il nostro patrimonio boschivo vale circa 1000 euro l’ettaro. Mentre un ettaro di sistema umido costiero, con le sue funzioni di filtrazione delle acque, lotta all’erosione e protezione delle coste, vale circa 17 mila euro”.
Fra gli esperti vi è ancora molto dibattito sui metodi più corretti di calcolare il valore alla natura, soprattutto quando si tratta di beni insostituibili come la ricchezza del patrimonio genetico. Se una pianta si estingue, rischiano di scomparire anche i principi attivi da cui si sono scoperti molti medicinali. La thapsia garganica, ad esempio, è una pianta mediterranea da cui deriva un farmaco antitumorale.
“Sappiamo che il metodo non è perfetto”, ammette Anil Markandya, economista ambientale e membro del Gruppo Intergovernativo sul Cambiamento Climatico (IPCC) che vinse in Nobel nel 2007. “Anche se approssimativi, però, i numeri calcolati sono utili per trovare un equilibrio fra le esigenze di sviluppo e quelle di conservazione dell’ambiente”.
L’idea di tradurre in soldi il valore di una foresta o una palude, infatti, può servire per convincere anche i più scettici. Nonostante ciò, c’è chi avverte che la natura andrebbe protetta a prescindere dal suo valore economico.
“Molti ecosistemi hanno un valore difficilmente misurabile”, fa notare Douglas McCauley, dell’Università di Santa Barbara in California. “Per questo credo che il miglior approccio resti quello di aiutare il pubblico a comprendere il valore della natura, insegnando a riconoscerne la storia e la bellezza”.
Il David di Michelangelo
Il ricercatore del dipartimento di Ecologia dell’ateneo americano prende ad esempio il David di Michelangelo, sottolineando che ogni anno genera milioni di euro grazie ai biglietti venduti ai turisti che accorrono per ammirarlo.
“Ma noi non insegniamo ad apprezzare il capolavoro di Michelangelo per quel che frutta”, dice McCauley. “Lo stimiamo per i suoi dettagli splendidi, il periodo in cui è stato realizzato e ciò che rappresenta per la storia dell’arte. Dovremmo fare la stessa cosa con gli ecosistemi e le specie animali”.
Resta però il problema che, se non si monetizzano, i servizi resi dagli ecosistemi rischiano di non essere considerati. E quando i governi devono pianificare lo sviluppo, questo può avere conseguenze disastrose.
“La mia esperienza mi ha insegnato che, se non si assegna un valore ai servizi ecosistemici, è praticamente certo che questi saranno trascurati”, sottolinea Glenn-Marie Lange, economista ambientale che lavora per la World Bank.
Gli scienziati riportano spesso l’esempio del governo thailandese, che si è trovato a dover scegliere se sostituire alcune foreste di mangrovie sulla costa con allevamenti di gamberetti. L’acquacoltura avrebbe dato lavoro, generando un indotto prezioso per l’economia locale e aiutando anche a rimpinguare le casse dello stato attraverso le tasse. Una volta calcolato il valore dei servizi resi dalla foresta di mangrovie, però, è risultato che questi erano economicamente più preziosi del ricavato dei gamberetti, semplificando la scelta del governo.
Contadini cinesi impollinano a mano gli alberi
Misurando tutto in soldi, però, si rischia anche di scoprire che alcuni ecosistemi non sono poi così efficienti. Andrebbero per questo cancellati? Inoltre, il mercato per sua natura tende a essere soggetto a fluttuazioni. E se un giorno questo portasse a un cambiamento nel valore di specie o di un ecosistema? Le interferenze dell'uomo sulla natura sono spesso irreversibili, quindi rischieremmo di imbrogliarci con le nostre mani. Da questo punto di vista, la storia delle api cinesi del Sichuan potrebbe insegnare qualcosa.
Negli anni Novanta, gli sciami che per secoli hanno impollinato gli alberi di mele della contea di Maoxian scompaiono per ragioni mai del tutto chiarite, mettendo in ginocchio i coltivatori locali che perdono un raccolto dopo l’altro. Ma i contadini non si danno per vinti e cominciano a impollinare gli alberi a mano, armati di pennelli imbevuti di polline. Nel 2012 un team di studiosi americani analizza l’esperimento e con grande sorpresa rileva che, al posto di diminuire, la produzione di mele è aumentata più del 30%. Evidentemente gli umani sono più efficienti delle api che, quando piove o tira vento, preferiscono restare nell’alveare al posto di svolazzare da un fiore all’altro. Inoltre la presenza dei contadini-impollinatori crea un indotto prezioso per l’economia locale. La situazione coglie alla sprovvista gli economisti ambientali, minando alla base le teorie sul valore dei servizi ecosistemici che, per proteggere la natura, mirano a sottolinearne l’efficienza. E prende una piega ancora più strana grazie alla scoperta fatta in seguito da un reporter del giornale francese Le Monde. L’anno scorso Harold Thibault visita la contea di Maoxian e scopre che, a causa del costo crescente della manodopera, le mele locali rischiano di risultare fuori mercato e non più convenienti da coltivare per i contadini.
La storia mette in luce i rischi d’interpretare la natura in ottica puramente monetaria, anche se gli esperti restano convinti dell’utilità di un simile strumento nel lungo periodo.
“Capisco le perplessità di applicare logiche economiche alla natura”, conclude Valentini. “Ma giusto o sbagliato che sia, il dibattito serve a scuotere le istituzioni e a ricordare alla gente che qualsiasi servizio offerto dalla natura ha un valore meno scontato di quel che si pensa”.

Pubblicato su Sette

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