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Bacino di Ashokan che fornisce acqua a New York |
Guadando un pipistrello è più facile pensare a un vampiro che a un pesticida naturale. Eppure è solo grazie a questi roditori con le ali se i coltivatori texani di cotone possono risparmiare sugli antiparassitari chimici. Ogni notte, migliaia pipistrelli che vivono nelle caverne del Texas meridionale escono allo scoperto e mangiano l’equivalente di circa due terzi del loro peso corporeo d’insetti, fra cui due vermi particolarmente nocivi per la pianta di cotone. Uno studio fatto da un team di economisti ambientali nelle contee vicine a San Antonio ha dimostrato che, se i produttori di cotone dovessero pagare il servizio reso dai pipistrelli, il conto annuo sarebbe di 740.000 dollari, cifra non trascurabile considerando che il fatturato dall’industria cotoniera locale è circa 6 milioni di dollari.
Fino a pochi anni fa, l’uomo dava per
scontato che la natura offrisse servizi gratuiti e perpetui. Gli ecosistemi
erano considerati al pari di schiavi, il cui lavoro è sfruttato ma raramente
apprezzato.
Chi nutriva simpatie per la causa ambientale lo faceva per amore degli animali, rispetto della natura o senso del dovere verso il prossimo. Per oltre mezzo secolo, gli ecologisti hanno continuato a predicare: “Proteggiamo quest’ambiente! Non uccidiamo quella specie!”. Ma la strategia ha ottenuto risultati limitati: la lista degli animali in estinzione è in espansione e le risorse del pianeta diminuiscono. Quindi, alcuni studiosi hanno deciso di cambiare tattica.
Chi nutriva simpatie per la causa ambientale lo faceva per amore degli animali, rispetto della natura o senso del dovere verso il prossimo. Per oltre mezzo secolo, gli ecologisti hanno continuato a predicare: “Proteggiamo quest’ambiente! Non uccidiamo quella specie!”. Ma la strategia ha ottenuto risultati limitati: la lista degli animali in estinzione è in espansione e le risorse del pianeta diminuiscono. Quindi, alcuni studiosi hanno deciso di cambiare tattica.
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Foresta di mangrovie nella provincia di Krabi, Thailandia |
“Davanti a ragionamenti di tipo
economico-produttivi raramente riuscivamo a far valere la necessità di
difendere la natura”, dice Riccardo Valentini professore di Ecologia
all’Università della Tuscia. “D’altronde la politica tende a rispondere a
logiche che toccano più direttamente le tasche dei cittadini”.
Per questo, nel 1997, l’economista
americano Robert Costanza ha pensato di mettere la natura sullo stesso piano
dell’economia, elaborando un metodo per calcolare il valore dei servizi offerti
dagli ecosistemi della terra. Tra i più importanti ci sono: la produzione di ossigeno da parte delle
piante, la regolazione della composizione chimica dell’atmosfera, lo
smaltimento dei rifiuti organici garantito dai batteri, la depurazione delle
acque effettuata dal terreno, la produzione di serbatoi genetici per il futuro.
La somma totale di questi servizi (e molti altri) crea un valore che, stimato a oggi, è pari a circa
135.000 miliardi di euro l’anno, ovvero il doppio del Pil mondiale. Da allora
il metodo è stato aggiornato e rielaborato, ma la sostanza non cambia: si
analizza un ecosistema, elencando i servigi che questo offre, come ad esempio i
vermi che modellano il suolo, i coralli che proteggono le coste dalle
mareggiate o i pipistrelli che mangiano insetti dannosi all’agricoltura. Si
assegna un valore a questi servizi in base alle leggi della domanda e
dell’offerta. E si ottiene il valore monetario di un dato ambiente.
Questo ragionamento è stato fondamentale,
ad esempio, per convincere lo stato di New York a proteggere il bacino idrico dei
Catskill, che fornisce acqua potabile alla Grande Mela e al suo hinterland. Dal
dopoguerra in avanti, infatti, la zona che alimenta la riserva idrica è stata
trasformata da nuovi insediamenti urbani e coltivazioni intensive, con un
progressivo peggioramento della qualità dell’acqua. Per continuare a bere
tranquillamente, negli anni Novanta New York City avrebbe dovuto costruire un
impianto di depurazione da tre miliardi di dollari. Il governo ha quindi
studiato gli interventi necessari a ripristinare le capacità depurative della
zona umida del Catskill. Ed è venuto fuori che l’ecosistema locale avrebbe
potuto offrire lo stesso servizio del depuratore per la metà del prezzo.

“In base alla sua capacità di sequestrare
CO2, abbiamo calcolato che il nostro patrimonio boschivo vale circa 1000 euro
l’ettaro. Mentre un ettaro di sistema umido costiero, con le sue funzioni di
filtrazione delle acque, lotta all’erosione e protezione delle coste, vale
circa 17 mila euro”.
Fra gli esperti vi è ancora molto
dibattito sui metodi più corretti di calcolare il valore alla natura,
soprattutto quando si tratta di beni insostituibili come la ricchezza del
patrimonio genetico. Se una pianta si estingue, rischiano di scomparire anche i
principi attivi da cui si sono scoperti molti medicinali. La thapsia garganica,
ad esempio, è una pianta mediterranea da cui deriva un farmaco antitumorale.
“Sappiamo che il metodo non è perfetto”,
ammette Anil Markandya, economista ambientale e membro del Gruppo
Intergovernativo sul Cambiamento Climatico (IPCC) che vinse in Nobel nel 2007.
“Anche se approssimativi, però, i numeri calcolati sono utili per trovare un
equilibrio fra le esigenze di sviluppo e quelle di conservazione
dell’ambiente”.
L’idea di tradurre in soldi il valore di
una foresta o una palude, infatti, può servire per convincere anche i più
scettici. Nonostante ciò, c’è
chi avverte che la natura andrebbe protetta a prescindere dal suo valore
economico.
“Molti ecosistemi hanno un valore difficilmente
misurabile”, fa notare Douglas McCauley, dell’Università di Santa Barbara in
California. “Per questo credo che il miglior approccio resti quello di aiutare
il pubblico a comprendere il valore della natura, insegnando a riconoscerne la
storia e la bellezza”.
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Il David di Michelangelo |
“Ma noi non insegniamo ad apprezzare il
capolavoro di Michelangelo per quel che frutta”, dice McCauley. “Lo stimiamo
per i suoi dettagli splendidi, il periodo in cui è stato realizzato e ciò che
rappresenta per la storia dell’arte. Dovremmo fare la stessa cosa con gli
ecosistemi e le specie animali”.
Resta però il problema che, se non si
monetizzano, i servizi resi dagli ecosistemi rischiano di non essere considerati.
E quando i governi devono pianificare lo sviluppo, questo può avere conseguenze
disastrose.
“La mia esperienza mi ha insegnato che, se
non si assegna un valore ai servizi ecosistemici, è praticamente certo che
questi saranno trascurati”, sottolinea Glenn-Marie Lange, economista ambientale
che lavora per la World Bank.
Gli scienziati riportano spesso l’esempio
del governo thailandese, che si è trovato a dover scegliere se sostituire alcune
foreste di mangrovie sulla costa con allevamenti di gamberetti. L’acquacoltura
avrebbe dato lavoro, generando un indotto prezioso per l’economia locale e
aiutando anche a rimpinguare le casse dello stato attraverso le tasse. Una
volta calcolato il valore dei servizi resi dalla foresta di mangrovie, però, è
risultato che questi erano economicamente più preziosi del ricavato dei
gamberetti, semplificando la scelta del governo.
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Contadini cinesi impollinano a mano gli alberi |
Negli anni
Novanta, gli sciami che per secoli hanno impollinato gli alberi di mele della
contea di Maoxian scompaiono per ragioni mai del tutto chiarite, mettendo in
ginocchio i coltivatori locali che perdono un raccolto dopo l’altro. Ma i
contadini non si danno per vinti e cominciano a impollinare gli alberi a mano,
armati di pennelli imbevuti di polline. Nel 2012 un team di studiosi americani
analizza l’esperimento e con grande sorpresa rileva che, al posto di diminuire,
la produzione di mele è aumentata più del 30%. Evidentemente gli umani sono più
efficienti delle api che, quando piove o tira vento, preferiscono restare nell’alveare
al posto di svolazzare da un fiore all’altro. Inoltre la presenza dei
contadini-impollinatori crea un indotto prezioso per l’economia locale. La
situazione coglie alla sprovvista gli economisti ambientali, minando alla base
le teorie sul valore dei servizi ecosistemici che, per proteggere la natura,
mirano a sottolinearne l’efficienza. E prende una piega ancora più strana grazie
alla scoperta fatta in seguito da un reporter del giornale francese Le Monde.
L’anno scorso Harold Thibault visita la
contea di Maoxian e scopre che, a causa del costo crescente della manodopera,
le mele locali rischiano di risultare fuori mercato e non più convenienti da
coltivare per i contadini.
La storia
mette in luce i rischi d’interpretare la natura in ottica puramente monetaria,
anche se gli esperti restano convinti dell’utilità di un simile strumento nel
lungo periodo.
“Capisco le perplessità di applicare
logiche economiche alla natura”, conclude Valentini. “Ma giusto o sbagliato che
sia, il dibattito serve a scuotere le istituzioni e a ricordare alla gente che
qualsiasi servizio offerto dalla natura ha un valore meno scontato di quel che
si pensa”.
Pubblicato su Sette
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