mercoledì 21 ottobre 2015

Nel regno dei pirati dove anche la pesca è fuorilegge

La quinta tappa del viaggio esplora il tratto tra Parma, Cremona e Piacenza, dove i pesci siluro hanno attirato centinaia di bracconieri, molti dall'estero, che si muovono con barche prive di licenze e segni di riconoscimento. E nella zona, in tre anni, ci sono stati 500 furti di motori.
Salami, sinistra Po. Sua maestà il culatello, invece, stagiona bene solo sulla sponda destra: bassa parmense, tra le nebbie, nel grigio della “fumara”, e gli argini; più precisamente solo nella cosiddetta Bassa verdiana, delimitata dalla via Emilia e dal Fiume e con Busseto al centro. La forza del destino del culatello si esprime al massimo nell’umido di Zibello: Katia Soncini, che nella vita seleziona parmigiano e mette al mondo tra i più pregiati culatelli, assicura che è qui dove il maiale diventa divinità. Non la solita e ritrita eccellenza italiana, ma proprio creatura da adorare. Forse non la pensa così il Po che riceve la cacca di cinque milioni di porci, ma si sa che c’è porco e porco.
Quello a quattro zampe resta icona di questo Paese da favola che si bagna sul Po, pantagruelica e gargantuesca regione orizzontale attraverso la quale, forse per vendicare una fame millenaria, s’è sviluppata, senza scomodare le fantasticherie di Rabelais, una visione carnale dell’esistenza, dove erotismo e cibo raggiungono orgasmi impareggiabili. Percorrere il Po è come sfogliare un kamasutra gastronomico. Tagliatelle, tortellini, cappelletti, anolini…
l’umile zucca trasformata da Gonzaga ed Estensi - gli evangelisti dell’alta cucina - non in carrozza, ma in sublime tortello; centinaia di minestre, bolliti, brasati, stracotti, storioni, anguille, piccioni, l’asino, l’oca, il fagiano, il grana, la sbrisolona… la procace salama da sugo di Ferrara, inventata da Lucrezia Borgia per resuscitare la virilità di gentiluomini oramai languenti. Viene naturale di ripercorrere a ritroso, con la memoria d’elefante della gola, i menù di questo nostro viaggio controcorrente lungo il Fiume: perché’ siamo in territorio cremonese e bisogna fare il punto in omaggio alla capitale gastronomica del Po e al suo guru, Bartolomeo Sacchi da Piàdena che nel 1474 pubblicò il primo libro di cucina, il De honesta voluptate et valetudine, capolavoro dell’Umanesimo. Non è solo ricettario e trattato d’arte culinaria, ma anche guida dietetica ed etica. Insomma il Piàdena è vero maître à penser del saper mangiare e vivere all’italiana: senza di lui, senza la sensuale e raffinata cultura enogastronomica del Po, senza la mostarda cremonese, i sontuosi bolliti della Bassa padana, i risotti di luccio e rane, il torrone e le spezie arrivate dall’Oriente con le grandi navi via Venezia e quindi via Po, gli Oldani e i La Mantia, gli odierni divi della gastrocultura non saprebbero fare un uovo fritto.
Vitaliano Daolio, guida di pescaturismo
Siamo nelle terre che Philippe de Commines, al seguito di Carlo VIII di Francia descrisse come “il paese più bello e il più abbondante di Europa”. Perché’ allora questo fiume che avrebbe tutti gli ingredienti - storia, natura, piaceri - per diventare destinazione turistica pregiata internazionale, perfetto per viaggiatori dal palato fino alla ricerca del Grand Tour 2.0, vive invece avvolto nell’oblio? “Ammettiamolo, non è facile vivere a fiume, sono pochi quelli che cambiano vita e ricominciano lungo l’argine… Non ci stai qui per interesse, ma solo per ragioni spirituali”. Vitaliano Daolio, 59 anni, è uno dei pochi che a Po hanno investito la vita. È ritenuto un guerrigliero contro l’oblio. Stiamo navigando sulla sua barca da pesca sportiva, all’altezza di Motta Baruffi, cremonese, e Roccabianca, parmense, cioè il Mondo piccolo di Giovannino Guareschi. Siamo muti, storditi, intimiditi. Qui il Po diventa proprio “il fiume più rispettabile che esista in Italia” come scriveva il “fiol de la maestra”, il papà di Don Camillo che dava del voi a Cristo e al fiume: “Il vero Po comincia a Piacenza. I fiumi che si rispettano si sviluppano in pianura, perché’ l’acqua è roba fatta per rimanere orizzontale, e soltanto quando è perfettamente orizzontale l’acqua conserva tutta la sua naturale dignità”. Una dignità aristocratica, che il fiume difende in solitudine. Per ore non incrociamo essere umano, potremmo essere nel Mato Grosso. “Potrebbe essere una risorsa pazzesca per il Paese, roba da alzare il Pil, pensiamo alla ciclabile VENTO, una struttura perfetta per mettere in moto una rete economica che è già lì pronta a partire lungo gli argini: locande, agriturismi, piccoli musei..” dice Vitaliano, che a Motta Baruffi, in piena golena, ha costruito un acquario didattico con i pesci del fiume, settanta vasche con specie di tutti i tipi. “Io faccio pescaturismo da 17 anni sul fiume, vendo emozioni, perché’ pescare il pesce siluro è pura adrenalina.
Ma il turismo ha bisogno di leggi, e qui è quasi Gomorra. Completa illegalità”. Quello che racconta Vitaliano l’abbiamo riscontrato dal Delta in su: società austriache e tedesche che fanno lo stesso suo lavoro, pesca sportiva al siluro, ma sulle lance non portano ragione sociale o licenza di navigazione, arrivano, si divertono e spariscono senza lasciare un euro al Po. “E pensare che da Piacenza al mare ci sono circa 15 pescaturismo. Io sono il più vecchio e il più piccolo. Ci sono circa 200 barche legate al turismo fluviale, affittate per 1000 euro a settimana; parliamo di un giro d’affari milionario”. E poi bande di bracconieri dall’est, furti di motori, oltre 500 in tre anni. “Ogni trenta chilometri c’è una base di pirati, quando mi vedono fanno il segno con il pollice che mi vogliono tagliare la gola. I rumeni – dice Vitaliano – portano via dal fiume camion frigo di pesce pescato e pulito direttamente sul posto senza nessun controllo. Secondo la polizia di Mantova sembra che molta di questa roba finisca anche sui mercati abusivi del milanese”.
Non sappiamo gestire il patrimonio-Po, con una polizia fluviale, un numero verde che funzioni lungo tutto il bacino, con concessioni di tratti a enti privati, come accade nei gradi fiumi d’Europa. Vitaliano ha contato una ventina di diverse entità che dovrebbero occuparsi in vario modo del bacino. Sentite questa: “Avevo a bordo due clienti, due poliziotti austriaci”, racconta. “A un certo punto vediamo qualcosa di strano galleggiare sul fiume. Pensavo fosse un animale, invece era il cadavere d’un uomo, che poi ho scoperto essersi suicidato. In questi casi cosa fai? Chiami lo Stato. Telefono al 112. Dopo un’ora arriva un maresciallo su un barchino a remi prestato da un pescatore. I poliziotti austriaci fanno notare al maresciallo che non può toccare il cadavere per il rischio di inquinare il dna, metti che sia stato ucciso, dicono. Allora il carabiniere chiama i pompieri. Il suo problema principale era capire di chi era la competenza. Centrale cosa faccio? Spingo il cadavere in Lombardia o lo tengo in Emilia? I poliziotti austriaci si sono divertiti un sacco, altro che siluro”. 
Qui il Po diventa anche confine, vero o assurdo; tra Roma e barbarìa, tra Lombardia ed Emilia, tra il Mediterraneo e il continente, tra Padania e terroni indolenti. Da Plinio il Giovane a Gianfranco Miglio, l’ideologo della Lega, alle carnevalate bossiane del dio Po, qui il fiume ha spesso mischiato geografia e politica e aggiunto divisioni a una terra già scollata e scollegata. “Giusto spaccarsi la zucca” diceva Guareschi, “ma onestamente e senza odio”. Era sanguigno, ma placido il suo Po. Accade che nei giorni della grande calura e siccità dello scorso luglio la provincia di Piacenza vieta la pesca sportiva fino a dicembre perché’ “le condizioni climatiche sommate alla pesca mettono in pericolo la conservazione di particolari specie ittiche”; nessun blocco invece per i dirimpettai della provincia di Cremona: “Il vero problema per i pesci non è il caldo, ma il siluro, che fa strage” dicono all’ombra del Torrazzo. Vitaliano il siluro lo difende, si capisce, per lui questi bestioni sono reddito: “E’ il capro espiatorio di tutti i mali del fiume, nei bar circolano leggende straordinarie. Dicono che divora ogni giorno tanto pesce quanto il suo peso, che può essere di quintali…”. Denuncia invece altre razzie sulla pelle del fiume, come i grandi progetti di navigabilità nel cremonese. A Isola Serafini stanno lavorando a una conca di navigazione per grandi navi che costerà 45 milioni di euro, “per portare imbarcazioni commerciali e da diporto oltre la diga, dove il fiume non è navigabile, al massimo arriveranno a 15 chilometri a monte”. Ci mostra il bel porticciolo turistico a Motta Baruffi, costato 250 mila euro ma ostruito nel suo sbocco sul Po da una duna: praticamente un imbarcadero su uno stagno. E poi la grande incompiuta, la fantasmagorica via d’acqua Cremona-Milano, cioè il miraggio di collegare Milano, dove si concentra la metà della produzione industriale italiana, all’Adriatico. Il canale non è mai andato oltre Pizzighettone, perché’ i sindaci, pressati dagli agricoltori, si sono opposti. Così la Lombardia che scavava i navigli per cui passavano le merci provenienti da Genova e dall’Adriatico fino alla fossa interna milanese dove si legavano a quelli provenienti dall’Europa attraverso i laghi, la Lombardia dei grandi ingegneri idraulici come l’Aristotele Fioravanti e il Bertola da Novate non è capace di collegare il Po a Milano, dove una stazione della metropolitana porta l’irridente nome di Porto di Mare…
Elena Bardella, liutaia cremonese
Eppure il mondo-Po tiene duro. Nella Bassa cremonese e lombarda l’alleanza tra Natura e Arte sembra l’Invincibile Armada. Se c’è un luogo lungo il fiume che può rappresentare le potenzialità attrattive e turistiche del Po è questo tratto che parte da Casalmaggiore e arriva fino alla foce del Lambro, il più incriminato dei figli-affluenti che avvelenano il padre. Il fiume descrive curve, è ricco d’isole e lanche. Non è facile addentrarvisi con l’auto, serve la bici o i piedi. E’ l’universo raccontato da Bernardo Bertolucci in Novecento, l’arcipelago dei bodri, le piccole oasi lacustri di biodiversità nella pianura irrigua, sorvegliata da sonnacchiose cascine. Qui regnano le ninfee, i morsi di rana, i canneti, le lenticchie d’acqua. L’aria filtrata dai pioppi dicono che a saperla ascoltare canti e suoni, è quella che hanno respirato Claudio Monteverdi e Amilcare Ponchielli, e dirimpetto Giuseppe Verdi. Quell’aria che fa maturare i violini come la nebbia con i culatelli di Zibello. Uno dei segreti degli Amati, dei Guarneri e degli Stradivari, ci dice Elena Bardella, tra le poche donne liutaio a Cremona, forse sta anche nel fatto che il legno allora transitava via fiume e nel fiume veniva lasciato a liberare la linfa, per accelerarne la stagionatura. Viaggiando tra campagna e golena si vive in diretta lo scontro tra natura e monocultura.
Irene Pavese mentre lavora con le sue api
Lo raccontano gli alveari di Esterina Mariotti e di sua figlia Irene Pavesi a Pescarolo: “I trattamenti durante la semina del mais la scorsa primavera hanno provocato una moria delle bottinatrici. Era un periodo di secca. Di conseguenza i trattamenti sono andati dappertutto e le api che erano sulla colza sono morte sul lavoro” dice Pavesi. “
Tempo fa abbiamo perso interi alveari. Ma l’ape è un indicatore biologico, ci fa capire la salute di un ambiente. Ci dice ad esempio che in questo mare di pannocchie esiste e resiste il fiume Po, con la sua isola di biodiversità che produce un miele spettacolare, il millefiori del Po vince tutti i premi”.
Come il legno dei violini, come il sale, sulle chiatte viaggiavano le pietre per il Duomo - il più monumentale dell’intera valle del Po - e per le sue statue antelamiche che hanno battezzato l’inconfondibile stile romanico padano. Cremona, la città rosso mattone, è un Louvre affacciato sul Grande Fiume, qui l’illuminata civiltà contadina ha prodotto opulenza, palazzi, ville e soprattutto i capolavori del Pordenone, del Boccaccino, del Romanino, di Giulio Campi del Perugino… la meravigliosa storia della pittrice cinquecentesca Sofonisba Anguissola, consulente di Van Dick in fatto di luce… Non sarà più quel fiorente hub portuale ambìto dagli Sforza, da Venezia, dagli spagnoli, dall’Austria, ma il lungo Po di Cremona - ingentilito dai circoli canottieri che gonfiavano il petto al ras Roberto Farinacci, hanno dato lustro al remo italiano e rimangono simbolo di affermazione sociale - è diventato un boulevard alla moda, animato da runner, biciclettari, flaneur. Una botta di sana contemporaneità fluviale che ci rafforza nell’affrontare la grandeur di Piacenza, la capitale del Po, e le leggende dell’ultimo traghettatore di pellegrini. Insomma la magnitudine e le fole di “quel sacramento di fiume incostante e capriccioso” cantato da Giuanin Brera.

5/8 The River Journal Project
testo di Marzio G. Mian e Nicola Scevola
Foto di Nanni Fontana e Massimo Di Nonno

Pubblicato su Sette

1 commento:

Unknown ha detto...

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