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Photo by Heinz Peter Knes |
Danh Vo
ha una biografia particolare a cui fa spesso riferimento nei suoi lavori.
L’artista aveva quattro anni quando nel 1979 la sua famiglia tentò di scappare
dal Vietnam per gli Usa a bordo di un’imbarcazione di fortuna. La fuga si
concluse con l’intervento di una nave danese, che li ritrovò nell’oceano
Pacifico e li accolse come rifugiati politici, offrendogli la possibilità di
trasferirsi invece a Copenaghen. Quest’esperienza ha segnato il lavoro Vo, che
spesso coinvolge anche altri autori nella produzione delle sue opere.
“Mi piace
includere riferimenti autobiografici e reinterpretare il lavoro di altri,
giocando col concetto di fonte e di paternità”, dice l’artista trentottenne.
Due anni
fa, ad esempio, ha chiesto ad artigiani cinesi di riprodurre una copia in
bronzo della Statua della Libertà a grandezza naturale per poi spargerne
diversi pezzi in giro per il mondo: i capelli della statua sono finiti all’Art
Institute di Chicago, la pelle al New Museum di New York e le dita dei piedi al
Kunsthalle Fridericianum di Kassel.
Così frammentato, il simbolo di libertà appare fragile, quasi a ricordare i sogni infranti dalle politiche imperialiste statunitensi.
Così frammentato, il simbolo di libertà appare fragile, quasi a ricordare i sogni infranti dalle politiche imperialiste statunitensi.
In un
altro progetto autobiografico in fieri, Vo usa addirittura il suo nome.
All’arrivo in Danimarca, le autorità registrarono incorrettamente le sue
generalità. Per farsi gioco di queste convenzioni, da qualche anno l’artista
chiede agli amici più intimi di sposarlo, divorziando subito dopo e mantenendo
il nuovo cognome acquisito. Al momento, sulla carta d’identità Dahn risulta
registrato come Vo Rosaco Rasmussen.
Un conto, però, è parlare di sé attraverso la propria
arte, un altro è farlo direttamente. Dal vivo, l’artista concettuale è timido e
riservato. Al punto da avere difficoltà a parlare in pubblico, com’è successo
recentemente alla cerimonia in suo onore organizzata al Guggenheim di New York
per l’assegnazione del premio Hugo Boss. Trascinato quasi a forza sul palco, Vo
è diventato paonazzo ancor prima di aprir bocca, riuscendo a ringraziare a
stento per l’imbarazzo.
Pubblicato su L'Uomo Vogue
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