Cecilia Alemani non ha cominciato la sua
carriera di curatrice con la missione di portare l’arte fuori da musei e
gallerie. Da quando, però, è diventata responsabile del programma artistico
della High Line, famoso parco sopraelevato di Manhattan, e dei progetti
speciali di Frieze New York, la curatrice milanese si è trovata di colpo ad
essere una delle committenti d’arte pubblica più potenti della Grande Mela.
“Portare la creatività fuori dai luoghi
tradizionali, aprendo l’arte a un pubblico eterogeneo è un esercizio
affascinante”, dice Alemani. “E sentire gente comune che discute un’opera è
gratificante quanto ricevere critiche positive dagli addetti ai lavori”.
Questo vale soprattutto per il suo ruolo
di curatrice della High Line, dove solo una percentuale minima degli oltre
quattro milioni di visitatori del parco s’interessa d’arte. Il pubblico di una
fiera come Frieze, è più specializzato. Qui, però, Alemani ha la possibilità
d’invitare artisti a realizzare progetti particolari, che quest’anno hanno come
tema comune i luoghi d’aggregazione. Il risultato sono sei installazioni fra
cui un giardino, un cimitero dell’arte e un bar segreto. Tutti progetti che per
loro natura non sarebbero stati adatti a essere esposti negli stand delle
gallerie tradizionali.
Certo, avere a che fare con i capricci del
tempo e dei curiosi che non sanno tenere le mani a posto rende più complicato
curare arte negli spazi pubblici. A questo non l’avevano preparata né il master
conseguito al Bard College, né le precedenti collaborazioni con istituzioni e
gallerie private. Tanto da farle rimpiangere, a volte, le mostre organizzate in
passato al museo P.S.1 e all’ex Dia Center di New York.
“Ogni tanto sarebbe bello avere una stanza
chiusa con quattro mura bianche da riempire”, scherza la curatrice
trentaseienne.
Questo le permetterebbe, fra l’altro,
anche di sfoggiare più spesso i vestiti corti e le scarpe alte di cui ha gli
armadi pieni, invece dei jeans e ballerine che porta tutti i giorni.
“Passo troppo tempo camminando all’aperto
per portare i tacchi”, ammette Alemani. “Per quelli, però, ci sono i vernissage
serali, che qui a New York non mancano mai”.
Pubblicato su Vogue
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