martedì 23 luglio 2013

Philippe Petit, The Flying Man

Photo by David Needleman
La prima cosa che noto arrivando nella casa di campagna di Philippe Petit in un pomeriggio di piogge torrenziali è un cavo d’acciaio teso fra due alberi. Il buen retiro del più famoso funambolo al mondo non poteva non avere una struttura per allenarsi e le piante secolari di questa foresta a un paio d’ore da New York sono perfette per lo scopo. Petit ha cominciato a sfidare la gravità passeggiando nel vuoto all’età di sedici anni. Ha camminato su corde sospese fra le guglie di Notre Dame a Parigi, fra le campate di un ponte di Sydney e fra i quartieri di Gerusalemme. La sua performance più famosa risale al 1974, quando unì con un cavo le cime delle torri gemelle di New York librandosi per 45 minuti a 400 metri d’altezza. Da allora ha compiuto decine di traversate aeree e, a 63 anni, è ancora in piena forma, tanto da programmare una nuova camminata fra le statue dell’isola di Pasqua.
“Mi alleno tre ore al giorno, sei giorni a settimana e mi sento all’apice della mia carriera”, mi dice il funambolo francese dopo avermi dato riparo nel suo rifugio, una piccola casa di legno con le pareti ricoperte di quadri e disegni di corde annodate.
Per tenersi in forma Petit usa la struttura di cavi sistemata in giardino, oppure, quando fa troppo freddo o piove come oggi, una piccola stalla di fianco a casa che ha costruito da solo, senza usare elettricità, né attrezzi moderni.
Per questo funambolo praticare con regolarità l’arte di camminare sulla corda è particolarmente importante. Petit non utilizza mai misure di sicurezza durante le sue performance e percepire i suoi limiti fisici e mentali può significare la differenza fra la vita e la morte.
“Non ho mai neanche considerato l’idea di assicurarmi”, garantisce il funambolo quasi fosse stupito dall’assurdità della domanda. Anche quando il suo mentore, Papa Rudy, grande funambolo cecoslovacco, gli consigliò di nascondere una cima di sicurezza nel costume per la perfomance del World Trade Center, Petit rifiutò.
“Diceva che tanto da terra nessuno se ne sarebbe accorto. Ma io mi sento mezzo uomo e mezzo uccello e non si è mai visto un uccello che vola col guinzaglio”.
Questo Icaro moderno è piccolo di statura con un fisico asciutto e delle belle mani curate: muscolose come quelle di un arrampicatore e agili come quelle di un prestigiatore. Oltre che funambolo, il francese è giocoliere, mago, alpinista e appassionato di qualsiasi genere di fai-da-te. Le sue dita sono capaci di fare e disfare qualsiasi nodo a una velocità impressionante. D’altronde nel suo mestiere questa è una dote fondamentale, su cui ha scritto anche un manuale intitolato Why Knot?, da poco uscito negli Stati Uniti (Abrams Image). Petit progetta e realizza personalmente i diversi sistemi per assicurare le funi su cui cammina. E prima di ogni performance ispeziona ossessivamente tutti i nodi per accertarsi che siano fatti in modo corretto. Questa cura dei dettagli l’ha salvato più di una volta, notando appena in tempo difetti che avrebbero potuto rovinare il suo spettacolo – e la sua vita. Questa meticolosità si riflette anche nella sua vita personale rendendolo, per sua stessa ammissione, “un po’ manico del controllo”.
La sua casa è ordinatissima e ogni volta che, per sbaglio, muovo qualcosa sul tavolo davanti a cui siamo seduti, Petit è subito pronto a rimettere l’oggetto al suo posto.
“Quando vado al ristorante sembro quasi autistico”, ammette sorridendo. “Riarrangio la posizione di tutto quel che c’è sulla tavola, studio la disposizione delle uscite e cerco sempre di sedermi in un angolo o con le spalle al muro”.
Contrariamente a molti artisti che vengono dal circo, Petit non si definisce superstizioso. Prima di ogni performance, però, segue sempre un certo rituale. Ci sono alcuni oggetti – fra cui un pettine, un calzascarpe e un piccolo leone di legno – che porta con sé e dispone in modo preciso nel suo camerino, vietando a chiunque di toccarli. E l’ultimo gesto che fa prima di uscire è sempre sfiorare il leone con una mano.
“In quel momento la mia mente si ritira in uno stato riflessivo molto profondo, simile a quello di chi prega”.
Questi piccoli gesti contribuiscono a rafforzare la sensazione di controllo sulla situazione, annullando la paura. Il funambolo sostiene di non essere mai stato spaventato prima di una performance. Al contrario, il fatto di affrontare imprese pericolose lo stimola, rendendolo immune alla percezione del rischio.
“A volte la paura viene dopo, ripensando a quel che ho fatto”.
Petit è un autodidatta che crede nell’importanza di rompere le regole. La sua esperienza personale gli ha insegnato che, con impegno e costanza, anche una legge assoluta come quella di gravità può essere sfidata con successo. Questo gli ha dato un’enorme fiducia in se stesso che, quando parla in pubblico o scrive libri, si traduce in una certa arroganza. Dal vivo, però, il funambolo mostra una versione più edulcorata di sé e il suo atteggiamento presuntuoso è compensato dai modi gentili e dal carattere magnetico e contagioso delle sue passioni. Al punto che, se fuori non continuasse a piovere a dirotto, prima di congedarmi sarei quasi tentato di chiedergli ciò che ogni tanto concede a chi passa a trovarlo: camminare dietro di lui sul suo filo teso in giardino, tenendomi in equilibrio con le mani sulle sue spalle.

Pubblicato su L'Uomo Vogue

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