Bjarke Ingels è una sorta di Cristoforo Colombo
dell’architettura. Prima dell’arrivo di questo enfant-prodige, che ha disegnato il suo primo museo a 31 anni e a
38 è già considerato un’archistar, la
maggior parte dei progetti si dividevano in due categorie: quelli efficienti ma
dal design scontato; e quelli più spettacolari ma costosi, con forme che spesso
si rivelano inadatte all’uso quotidiano.
Mancava qualcuno in grado di costruire
edifici funzionali ed economici, ma anche interessanti da un punto di vista
architettonico. Il concetto sembra banale come l’uovo di Colombo, appunto. Il
problema è che nessuno era ancora riuscito a realizzarlo appieno.
“La bellezza fine a se stessa non
m’interessa, ma neanche la pura razionalità”, dice il fondatore dello studio
BIG, già Leone d’oro alla Biennale di Architettura 2004. “Chi l’ha detto che
non si può avere entrambe?”.
Così il tetto inclinato di un inceneritore
per rifiuti diventa una pista da sci, dando valore a una struttura solitamente
vista come una maledizione. E la forma a otto di un complesso residenziale
diventa un modo per distribuire più luce a tutti i condomini, oltre che un
design inusuale.
Ingels riassume questa visione nel
concetto di “sostenibilità edonistica”: economicità ed efficienza non devono necessariamente
significare sacrifici dal punto di vista estetico. Anzi, se presi dal verso
giusto, le problematiche e i limiti di un progetto possono diventare i motori
per rendere unico il suo design.
“Le acrobazie dei miei progetti – conclude
l’architetto – hanno sempre uno scopo preciso”.
Pubblicato su L'Uomo Vogue
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