Che ne è di un'opera d'arte danneggiata e rifiutata dal mercato? Viene spogliata del suo valore e finisce in un magazzino. Una mostra a New York resuscita questi zombie d'autore
La mostra è ospitata in una villa in stile
vittoriano nel mezzo del campus della Columbia University di New York, ma l’allestimento
fa pensare a un obitorio: muri bianchi, ambiente asettico e opere sdraiate su
carrelli come fossero cadaveri. D’altronde l’esposizione riunisce pezzi d’arte
contemporanea paragonabili a zombie: sculture, quadri e fotografie d’artisti
famosi intrappolati in un limbo fra la vita e la morte.
Le opere esposte hanno
subito tutte un danno. A volte sostanziale, come nel caso della statua di un
cane firmata dallo scultore americano Jeff Koons, cui si è frantumata una gamba
e parte della testa. Altre volte minimo, come nel caso di una stampa del
fotografo francese Henri Cartier-Bresson, solo leggermente graffiata in un
angolo. Ma per questo sono state legalmente spogliate di qualsiasi valore dalle
compagnie d’assicurazioni che hanno dovuto rimborsare i proprietari. Le opere
“rotte” esposte in questa mostra, intitolata No Longer Art, sono state ritirate
dal mercato e normalmente giacciono in depositi bui, lontani dagli sguardi del
pubblico. Questo fino all’arrivo del Salvage Art Institute, organizzazione che
recupera lavori danneggiati dai magazzini delle assicurazioni per ritornarle al
mondo dei vivi e stimolare il dibattito sul valore di un’opera. Discussione
che, fatta in quest’epoca e in questa città, pare particolarmente appropriata.
E’ di poche settimane fa, infatti, la notizia che un’asta tenuta qui a New York
ha battuto il prezzo record per un artista vivente, vendendo un quadro del pittore
tedesco Gerard Richter per 34.2 milioni di dollari.
“La mostra non è intesa come una critica
al mercato dell’arte, ma come uno spunto per esplorare la natura del valore
assegnato alle opere,” dice Elka Krajewska, fondatrice del Salvage Art Insitute e
curatrice della mostra. “Una volta questi lavori erano considerati talmente
preziosi da convincere qualcuno ad assicurarli. Oggi sono stati rifiutati,
espulsi dal mercato e relegati in una sorta di purgatorio. Possono ancora
essere considerati arte?”
La questione, secondo la curatrice, è
inscindibilmente legata al modus pensandi
della nostra società, che tende sempre ad associare un valore monetario ai
propri manufatti. Nel momento in cui un’opera è spogliata del suo prezzo, non
si sa più che ruolo assegnarle. Ma è possibile, ad esempio, ipotizzare che il
Cenacolo di Leonardo valga meno semplicemente perché si è formata una crepa
nell’affresco?
La questione è ulteriormente complicata
dal fatto che molte delle opere esposte a No Longer Art, fra cui un quadro di
Robert Rauschenberg e uno di Jim Dine, sono state restaurate da professionisti
che hanno riparato il danno, spesso legato a un incidente di trasporto.
Nonostante il problema sia stato reso invisibile a occhio nudo, però, i lavori
sono stati rifiutati dai legittimi proprietari, che hanno quindi chiesto un
risarcimento alle compagnie assicurative.
Questo è sempre successo, da quando le
assicurazioni hanno cominciato ad assumersi il rischio di coprire opere d’arte.
Un tempo, però, dopo essere stati liquidati ai proprietari, i lavori venivano
distrutti. Da qualche anno, invece, le assicurazioni hanno cominciato a
conservare i lavori, in parte per rispetto al loro valore culturale e in parte
nella speranza che un giorno questi possano tornare a suscitare l’interesse di
qualcuno ed essere rivenduti.
Lo status di “perdita totale” che spoglia
le opere danneggiate del loro valore, impedendo che possano essere scambiate
sul mercato dell’arte, è dichiarato dalle assicurazioni e spesso ha natura
reversibile. Per questo, le opere esposte sui carrelli bianchi di No Longer Art
fanno pensare a non-morti in attesa di essere resuscitati. Se un collezionista
dovesse manifestare interesse nel comprarne una, ad esempio, non è chiaro cosa
potrebbe succedere.
“E’ difficile che l’assenza di valore
possa mantenersi all’infinito”, ammette Mark Wasiuta, professore di
architettura a Columbia University e curatore della mostra insieme a Krajewska. “A meno
di scomparire fisicamente, qualsiasi opera d’arte tende ad accumulare un valore
di tipo monetario, simbolico o culturale. Nel caso dei lavori raccolti dal
Salvage Art Institute, però, questo processo è stato temporaneamente
congelato”.
Oltre che per ragionare sui meccanismi che
muovono il mercato dell’arte, la mostra di No Longer Art è anche l’occasione
per confrontarsi con le opere in modo spontaneo. Il fatto che siano sistemate
su carrelli che possono essere spostati all’interno della galleria, dà modo al
visitatore d’intervenire in maniera diretta, esponendo e accostando i lavori a
proprio piacere. E la consapevolezza che, almeno teoricamente, le opere non
hanno valore, cancella quell’aurea di sacralità che normalmente assumono quando
esposte nei musei, invitando la gente a compiere l’imponderabile: toccare un
olio con le dita, maneggiare una statua o infilare una mano attraverso la tela
tagliata di un quadro.
“I visitatori
tendono a toccare le opere con aria circospetta e un certo senso di colpa”,
dice Krajewska. “Ma la sensazione di libertà che ne deriva fa parte degli obiettivi della
mostra”.
Pubblicato su Io Donna
Nessun commento:
Posta un commento