martedì 1 gennaio 2013

Così rivive il capolavoro rotto


Che ne è di un'opera d'arte danneggiata e rifiutata dal mercato? Viene spogliata del suo valore e finisce in un magazzino. Una mostra a New York resuscita questi zombie d'autore

La mostra è ospitata in una villa in stile vittoriano nel mezzo del campus della Columbia University di New York, ma l’allestimento fa pensare a un obitorio: muri bianchi, ambiente asettico e opere sdraiate su carrelli come fossero cadaveri. D’altronde l’esposizione riunisce pezzi d’arte contemporanea paragonabili a zombie: sculture, quadri e fotografie d’artisti famosi intrappolati in un limbo fra la vita e la morte.
Le opere esposte hanno subito tutte un danno. A volte sostanziale, come nel caso della statua di un cane firmata dallo scultore americano Jeff Koons, cui si è frantumata una gamba e parte della testa. Altre volte minimo, come nel caso di una stampa del fotografo francese Henri Cartier-Bresson, solo leggermente graffiata in un angolo. Ma per questo sono state legalmente spogliate di qualsiasi valore dalle compagnie d’assicurazioni che hanno dovuto rimborsare i proprietari. Le opere “rotte” esposte in questa mostra, intitolata No Longer Art, sono state ritirate dal mercato e normalmente giacciono in depositi bui, lontani dagli sguardi del pubblico. Questo fino all’arrivo del Salvage Art Institute, organizzazione che recupera lavori danneggiati dai magazzini delle assicurazioni per ritornarle al mondo dei vivi e stimolare il dibattito sul valore di un’opera. Discussione che, fatta in quest’epoca e in questa città, pare particolarmente appropriata. E’ di poche settimane fa, infatti, la notizia che un’asta tenuta qui a New York ha battuto il prezzo record per un artista vivente, vendendo un quadro del pittore tedesco Gerard Richter per 34.2 milioni di dollari.
“La mostra non è intesa come una critica al mercato dell’arte, ma come uno spunto per esplorare la natura del valore assegnato alle opere,” dice Elka Krajewska, fondatrice del Salvage Art Insitute e curatrice della mostra. “Una volta questi lavori erano considerati talmente preziosi da convincere qualcuno ad assicurarli. Oggi sono stati rifiutati, espulsi dal mercato e relegati in una sorta di purgatorio. Possono ancora essere considerati arte?”
La questione, secondo la curatrice, è inscindibilmente legata al modus pensandi della nostra società, che tende sempre ad associare un valore monetario ai propri manufatti. Nel momento in cui un’opera è spogliata del suo prezzo, non si sa più che ruolo assegnarle. Ma è possibile, ad esempio, ipotizzare che il Cenacolo di Leonardo valga meno semplicemente perché si è formata una crepa nell’affresco?
La questione è ulteriormente complicata dal fatto che molte delle opere esposte a No Longer Art, fra cui un quadro di Robert Rauschenberg e uno di Jim Dine, sono state restaurate da professionisti che hanno riparato il danno, spesso legato a un incidente di trasporto. Nonostante il problema sia stato reso invisibile a occhio nudo, però, i lavori sono stati rifiutati dai legittimi proprietari, che hanno quindi chiesto un risarcimento alle compagnie assicurative.
Questo è sempre successo, da quando le assicurazioni hanno cominciato ad assumersi il rischio di coprire opere d’arte. Un tempo, però, dopo essere stati liquidati ai proprietari, i lavori venivano distrutti. Da qualche anno, invece, le assicurazioni hanno cominciato a conservare i lavori, in parte per rispetto al loro valore culturale e in parte nella speranza che un giorno questi possano tornare a suscitare l’interesse di qualcuno ed essere rivenduti.
Lo status di “perdita totale” che spoglia le opere danneggiate del loro valore, impedendo che possano essere scambiate sul mercato dell’arte, è dichiarato dalle assicurazioni e spesso ha natura reversibile. Per questo, le opere esposte sui carrelli bianchi di No Longer Art fanno pensare a non-morti in attesa di essere resuscitati. Se un collezionista dovesse manifestare interesse nel comprarne una, ad esempio, non è chiaro cosa potrebbe succedere.
“E’ difficile che l’assenza di valore possa mantenersi all’infinito”, ammette Mark Wasiuta, professore di architettura a Columbia University e curatore della mostra insieme a Krajewska. “A meno di scomparire fisicamente, qualsiasi opera d’arte tende ad accumulare un valore di tipo monetario, simbolico o culturale. Nel caso dei lavori raccolti dal Salvage Art Institute, però, questo processo è stato temporaneamente congelato”.
Oltre che per ragionare sui meccanismi che muovono il mercato dell’arte, la mostra di No Longer Art è anche l’occasione per confrontarsi con le opere in modo spontaneo. Il fatto che siano sistemate su carrelli che possono essere spostati all’interno della galleria, dà modo al visitatore d’intervenire in maniera diretta, esponendo e accostando i lavori a proprio piacere. E la consapevolezza che, almeno teoricamente, le opere non hanno valore, cancella quell’aurea di sacralità che normalmente assumono quando esposte nei musei, invitando la gente a compiere l’imponderabile: toccare un olio con le dita, maneggiare una statua o infilare una mano attraverso la tela tagliata di un quadro.
“I visitatori tendono a toccare le opere con aria circospetta e un certo senso di colpa”, dice Krajewska. “Ma la sensazione di libertà che ne deriva fa parte degli obiettivi della mostra”. 
Pubblicato su Io Donna

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