lunedì 25 giugno 2012

Lara Favaretto al MoMA PS1


Foto Moma PS1
Coriandoli, cemento, spazzole da autolavaggio. Per realizzare le sue installazioni, l’artista trevisana Lara Favaretto utilizza i materiali più disparati. E il P.S.1 di New York non le ha certo posto limiti per allestire la sua mostra. Al punto da lasciarla libera di riaprire una finestra murata. Riempire di terra una stanza. E guidare una moto dentro al museo. D’altronde, l’artista qui si sente a casa. Dieci anni fa aveva partecipato a un programma per giovani emergenti organizzato da questa succursale del Moma. E oggi è tornata ad occuparne le sale con una panoramica personale che mette in mostra i suoi lavori più significativi.

Giocosità e umorismo hanno sempre fatto parte della poetica di Favaretto. Ma dalla maggior parte delle opere che compongono la mostra, intitolata Just Knocked Out, traspaiono anche riflessioni più profonde: spunti sulla natura effimera del mondo e sui concetti di decadenza e scomparsa. In una stanza si trova un cubo di coriandoli che si sgretola lentamente. In un’altra ci sono grandi spazzole da autolavaggio che ruotano consumandosi contro una placca di metallo. Entrambe le installazioni hanno una certa qualità estetica: i coriandoli verde mela fanno venire una gran voglia di toccarli. Peccato sia vietatissimo. E le spazzole si gonfiano girando su sé stesse e creando forme pulsanti che ricordano i vestiti di danzatori Sufi. Ma in entrambi i casi, la progressiva decomposizione delle opere suggerisce anche altri livelli di lettura. Stessa cosa vale per la stanza riempita di terra. Camminare sul terreno morbido da un certo piacere sensoriale. Ma il lavoro fa parte di una serie ispirata alla scomparsa di personaggi come lo scrittore J. D. Salinger o il fisico Ettore Majorana, che hanno scelto di ritirarsi dalla scena pubblica. Questa installazione è dedicata ad Albert Dadas, francese affetto da un disturbo mentale che lo costringeva a vagabondare per l’Europa dimenticando ogni volta la tappa appena lasciata.
L’artista 39enne è intervenuta in modo evidente anche sulla struttura del museo. A fare da filo conduttore alla mostra è un’installazione site-specific: una rete di tubi metallici che si estende in tutte le stanze attraversando le pareti. Il disegno geometrico riprende un quadro del pittore Piet Mondrian ispirato alla griglia urbana di Manhattan. A tratti i tubi sono aperti e lasciano vedere i fili colorati che ci scorrono all’interno. In una stanza Favaretto ha abbattuto una parete di cartongesso che nascondeva una finestra sull’esterno, inondando l’ambiente di luce solare. Un bel gesto che crea contrasto con l’opera esposta: un quadro trovato da un rigattiere che l’artista ha oscurato, ricoprendolo con uno strato di lana e trasformandolo in un monumento all’invisibilità. Non tutti gli interventi sembrano riusciti: lascia perplessi la stanza vuota, decorata solo da sgommate lasciate da una moto che la scultrice ha guidato al suo interno per una settimana. Ma in generale l’esposizione fornisce una buona rappresentazione dell’opera di Favaretto. Un lavoro sospeso fra umorismo e tragicità, che appare evidente nell’installazione che accoglie il visitatore all’ingresso: un plotone di pesanti bombole d’aria compressa disposte come fossero soldati. Con attaccata ognuna una trombetta di carnevale che a turno si gonfia srotolandosi come a fare una pernacchia. 


Pubblicato su Vogue.it

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