lunedì 19 novembre 2012

Rachel Feistein, l'artista con la saldatrice

Photo by Steve Pyke
Per la prima volta la scultrice americana espone a Roma nella galleria di Larry Gagosian. Insieme con il pittore John Currin forma una delle coppie più potenti dell’arte contemporanea americana.

Alla vigilia delle sue mostre, va spesso storto qualcosa. A pochi giorni dall’inaugurazione della prima personale a Roma, Rachel Feinstein si aggira nel suo atelier di New York avvolta in una grande coperta bianca. L’uragano Sandy è appena passato, lasciando la scultrice senza luce né riscaldamento e forzandola a lavorare al freddo sotto la pallida luce del sole autunnale. Feinstein, che insieme al pittore John Currin forma una delle coppie più potenti dell’arte contemporanea americana, ha un’aria elegante anche imbacuccata in una trapunta. Non si fatica a capire perché, oltre ad essere una scultrice affermata, sia considerata anche una musa da firme della moda come Marc Jacobs e Tom Ford, con cui ha collaborato sia come modella che come creativa.
Insieme al marito Currin, Feinstein ha tre figli e uno dei loft più eleganti ed eccentrici di SoHo, dove mobili in stile modernista si mescolano ad altri Rococò. Dietro la patina glam, però, Feinstein nasconde la praticità di chi è abituato a segare legno e spostare pesi per ricavare sculture ispirate a mondi fiabeschi e temi religiosi. Oltre all’aspetto diafano scopro l’energia che le ha permesso di crescere i figli senza rinunciare alla sua carriera d’artista, tenere testa a un marito considerato uno dei più famosi pittori viventi e non disperarsi mai davanti alle avversità.
Quali altre calamità si sono verificate in corrispondenza delle sue mostre?
“L’Ultima volta è venuta una tempesta di neve pazzesca che ha paralizzato New York proprio nel giorno in cui dovevo finalmente trasportare le mie sculture e installarle nella galleria. Ma l’esperienza più terribile è stata in occasione della mia prima mostra personale, inaugurata subito dopo l’11 settembre. All’inizio volevo cancellare tutto. Mi sembrava non avesse più senso. Ma dopo qualche giorno è successo l’esatto contrario. Gli attentati mi hanno fatto amare ancora di più il mio lavoro di artista e la libertà che mi concede”.
Quando ha cominciato a fare arte?
“Quando rinunciai a fare il Bat Mizvà e m’iscrissi alle prime lezioni di disegno. Mio padre viene da una famiglia osservante ebrea e mi mandò a una scuola religiosa. Mia madre però è cattolica e quando ero piccola mi battezzò in segreto. Quando fu il momento di celebrare il rito ebraico di passaggio s’oppose. E io mi rifugiai nell’arte”. 
Spesso le sue opere contengono disegni ma lei preferisce definirsi scultrice. Perché?
“Mi piace disegnare ma per essere pittori bisogna essere un po’ mistici. Io sono troppo pratica. Quando condividevo l’atelier con mio marito, lui era la donna dello studio ed io l’uomo”.
In che senso?
“Sul lavoro John è superstizioso, ha i suoi riti con i pennelli e mette in mostra il suo lato più femminile, divertendosi perfino a dirigere lo styling delle modelle che usa per dipingere. Fuori, invece, torna ad avere l’atteggiamento del maschio che parla di politica e sesso.
Io, invece, a casa sono tenera e materna ma in studio sono più fisica, mascolina: mi piace aggredire i materiali con cui lavoro. Il problema è che comincio a sentire l’età. Una volta saldavo, segavo e sabbiavo da sola. Ora devo farmi aiutare da assistenti e non mi piace. Oltre che grandi artisti, scultori come Richard Serra e Jeff Koons sono bravi manager, capaci di gestire decine d’impiegati. Io invece non amo comandare la gente”.
Gli artisti possono essere persone piuttosto egocentriche. Come vivono in coppia un pittore e una scultrice?
“Siamo entrambi ambiziosi e ossessionati da noi stessi. Ma stiamo insieme da quasi vent’anni. Ci critichiamo i lavori a vicenda e litighiamo se quello di uno non piace all’altro. Ma riusciamo a capirci molto bene. E nei momenti di stress, come prima di una mostra, sappiamo sempre come supportarci”.
Con la differenza, però, che suo marito è più famoso di lei. Che rapporto ha con la sua fama?
“Ammetto che a volte mi capita di arrabbiarmi quando usciamo insieme e la gente riconosce lui, mentre a me chiede cosa faccio di mestiere. Ma poi mi dico che è inutile prendersela, fra dieci anni la situazione potrebbe essere ribaltata”.
Da dove nasce la passione per la moda?
“Quando ero ancora teenager e vivevo a Miami, Bruce Weber mi notò per la strada e mi propose di posare per un servizio. Da allora ho continuato a collaborare con il mondo della moda: ho posato con Kate Moss, sfilato per Tom Ford e curato il set design per la presentazione delle collezioni di Marc Jacobs”.
Ultimamente moda e arte si sono avvicinate molto.
“E’ vero, anche se nel mio caso questi incontri non sono sempre stati visti di buon grado. Se una donna mostra il suo lato mondano, nel mondo dell’arte c’è sempre qualcuno pronto a liquidarla come poco seria. Ma nessuno osa dir nulla se mio marito o Julian Schnabel comprano abiti sgargianti e vanno ai party più esclusivi”.
Che impatto ha avuto la maternità sulla sua arte?
“Ho sempre pensato di poter avere tutto, famiglia e carriera, senza rinunciare a nulla come fanno gli uomini. Ma creare è un gesto egoistico che richiede totale dedizione, mentre la mia attenzione era spostata sui figli. Provavo un senso di colpa quando m’isolavo nella mia arte. C’è voluta pazienza, ma ora che anche la più piccola è all’asilo va meglio. E sono arrivata alla conclusione che, sì, anche le donne possono avere tutto: è solo una questione di tempo”.

Pubblicato su Io Donna

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