venerdì 23 novembre 2012

Anche il sole parla cinese

Sguardo alla tecnologia d'Estremo Oriente, dove si produce la maggioranza di panneli solari al mondo e anche i supercomputer cominciano a parlare mandarino

La tecnologia per trasformare l’energia solare in corrente elettrica nasce dai laboratori della Silicon Valley californiana. Ma, come accade sempre più spesso alle innovazioni create nel mondo, è nell’Impero Celeste che il fotovoltaico ha trovato la via verso uno sviluppo industriale. Gli enormi capitali statali a disposizione e un mercato interno in piena espansione funzionano da trampolini di lancio
, permettendo a società come Suntech Power e Hanergy di diventare nel giro di pochi anni leader del settore: la prima come produttore di pannelli solari a cristallini di silicio (quelli più comuni) e la seconda per i pannelli thin-film (quelli sottilissimi che sembrano pellicole). Fondata nel 2001 da un ricercatore cinese che ha studiato in Australia, Zhengrong Shi, Suntech ha rivoluzionato il mercato del fotovoltaico. Le scoperte fatte dalla società hanno aumentato l’efficienza di conversione delle sue celle solari, passate dal 14% nel 2001 a oltre il 20% di oggi, abbattendo al contempo i costi di produzione. Queste evoluzioni hanno contribuito a far scendere il prezzo di mercato dei pannelli solari a livello globale, da circa sei dollari per watt nel 2001 a un dollaro per watt di oggi. Ultimamente, il settore del fotovoltaico ha sofferto in seguito a una diminuzione degli incentivi statali e alla riduzione del prezzo del petrolio, che ha reso l’energia solare meno competitiva. Ma l’avanzamento tecnologico e gli enormi capitali a disposizione mettono l’industria cinese al riparo, dando allo stesso tempo un certo lustro al governo di Pechino. Pur continuando ad essere una pecora nera dell'inquinamento a livello globale, infatti, la Cina è il primo esportatore mondiale di pannelli. Situazione che, inevitabilmente, rende il paese anche uno dei principali promotori della crescita di una delle industrie energetiche più pulite al mondo. 

Anche i microchip parlano cinese

I supercomputer sono il cervello della scienza moderna e il motore dello sviluppo economico. Anche in questo campo, la Cina si è distinta per l’avanzamento fulmineo ottenuto negli ultimi dieci anni: nel 2001 non apparivano macchine targate Pechino nella lista dei 500 computer più potenti al mondo, mentre oggi ce ne sono ben 74. Fra queste c’è Milky Way, che nel 2010 è stato per un breve periodo il calcolatore più veloce al mondo e ha una potenza equivalente a quella di 250.000 personal computer. Questa macchina, però, utilizza microprocessori americani. Il suo successore, Sunway BlueLight, invece usa chip creati direttamente dai cinesi.

I passi da gigante fatti dalla Cina in questo campo hanno suscitato una certa ansietà negli Usa, fino ad oggi potenza incontrastata dei supercomputer. Ma gli esperti avvertono che presto Pechino potrebbe incontrare un nuovo limite alla sua avanzata.

“Il prossimo passaggio critico è lo sviluppo dei software”, avverte Jack Dongarra, professore all’università del Tennessee e curatore della classifica dei computer più veloci del mondo. “L’utilità di computer superpotenti dipende molto dalla qualità delle applicazioni disponibili. Al momento i cinesi sono in grado di sviluppare l’hardware, ma non il software necessario a farle funzionare, con il rischio che queste macchine non possano essere sfruttate appieno”.


Articoli pubblicati su L'Uomo Vogue




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