martedì 13 novembre 2012

Bye Bye Occupy


Occupy Wall Street by Lalo Alcaraz
Si scrive Occupy, ma si pronuncia occupai. E in italiano, il suono del nome finisce per descrivere bene lo stato attuale del movimento anticapitalista nato l’anno scorso dall’occupazione del centro finanziario di New York. Dopo aver catturato l’attenzione del pubblico americano per vari mesi con proteste e occupazioni contro lo strapotere delle corporazioni, il movimento di Occupy Wall Street sembra infatti già appartenere al passato remoto. Tutti i presidi sorti in giro per gli Stati Uniti sono stati sgomberati. Una spedizione che quest’estate ha attraversato l’intero paese per dare supporto ed energia al movimento è fallita. E per il primo anniversario della protesta, caduto a metà settembre, a New York sono scese in piazza sì e no duemila persone: meno dei poliziotti chiamati a vigilarle.
Con le elezioni presidenziali alle porte, questo avrebbe dovuto essere l’anno della riscossa del movimento. Come lo è stato per il Tea Party, ala radicale dei conservatori riuscita addirittura a imporre ai repubblicani la candidatura di Paul Ryan accanto a Mitt Romney. Invece la rivolta dei 99% sembra ormai essere evaporata, ridotta ai margini della battaglia dalla mancanza di un’organizzazione centrale e un progetto condiviso. Ma come ha fatto un movimento che solo l’anno scorso galvanizzava l’America a squagliarsi come una medusa al sole?

“Non abbiamo saputo dialogare con il pubblico e coinvolgerlo”, ammette Michael Levitin giornalista che lavora per il sito Occupy.com e sta scrivendo un libro sulla storia del movimento. “Purtroppo oggi l’americano medio associa il termine Occupy con un gruppo di estremisti che sanno poco dei problemi dei cittadini”.
E dire che il movimento era nato proprio sullo slogan “We are the 99%”. Anche per questo, il morale fra i circa duecento attivisti che continuano a formare la spina dorsale della protesta è piuttosto a terra. A un anno dall’inizio delle manifestazioni, i problemi del paese non sono cambiati, ma la forza propulsiva per affrontarli sembra venuta meno. L’influenza delle grandi corporazioni sul processo politico è in aumento, grazie a una recente decisione della Corte Costituzionale che permette ai partiti di ricevere finanziamenti illimitati e anonimi. Le ultime statistiche mostrano che la ricchezza dell’1% di americani continua a crescere a scapito della classe media, che sta assistendo al progressivo arretramento della sua posizione. Ma chi cavalca questo malcontento sono partiti minori come il Green Party e il Justice Party, che si sono appropriati del lessico inventato a Zuccotti Park. E hanno rilanciato con successo la lotta contro le disparità economiche e sociali, che per un momento era stata monopolizzata dalla crociata di Occupy.
L’incredulità davanti a questa situazione è palpabile fra gli attivisti, e sul sito del movimento c’è chi si pone delle domande: “Dove siete finiti?”, si legge in una lettera anonima pubblicata su Occupy.com. “Sei mesi di accampamenti, proteste e tamburi non hanno cambiato la democrazia americana e quindi avete rinunciato?”.
Certo, c’è ancora chi crede che un risveglio del movimento sia possibile, ricordando come OWS abbia inciso in modo indelebile sul dibattito politico domestico.
“Prima di noi, pochi avevano il coraggio di parlare apertamente delle colpe della Borsa e dello strapotere delle corporazioni”, sottolinea Peter Rugh, attivista e veterano dell’occupazione di Zuccotti Park da cui nacque la protesta. “Ora questi temi sono sulla bocca di tutti i politici”.
Ma quell’energia rivoluzionaria che l’anno scorso ha spinto migliaia di persone a scendere in piazza e piantare tende colorate fra i grattacieli di Downtown sembra difficile da ricreare. Fino ad ora il movimento ha misurato la sua forza sull’organizzazione spontanea e la presenza in strada. A giudicare dalle ultime manifestazioni, però, è chiaro che qualcosa debba cambiare.
“Per cambiare il sistema ci vuole tempo, mentre il pubblico pretende risultati immediati”, dice Rebecca Manski, una delle organizzatrici di OWS. “Dobbiamo trovare nuove forme per coinvolgere i giovani”.
Il rischio, altrimenti, è che il nome del movimento si trasformi definitivamente in Occupied, passando al passato remoto anche in inglese. 

Pubblicato su Tu Style

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