La ventennale storia degli atelier
dell’artista Jan Yoors è una perfetta metafora dello sviluppo di Manhattan nel secondo
dopoguerra. L’artista belga sbarca a New York nel 1950 dopo anni di peripezie
che, durante la guerra, lo vedono lavorare per la Resistenza e internato in
vari campi di concentramento.
“Jan rimane affascinato dalla prosperità
degli Stati Uniti e decide subito di restare”, ricorda il figlio Kore, terzo
genito dell’artista fiammingo scomparso nel 1977.
Al termine del conflitto, Yoors non ha più
radici nella Vecchia Europa ed è pronto a ricominciare da capo. Si trasferisce
a New York insieme alle due donne con cui già convive e che negli States gli
daranno tre figli e diventeranno strette collaboratrici sul lavoro.
E trova un laboratorio sulla Quinta strada, a un indirizzo dove oggi neanche il più ricco degli artisti contemporanei potrebbe permettersi uno studio. Soprattutto perché Yoors ha bisogno di spazio, tanto spazio. Insieme alle due compagne, Annabert e Marianne, crea arazzi giganteschi intessuti a mano su telai alti anche 5 metri. Al posto di mescolare le lane colorate per riprodurre le sfumature della pittura, come facevano i maestri tappezzieri classici, Yoors preferisce tenere i colori ben separati e giocare coi contrasti. Lavora spesso senza commissione, su disegni sempre più astratti che, proprio per questo, negli anni saranno molto apprezzati da famosi architetti modernisti: suoi sono gli arazzi appesi nella sede della Marine Midland Bank di Buffalo firmata da Gordon Bunshaft e dell’Humphrey Building disegnato da Marcel Breuer a Washington.
E trova un laboratorio sulla Quinta strada, a un indirizzo dove oggi neanche il più ricco degli artisti contemporanei potrebbe permettersi uno studio. Soprattutto perché Yoors ha bisogno di spazio, tanto spazio. Insieme alle due compagne, Annabert e Marianne, crea arazzi giganteschi intessuti a mano su telai alti anche 5 metri. Al posto di mescolare le lane colorate per riprodurre le sfumature della pittura, come facevano i maestri tappezzieri classici, Yoors preferisce tenere i colori ben separati e giocare coi contrasti. Lavora spesso senza commissione, su disegni sempre più astratti che, proprio per questo, negli anni saranno molto apprezzati da famosi architetti modernisti: suoi sono gli arazzi appesi nella sede della Marine Midland Bank di Buffalo firmata da Gordon Bunshaft e dell’Humphrey Building disegnato da Marcel Breuer a Washington.
“La tappezzeria – scriveva Yoors –
andrebbe considerata come un’arte a sé, anziché come una semplice traduzione
dell’opera di un pittore”.
L’importanza di Yoors come artista – che è
anche scultore, pittore e fotografo – sta proprio nell’aver rivalutando
quest’arte antica, ridandole lustro e importanza nei circoli di curatori e
collezionisti contemporanei.
Invece che fare come Picasso, Calder,
Motherwell e, più tardi, Boetti, che creavano disegni per darli a tessitori
esterni da ingrandire e produrre, Yoors concepiva le sue opere in scala 1 a 1 e
poi le realizzava personalmente con l’aiuto delle due compagne, fondendo così i
ruoli di artista creatore e artigiano realizzatore.
Ma per tessere le sue opere, arazzi alti
anche 8 metri e larghi 3, Yoors ha bisogno di spazio. Il primo lo trova appunto
su Fifth Avenue, in un bel palazzo con giardino già occupato da artisti.
Nell’ampia sala centrale, Yoors costruisce il primo telaio in legno, oggi trasformato
in tavolo dal figlio Kore.
“C’erano sempre dei gatti in casa,
tantoché gli arazzi andavano spesso spazzolati e ripuliti dai peli”.
Nel 1960, il palazzo fu demolito per far
posto a un’anonima costruzione in mattoni bianchi in piedi ancor oggi. Era
l’inizio della gentrificazione della zona, diventata poi uno degli indirizzi
più esclusivi della Grande Mela. Prima di essere definitivamente cacciato dallo
studio, Yoors cerca un’alternativa.
“Un giorno dall’autobus vide una palazzina
con un grande lucernaio che affacciava direttamente sull’East River, a un passo
dalle Nazioni Unite”, racconta Kore.
Oggi a quell’indirizzo sorge una torre di
Donald Trump – un grattacielo nero e lucido, dal design arrogante quanto il suo
proprietario – ma allora la zona era ancora terra di nessuno, nonostante la
presenza dell’ONU facesse già intuire la possibilità di speculazioni future.
L’atelier, al 329 East di 47th Street, era
una vecchia fonderia e Yoors si trasferì con la famiglia. Ai tempi aveva già
avuto due figli da Annabert, Lyuba e Vanya, e
stava per avere il terzo, Kore, da Marianne.
“Per lavarsi c’era solo una vasca da bagno
recuperata da un palazzo in demolizione. Ma siccome teoricamente non aveva
l’abitabilità, era stata nascosta adattando lo scarico che finiva in una
grondaia attraverso la finestra”.
Il loft è talmente grande che in un angolo
c’è una casetta in legno per la figlia Lyuba. È lo spazio perfetto per feste e concerti, cosa che l’artista fa
regolarmente. Dizzy Gillespie suona in quella casa e Andy Warhol la frequenta.
Yoors è un ospite instancabile e riesce così a intessere una fitta rete di
relazioni con artisti, galleristi, imprenditori, ma anche con gente di strada.
“Mio padre era a suo agio fra i gitani e
gli operai di Spanish Harlem, come fra i capitani d’industria e i banchieri”.
Ma l’idillio sulla 47esima dura meno di un
decennio. Nel 1967 la fonderia viene demolita e Yoors deve nuovamente
trasferirsi. Non che questo lo spaventi, anzi. L’artista ha una certa abitudine
al nomadismo. Quando ha appena 12 anni si unisce a un clan di Rom di passaggio
per Anversa, sua città natale, e torna a casa solo dopo sei mesi. Da allora, e
per tutta l’adolescenza, continua a dividere il suo tempo fra la famiglia
naturale e quella gitana che gira l’Europa. Questa esperienza lascia una
traccia profonda nella sua personalità.
“Quando sono con i gajo (non-rom, ndr) mi domando come ho potuto
integrarmi con i gitani”, dichiara Yoors in un’intervista del 1951. “Ma quando
mi ritrovo seduto per terra a gambe incrociate e piedi scalzi, mi sento molto
più zingaro che gajo”.
Da Midtown, l’artista si sposta nel cuore
del Greenwich Village, al 108 di Waverly Place, dove trova un altro grande
spazio. Il pianterreno misura più di 200 metri quadri, con un soffitto di 5
metri. Rispetto agli altri atelier, inoltre, ha due vantaggi: un riscaldamento funzionante
e gli alimentari italiani che pullulano nelle vie adiacenti.
“Si mangiava bene per poco”, ricorda Kore.
“Oggi le botteghe ci sono ancora ma sono gioiellerie o negozi di moda”.
Come nelle atre case-studio, anche qui tutto
ruota intorno al telaio.
Qui Yoors continua a produrre per dieci
anni, al ritmo di un arazzo ogni 6-9 mesi, finché un infarto causato dal
diabete non lo stronca prematuramente a 55 anni, lasciando oltre 100 bozzetti per
tappezzerie ancora da realizzare.
Quattro anni prima di morire Yoors perde
un occhio ed è costretto ad amputare entrambe le gambe. Nonostante la
situazione drammatica, Kore lega quel momento a uno dei ricordi più cari della
casa, che si trasforma in un caravanserraglio da cui transitano decine di rom
venuti per accudire l’amico in difficoltà.
“Arrivarono anche dalla Malesia e dal
Sudafrica e non se ne andarono finché mio padre non usci dall’ospedale e
ritrovò le forze per ricominciare a lavorare”.
Pubblicato su Casa Vogue
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