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Foto Andrea Steele |
Il palazzo è uno dei più belli del
quartiere di Soho, ma per oltre un decennio è rimasto nascosto dalle
impalcature che coprivano la facciata con le grandi finestre incorniciate dalle
colonne in ghisa. Ora l’attesa è finita e, dopo un lungo processo di ristrutturazione,
lo studio-abitazione dello scultore Donald Judd sta per aprire le porte al
pubblico. I trabattelli sono già scomparsi e a Giugno sarà accessibile anche lo
spazio che l’esponente della minimal art aveva
riempito con opere sue e di suoi contemporanei come Dan Flavin, Carl Andre,
Claes Oldenburg e Frank Stella.
Alla sua morte nel 1994, l’artista
americano ha voluto che l’ex fabbrica, acquistata quando SoHo era un ghetto
semiabbandonato, aprisse al pubblico. Con la condizione, però, che gli interni
rimanessero invariati. Judd era famoso per creare volumi con materiali
industriali come l’alluminio e il plexiglass. Ma la sua ricerca si estendeva
anche al rapporto fra le opere e lo spazio circostante.
“Preservare la sua impronta, rendendo lo
spazio agibile al pubblico era l’obiettivo principale”, dice Adam Yarinsky,
architetto responsabile della ristrutturazione.
Lo spazio avrebbe dovuto essere rinnovato
già da tempo, ma i costi proibitivi hanno frenato Judd. Solo dopo la sua
scomparsa, la Fondazione creata in suo nome è riuscita a raccogliere la cifra
necessaria. E con un investimento di oltre 20 milioni di dollari i lavori sono
cominciati nel 2006.
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Foto courtesy Rainer Judd |
Le alterazioni della struttura originale
sono state tenute al minimo, preservando pareti scrostate e pavimenti segnati
dall’usura. E il risultato è davvero impressionante. Le finestre che occupano
più di tre quarti della facciata sono tornate al vecchio splendore, riempiendo
di luce ogni piano. Il primo è il centro nevralgico della casa, con la cucina e
i mobili disegnati dallo scultore. Il secondo è lo studio dell’artista, il
terzo la sala da pranzo con un lungo tavolo e un quadro dell’amico Stella;
l’ultimo la camera da letto, col soppalco per i figli e un’istallazione di
Flavin. Tutto è stato lasciato come se fosse abitato. Ci sono i bagni con i
lavandini in metallo progettati da Judd; le scaffalature cariche di bicchieri
di baccarat e persino la botola nel sottoscala usata come teatrino delle
marionette.
“Spero che i visitatori non lo considerino
solo come un luogo storico”, dice Rainer Judd, figlia dello scultore. “Ma
riescano a cogliere l’equilibrio di proporzioni pensato da mio padre per
apprezzare le opere”.
Pubblicato su Casa Vogue
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