Ravi Coltrane ama il sax perchè è lo strumento più adatto a improvvisare. E con il primo album inciso per Blue Note conferma di essere molto più che il "il figlio di Trane".
Vedendolo salire sul palco del Birdland e
imbracciare il sax nello stesso tempio del jazz newyorkese dove suo padre
incise un album live che lo consacrò fra i grandi musicisti del mondo, è
impossibile non porsi la domanda: cosa ha spinto Ravi Coltrane, figlio del dio
del sax John, a misurarsi con lo stesso strumento con cui il padre registrò
pietre miliari del jazz come Blue Train
e A Love Supreme? Il modo migliore
per risolvere la curiosità è ascoltare l’ultimo disco di Ravi, Spirit Fiction, riconoscendone la
complessità strutturale e la maturità artistica. E fare attenzione
all’etichetta che l’ha prodotto: Blue Note, leggendaria casa discografica che
negli ambienti musicali equivale a un certificato di qualità e riconoscimento.
Questo serve innanzitutto a dissipare
eventuali pregiudizi, che Ravi è pronto a giustificare.
“Se vedessi il figlio di Miles Davis
suonare la tromba”, ammette seduto a uno dei tavolini del Birdland al termine
dello shooting fotografico. “Gli direi anch’io di cambiare strumento”.
Eppure, quando è stato il suo turno di
scegliere cosa suonare, non ha avuto dubbi.
“Il sax rappresenta il livello più alto
dell’improvvisazione musicale. Tutti i più grandi innovatori nel jazz sono
stati sassofonisti”, dice il musicista quarantasettenne. “E poi era lo
strumento migliore per rimorchiare ragazze”, scherza confessando, in realtà, di
essere sempre stato una frana nella parte del rubacuori.
Il sassofonista ha modi gentili e mani ben
curate, con lunghe dita sinuose. Parla in modo rilassato, anche quando affronta
il tema del confronto con Coltrane senior, che lo assilla dai tempi
dell’università.
La musica è sempre stata nel suo dna. La
madre Alice era una pianista di talento. E l’influenza del padre, scomparso
quando aveva quasi due anni, è stata fondamentale. Anche se in un modo
indiretto. Ravi non è cresciuto ascoltando jazz. La musica è sempre stata
importante, come testimoniano i ricordi dei lunghi pomeriggi dell’adolescenza
passati da solo ad ascoltare musicassette sullo stereo della macchina della
madre. Ma allora le sue colonne sonore erano fatte più che altro di R&B,
Rock e musiche per film.
Il jazz ha cominciato ad ascoltarlo dopo i
vent’anni, per un motivo del tutto pratico. “Volevo evitare di sentirmi
imbarazzato ogni volta che la gente mi domandava qualcosa di mio padre”.
A furia di ascoltare i suoi dischi, però,
il jazz lo coinvolse a tal punto da abbandonare l’idea che aveva coltivato fino
allora di fare il fotografo.
“All’inizio non pensavo neanche a fare il
musicista. Volevo solo conoscere meglio la musica”.
Fino ad allora, non aveva mai considerato
il suo cognome come una predestinazione. Nella California degli anni Settanta
dove è cresciuto, i protagonisti del jazz erano ancora relativamente
sconosciuti fuori dai circoli di appassionati. E, fra i suoi amici, nessuno lo
ricollegava al maestro di Post-bop. Una volta arrivato al California Institute
of the Arts all’età di ventuno anni, però, le cose cambiarono.
“Lì divenni improvvisamente il figlio di
John Coltrane”, dice sorseggiando una birra. “Un nome pieno di aspettative”.
Da subito Ravi capì che era inutile
ribellarsi. Toccava a lui guadagnarsi il rispetto degli altri, lavorando sodo e
dimostrando quel che sapeva fare senza prendere scorciatoie. Per questo per i
primi quindici anni ha preferito farsi le ossa come sideman in progetti di
altri musicisti, rinunciando a usare il suo cognome come specchietto per le
allodole. Ed evitando di scimmiottare i jazzisti classici, a partire dal modo
di apparire. Mentre per i musicisti come suo padre, ad esempio, un abito
elegante era di rigore sul palcoscenico, Ravi ha sempre preferito uno stile più
casual.
“Essere autentico è la cosa più importante
per un jazzista. In giacca e cravatta non mi sento me stesso”.
Coltrane ha cominciato a incidere il primo
disco a trentatré anni e da allora ne ha pubblicati sei da band leader,
segnando una crescita graduale ma stabile che l’ha portato ad approdare
all’olimpo della Blue Note. Non stupisce quindi che per il suo debutto con la
casa discografica non abbia risparmiato nulla, arrivando anche a cambiare band
in fase di registrazione. Una parte di Spirit Fiction, che gli è valso una
nomination al Grammy 2013 per il miglior assolo improvvisato, è stata infatti
realizzata con un quartetto, mentre l’altra è stata incisa con un quintetto
diverso. L’occasione era troppo importante per accontentarsi. D’altronde
Coltrane sa bene quanto sia complicato oggi pubblicare dischi di jazz, con
l’industria discografica in crisi e miriadi di proposte musicali che fioccano su
internet. Questo vale anche quando si tratta di nomi affermati del calibro di
suo padre. Ravi possiede un numero imprecisato di sue registrazioni inedite.
Alcune sono di scarsa qualità. Altre invece, come un’incisione fatta nel 1966
alla Temple University di Philadelphia, in perfette condizioni. L’etichetta
Verve aveva già disegnato la copertina del disco, ma all’ultimo momento si è
tirata indietro citando problemi di budget.
“Oggi chiunque può produrre un brano e
distribuirlo via internet. E’ affascinante, ma distorce il modo di valutare la
musica, rendendo più difficile riconoscere dove sta la qualità”.
Pubblicato su L'uomo Vogue
Nessun commento:
Posta un commento