lunedì 1 aprile 2013

Nel nome del padre, a colpi di sax


Ravi Coltrane ama il sax perchè è lo strumento più adatto a improvvisare. E con il primo album inciso per Blue Note conferma di essere molto più che il "il figlio di Trane".

Vedendolo salire sul palco del Birdland e imbracciare il sax nello stesso tempio del jazz newyorkese dove suo padre incise un album live che lo consacrò fra i grandi musicisti del mondo, è impossibile non porsi la domanda: cosa ha spinto Ravi Coltrane, figlio del dio del sax John, a misurarsi con lo stesso strumento con cui il padre registrò pietre miliari del jazz come Blue Train e A Love Supreme? Il modo migliore per risolvere la curiosità è ascoltare l’ultimo disco di Ravi, Spirit Fiction, riconoscendone la complessità strutturale e la maturità artistica. E fare attenzione all’etichetta che l’ha prodotto: Blue Note, leggendaria casa discografica che negli ambienti musicali equivale a un certificato di qualità e riconoscimento.
Questo serve innanzitutto a dissipare eventuali pregiudizi, che Ravi è pronto a giustificare.
“Se vedessi il figlio di Miles Davis suonare la tromba”, ammette seduto a uno dei tavolini del Birdland al termine dello shooting fotografico. “Gli direi anch’io di cambiare strumento”.
Eppure, quando è stato il suo turno di scegliere cosa suonare, non ha avuto dubbi.
“Il sax rappresenta il livello più alto dell’improvvisazione musicale. Tutti i più grandi innovatori nel jazz sono stati sassofonisti”, dice il musicista quarantasettenne. “E poi era lo strumento migliore per rimorchiare ragazze”, scherza confessando, in realtà, di essere sempre stato una frana nella parte del rubacuori.
Il sassofonista ha modi gentili e mani ben curate, con lunghe dita sinuose. Parla in modo rilassato, anche quando affronta il tema del confronto con Coltrane senior, che lo assilla dai tempi dell’università.
La musica è sempre stata nel suo dna. La madre Alice era una pianista di talento. E l’influenza del padre, scomparso quando aveva quasi due anni, è stata fondamentale. Anche se in un modo indiretto. Ravi non è cresciuto ascoltando jazz. La musica è sempre stata importante, come testimoniano i ricordi dei lunghi pomeriggi dell’adolescenza passati da solo ad ascoltare musicassette sullo stereo della macchina della madre. Ma allora le sue colonne sonore erano fatte più che altro di R&B, Rock e musiche per film.
Il jazz ha cominciato ad ascoltarlo dopo i vent’anni, per un motivo del tutto pratico. “Volevo evitare di sentirmi imbarazzato ogni volta che la gente mi domandava qualcosa di mio padre”.
A furia di ascoltare i suoi dischi, però, il jazz lo coinvolse a tal punto da abbandonare l’idea che aveva coltivato fino allora di fare il fotografo.
“All’inizio non pensavo neanche a fare il musicista. Volevo solo conoscere meglio la musica”.
Fino ad allora, non aveva mai considerato il suo cognome come una predestinazione. Nella California degli anni Settanta dove è cresciuto, i protagonisti del jazz erano ancora relativamente sconosciuti fuori dai circoli di appassionati. E, fra i suoi amici, nessuno lo ricollegava al maestro di Post-bop. Una volta arrivato al California Institute of the Arts all’età di ventuno anni, però, le cose cambiarono.
“Lì divenni improvvisamente il figlio di John Coltrane”, dice sorseggiando una birra. “Un nome pieno di aspettative”.
Da subito Ravi capì che era inutile ribellarsi. Toccava a lui guadagnarsi il rispetto degli altri, lavorando sodo e dimostrando quel che sapeva fare senza prendere scorciatoie. Per questo per i primi quindici anni ha preferito farsi le ossa come sideman in progetti di altri musicisti, rinunciando a usare il suo cognome come specchietto per le allodole. Ed evitando di scimmiottare i jazzisti classici, a partire dal modo di apparire. Mentre per i musicisti come suo padre, ad esempio, un abito elegante era di rigore sul palcoscenico, Ravi ha sempre preferito uno stile più casual.
“Essere autentico è la cosa più importante per un jazzista. In giacca e cravatta non mi sento me stesso”.
Coltrane ha cominciato a incidere il primo disco a trentatré anni e da allora ne ha pubblicati sei da band leader, segnando una crescita graduale ma stabile che l’ha portato ad approdare all’olimpo della Blue Note. Non stupisce quindi che per il suo debutto con la casa discografica non abbia risparmiato nulla, arrivando anche a cambiare band in fase di registrazione. Una parte di Spirit Fiction, che gli è valso una nomination al Grammy 2013 per il miglior assolo improvvisato, è stata infatti realizzata con un quartetto, mentre l’altra è stata incisa con un quintetto diverso. L’occasione era troppo importante per accontentarsi. D’altronde Coltrane sa bene quanto sia complicato oggi pubblicare dischi di jazz, con l’industria discografica in crisi e miriadi di proposte musicali che fioccano su internet. Questo vale anche quando si tratta di nomi affermati del calibro di suo padre. Ravi possiede un numero imprecisato di sue registrazioni inedite. Alcune sono di scarsa qualità. Altre invece, come un’incisione fatta nel 1966 alla Temple University di Philadelphia, in perfette condizioni. L’etichetta Verve aveva già disegnato la copertina del disco, ma all’ultimo momento si è tirata indietro citando problemi di budget.
“Oggi chiunque può produrre un brano e distribuirlo via internet. E’ affascinante, ma distorce il modo di valutare la musica, rendendo più difficile riconoscere dove sta la qualità”. 

Pubblicato su L'uomo Vogue

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