giovedì 19 aprile 2012

Lothar Osterburg, the print-maker version's


Un vecchio proverbio dei paesi anglofoni dice: “One man’s trash is another man’s tresure”, cioè quello che per qualcuno è spazzatura, per altri è un tesoro. Da quando si è trasferito a New York, l’artista tedesco Lothar Osterburg sembra aver fatto di questo detto il suo motto, raccogliendo materiale di scarto che accumula nel suo studio per creare le sculture e le scenografie alla base delle sue opere.
“Il laboratorio è pieno di roba in attesa di essere riciclata”, dice Osterburg rovistando fra scaffali traboccanti di oggetti trovati per strada.

Lo spazio in cui lavora in un’ex fabbrica di Brooklyn è un luogo a metà strada fra la bottega dell’artigiano, il deposito del robivecchi e l’atelier dell’artista: le opere finali prodotte da Osterburg sono heliogravure, sofisticate fotoincisioni ottenute con una tecnica inventata nell’Ottocento. Prima di arrivare a creare le stampe però, l’artista tedesco cura personalmente tutto il processo, costruendo, fotografando, incidendo e stampando le immagini su carta. Da solo, senza l’aiuto di assistenti, questo incisore-scultore arriva a produrre solo poche immagini all’anno. Ma è contento così.
“Mi considero un po’ come un artista rinascimentale”, ammette Osterburg in un inglese che tradisce ancora le origini teutoniche, nonostante viva negli Stati Uniti da più di venticinque anni. “Voglio avere il pieno controllo del processo creativo. Per questo amo fare tutto con le mie mani”.
Così il tappo di metallo di un vasetto da conserva diventa la ruota di un carro, le pagine di un’enciclopedia si trasformano in vagoni della metropolitana, gli stuzzicadenti in pali della luce. I dettagli sono spesso sfumati e le forme bizzarre degli oggetti ritrovati lo aiutano a infondere vita alle immagini.
In preparazione di Zenobia
“Qualsiasi paesaggio contiene forme che la nostra mente non riesce a identificare, come lo sporco accumulato lungo la strada. Noi tendiamo a ricordare solo ciò che riconosciamo. Ma sono proprio i dettagli sconosciuti a dare carattere ai ricordi”.
I suoi modellini riproducono spesso strutture architettoniche in scala ridotta. E le stampe finali hanno un tratto onirico, con l’uso di sfuocati e l’obiettivo fotografico sistemato nel mezzo della scena, come a rappresentare il punto di vista di un passante. La prospettiva che ne risulta è sfalsata e maschera le proporzioni reali, creando un mondo fiabesco.
“Questa tecnica funziona bene con temi nostalgici, fantasie di mondi sospesi fra passato e futuro”, sottolinea l’artista cinquantenne, titolare di una borsa di studio della Guggenheim Foundation.
I paesaggi di una New York fatta di traffico e viadotti, le città invisibili immaginate da Italo Calvino nel libro omonimo, le architetture fantastiche delle Carceri di Giambattista Piranesi sono fra le fonti da cui Osterburg trae ispirazione. I suoi modellini sono vere e proprie scenografie e spesso l’artista le sfrutta per realizzare video, come quello che presenterà questo mese a New York, nato da una collaborazione con la moglie, la compositrice Elizabeth Brown, e intitolato A Bookmobile for Dreamers. Anche i libri sono una presenza ricorrente nelle sue opere (l’ultima mostra tenuta a New York a febbraio s’intitolava Library Dreams and Yesterday’s City of Tomorrow).
“Sono affascinato dai libri, perché rappresentano un’idea di scoperta che va scomparendo. Oggi i computer e la tecnologia ci permettono, in teoria, di farne a meno. Senza i libri, però, si perde parte del piacere e della sorpresa legati alla scoperta”.
In un’epoca in cui sempre più spesso gli artisti si affermano solo grazie alle loro idee, lasciando la realizzazione delle opere a stuoli di assistenti, Osterburg è una mosca bianca.
“Mi piace occuparmi di tutto il processo per realizzare un’opera. Più che la meta finale, m’interessa il percorso intrapreso per raggiungerla”.
Anche per questo l’artista ha sempre preferito concentrasi su oggetti di propria creazione, invece che trovare modelli reali o già esistenti.
E dire che da giovane i suoi insegnati lo avevano definito pigro. Dopo il liceo, Osterburg sognava di iscriversi al conservatorio. Allora suonava il contrabbasso e voleva diventare musicista. Subito prima della fine della scuola, però, il suo insegnante di musica aveva convocato i genitori per consigliargli di far cambiare idea al figlio. A suo parere il ragazzo non si applicava abbastanza ed era chiaro che non sarebbe arrivato mai lontano nel mondo della musica. “Al momento fu un duro colpo da digerire, ma poi si rivelò la cosa migliore che potesse capitarmi”.
Modellino di preparazione per Bookmobile for Dreamars
Abbandonata l’idea del conservatorio, Osterburg decide di iscriversi a una scuola d’arte dove comincia ad interessarsi di incisioni e fotografia.
“Finalmente capì cosa significa perdere il senso del tempo e lasciarsi completamente assorbire da quello che si sta facendo”, ricorda. “Un’esperienza che non mi era mai successa in tutti le ore passate a esercitarmi suonando”.
Poco dopo la fine dell’università, vince una borsa di studio per San Francisco e lì comincia a lavorare realizzando stampe e incisioni per altri artisti.
“Il printmaker è il gradino più basso nella categoria dell’artista. Molti considerano questo lavoro solo come un’attività artigianale”.
All’inizio degli anni Novanta, l’artista francese Christian Boltanski gli chiede di realizzare delle stampe con la tecnica della heliogravure, o fotocalcografia al bitume, considerata il più complesso dei procedimenti fotomeccanici derivati dalla sperimentazione fotografica di fine Ottocento. Questa tecnica consiste nel riportare un’immagine fotografica su una lastra di rame preparata con acidi, per poi trasferirla su carta. La heliogravure è stata in voga fino ai primi anni del Novecento, ma oggi sono rimasti in pochissimi ad utilizzarla. L’esecuzione è laboriosa, ma il risultato è di grande impatto visivo, con toni morbidi e vellutati. Da allora Osterburg si è specializzato in questa tecnica e ha prodotto un vasto repertorio d’immagini dalle atmosfere surreali e grottesche che richiamano le opere di Piranesi.
“Mi sono sempre identificato molto con l’artista italiano”, conferma Osterburg. “Siamo entrambi incisori e per anni anche lui fu costretto a guadagnarsi da vivere stampando opere d’altri”.
Un altro aspetto che accomuna i due artisti, è la tendenza a ritornare sulle proprie opere nel tempo. Piranesi modificò più volte le lastre delle Carceri. Anche Osterburg spesso rimette mano ai modelli e alle sculture che ha già fotografato per realizzare nuove composizioni. Oppure, dopo aver stampato una lastra, ritorna a inciderla col bulino per ricavarne immagini differenti.
“Tendo a pensare che le mie opere siano in continua evoluzione. Essendo interessato al percorso più che al traguardo, mi piace l’idea di estendere il viaggio all’infinito”.

Pubblicato su Casa Vogue

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