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Photo by Milton H. Greene |
La villa di Summit Drive di Sammy Davis Jr. era un regno di mille metri quadrati dove il celebre cantante e attore si rifugiava dopo le tournée. Sempre animata da un costante viavai di ospiti. Che ruotavano intorno al bar del salotto, dove il padrone di casa amava preparare cocktails per tutti.
Quando comprò la sua prima casa in una
delle vie più esclusive di Beverly Hills, Sammy Davis Jr. non chiese aiuto a un
architetto per arredarla. La villa di Summit Drive era passata dalle mani di
Tony Curtis a quelle di Joan Collins, e aveva bisogno di una rinfrescata. Ma
l’intrattenitore, ancora oggi considerato l’artista di colore più famoso
d’America, preferì fare di testa sua.
Solo alla fine si rivolse alla
decoratrice del suo nightclub preferito, che gli consigliò di aggiungere un
divano circolare sprofondato nel pavimento e una vasca di peschi piranha al
posto del camino.
“Ne andava fiero perché gli ricordava
l’atmosfera dei locali notturni in cui era cresciuto”, ricorda Amy Greene,
amica del cantante di Harlem e moglie dell’autore di questo servizio fotografico.
Davis cominciò ad esibirsi quando aveva
tre anni in spettacoli di vaudeville. In seguito alla separazione dalla madre
Elvira, il padre lo portava con sé in tournè, travestendolo all’occorrenza da
adulto-nano per sfuggire alle leggi contro il lavoro minorile.
Da allora la vita di Davis è sempre
ruotata intorno a nightclub e cabaret. Soprattutto a Las Vegas, dove la sua
fama trova consacrazione alla fine degli anni Cinquanta, quando Sinatra lo
invita ad aggiungersi a Dean Martin, Peter Lawford e Joey Bishop per formare il
mitico Rat Pack.
Non è un caso, quindi, che il centro di
gravità della villa di Beverly Hills fosse il bar del salotto.
“C’era sempre un gran viavai di gente e
Sammy si divertiva improvvisandosi barman e intrattenendoci da dietro il
bancone”, ricorda Greene che, pur vivendo a New York, era un’ospite regolare
col marito Milton. “Per noi era come una seconda casa sull’altra costa”.
Musicista, ballerino, comico e attore,
Davis viaggiava molto per lavoro, ma quando era a Los Angeles usciva di rado,
preferendo ospitare feste e banchetti. Dietro gli alti muri che cintavano il
giardino, al riparo da occhi indiscreti, aveva costruito tutto ciò che gli
serviva: la villa di mille metri quadri aveva una piscina, una sala prove e uno
studio di registrazione. C’erano una stanza per le pistole (che il protagonista
della versione originale di Ocean’s 11
maneggiava con destrezza e collezionava avidamente) e una cucina professionale,
dove Davis si cimentava preparando cene e manicaretti. E un grande schermo per
proiettare film che riusciva spesso ad ottenere in anteprima. Il cantante
possedeva una grande collezione di pellicole e le sue movie-night erano un
appuntamento fisso, a cui partecipavano gli ospiti più disparati:
dall’anchorman Johnny Carson all’attrice porno Linda Lovelace, protagonista del
film Deep Throat di cui Davis era un
grande ammiratore. La sua rubrica di contatti, che portava con sé anche in
viaggio, conteneva migliaia di numeri di telefono.
“Poteva alzare la cornetta e chiamare
Grace Kelly”, dice Greene “Aveva il numero di chiunque contasse qualcosa in
America”.
L’artista aveva un ristretto gruppo di
amici intimi, ma le sue frequentazioni erano molto varie e gli invitati
tendevano ad avere un tratto comune: erano persone brillanti con qualcosa da
dire. Fin da giovanissimo Davis era stato impegnato sui palcoscenici di mezza
America senza avere il tempo di finire le scuole. Aveva imparato da solo a
leggere e scrivere ma, da persona curiosa ed intelligente, era riuscito nel
frattempo a costruirsi una buona cultura da autodidatta.
“Quando era a casa amava circondarsi di
persone intelligenti che potessero stimolarlo intellettualmente”, dice Joshua
Greene, figlio di Amy a cui Davis fece da padrino. “Era come una spugna:
assorbiva tutto”.
I gusti lussuosi di Davis sono evidenti in
tutta la casa, equipaggiata con gli ultimi ritrovati della tecnologia, compresa
una collezione di videogiochi da bar (Pacman
era il suo preferito) e un impianto di telecamere a circuito chiuso che gli
permetteva di controllare ogni angolo della villa direttamente dalla camera da
letto.
Oltre ad essere curioso di natura, Davis
aveva qualche buon motivo di essere preoccupato per la sua sicurezza. Da sempre
in prima linea nella battaglia per il riconoscimento dei diritti civili, fu
minacciato più volte per la sua visione liberale dei rapporti interraziali.
Negli anni Cinquanta, quando cominciò a circolare la notizia che il cantante
avesse una relazione clandestina con Kim Novak, fu minacciato ripetutamente e finì
con lo sposare in gran fretta una ragazza afroamericana per riparare lo
scandalo. Il matrimonio non durò e quando, pochi anni dopo, l’attore si risposò
con l’attrice svedese May Britt le minacce ricominciarono. Ma Davis non si
preoccupò mai più di tanto, continuando con il suo stile di vita un po’ sopra
le righe.
In casa fece trasformare una stanza
gigantesca nel suo guardaroba per ospitare una collezione di scarpe e vestiti
che faceva invidia a un grande magazzino. Aveva un camerino per prepararsi alle
serate importanti, un maggiordomo che si prendeva cura dei suoi abiti e un
parrucchiere che lo pettinava. C’era anche un armadio riservato agli occhiali
da sole che, dopo l’incidente in cui perse un occhio, non si toglieva mai fuori
da casa.
“L’occhio di vetro gli dava fastidio e
quando era senza occhiali continuava a tormentarlo con un fazzoletto”, ricorda
Greene.
Era sempre elegante e arrivava a cambiarsi
d’abito anche tre volte al giorno. Oltre a Sinatra, di cui tendeva a seguire
l’esempio come di un fratello maggiore, i suoi modelli di stile erano Cary
Grant e Fred Astaire.
Non in tutto, però, Davis aveva gusti
raffinati.
“I quadri alle pareti erano orrendi, ma a
volte si lasciava consigliare. Comprai per conto suo un dipinto di Andy Warhol,
senza che neanche sapesse di cosa si trattava”, ricorda Greene.
Davis visse in quella casa oltre
vent’anni. In questo periodo al suo fianco si sono alternate due mogli e un
numero imprecisato di amanti. Ma la villa di Summit Drive è sempre rimasta
unicamente espressione del carattere da bon
viveur del suo proprietario.
“Senza il suo permesso – conclude Greene –
lì dentro nessuno osava spostare neanche una sedia”.
Pubblicato su Casa Vogue
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