lunedì 2 aprile 2012

Missione impossibile: ripulire il Gange

Foto di Nicola Scevola
Veer Bhadra Mishra racconta il suo tentativo di purificare le acque del fiume più sacro - e in inquinato - del mondo. L'ingegnere idraulico, che è anche capo di uno dei templi più importanti di Varanasi, ha pensato un sistema sostenibile fatto di vasche di decantazione e alghe-spazzino.


Come le migliaia di fedeli indù che si recano in pellegrinaggio a Varanasi, ogni giorno Veer Bhadra Mishra prega rivolto al Gange e beve le sue acque marroni e puzzolenti. Mishra è la guida spirituale di uno dei templi più importanti della città e non può sottrarsi al dovere di venerare il fiume più sacro dell’India.
Allo stesso tempo, però, questo 72enne dalla folta chioma argentata, è anche un ingegnere idraulico. Ed è ben consapevole delle malattie che le acque inquinate del fiume possono causare.
Ogni giorno centinaia di cadaveri sono cremati sulle rive del Gange. Il fiume è costellato da rifiuti e, a volte, perfino dai cadaveri di fedeli troppo poveri per permettersi la cremazione. Lungo le rive di Varanasi, l’acqua è praticamente settica, cioè contiene pochissimo ossigeno. Ma è zeppa di batteri fecali: circa un milione di volte oltre lo standard di una zona balneabile.
“La mia parte razionale riconosce che quest’acqua è pericolosa”, ammette Mishra. “Ma il cuore mi spinge a continuare a venerarla”.
Per risolvere il problema, trent’anni fa Mishra ha fondato la Swatcha Ganga Abhiyan (SGA, http://swatchaganga.com), associazione che lavora per monitorare l’inquinamento del fiume. La causa principale sono le fognature di Varanasi che scaricano direttamente nel fiume. Ma i frequenti black out escludono la possibilità di costruire un impianto elettrico. Con l’aiuto dell’università americana di Berkley, Mishra ha disegnato quindi un sistema di canali a precipitazione per deviare le acque. E un impianto per depurarle che sfrutta i batteri contenuti in alghe naturali. L’impianto prevede la creazione di grandi vasche di alghe dove l’acqua viene lasciata a decantare al sole. Gli scarti del processo possono poi essere riutilizzati come concimi. Nel 2008 il progetto è stato approvato dal governo indiano e il primo impianto pilota dovrebbe essere costruito entro quest’anno. Ma i tempi della burocrazia indiana sono lunghi e SGA sta ancora aspettando i soldi.
Nel frattempo, Mishra si dedica alla sensibilizzazione dell’opinione pubblica. La credenza dei fedeli, infatti, rende difficile anche il riconoscimento dell’esistenza del problema.
“Il Gange è la dea madre”, sottolinea Mishra. “Non possiamo dire alla gente che è inquinato, dobbiamo dire che è malato”.

Pubblicato su L'Uomo Vogue

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