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Foto di Nanni Fontana |
Il virologo americano che scoprì il virus, ha creato un network a livello mondiale. Per condividere scoperte e far avanzare le ricerche.
La popolazione mondiale è divisa equamente
fra generi, ma se si considerano le statistiche dei malati di Aids, si potrebbe
credere che le donne siano ben più numerose degli uomini. Il virus, che
teoricamente non discrimina, continua infatti a colpire il genere femminile più
di quello maschile. Nell’Africa sub-sahariana, la zona più flagellata dalla
malattia, le donne rappresentano quasi il 60% dei sieropositivi. Una volta
infette, inoltre, tendono a subire più abusi rispetto ai maschi. Secondo uno
studio di UNAIDS, lo stigma della malattia cambia secondo il sesso di chi la
contrae.
Gli squilibri cultuali e socio-economici
fra generi, che in maniera più o meno velata esistono ancora ovunque, sono alla
base di questa sproporzione nell’incidenza del virus: le condizioni di
svantaggio riducono spesso la possibilità femminile di negoziare il modo in cui
viene praticato il sesso o in cui è possibile proteggersi dall’HIV. Inoltre,
limitano l’accesso alle informazioni riguardanti le malattie sessuali e ai
servizi di prevenzione.
Nonostante i grandi progressi fatti per ridurre il
numero d’infezioni e diffondere le nuove terapie antiretrovirali, le donne si
trovano quindi in prima linea nel combattere questo virus, scoperto trent’anni
fa da una squadra di scienziati franco-americani. In occasione
dell’anniversario della pubblicazione del primo articolo scientifico che diede
notizia dell’isolamento del virus, abbiamo incontrato Robert Gallo, virologo
americano considerato il padre di questa scoperta insieme al collega francese Luc
Montagnier. E gli abbiamo chiesto di fare un bilancio sulla battaglia contro la
malattia, di cui oggi soffrono ancora 34 milioni di persone in tutto il mondo.
Qual è la priorità nella lotta all’Aids in questo momento?
“Il mio motto resta: testare e curare. La
cosa più urgente è individuare i soggetti sieropositivi e fornirgli accesso alle
terapie già esistenti. Sono cocktail di medicinali antiretrovirali che, se
presi con regolarità, danno ai pazienti la possibilità di avere una buona
qualità di vita. Il problema è renderli disponibili ovunque a prezzi
ragionevoli”.
Le donne sono la categoria maggiormente a rischio. Si può fare qualcosa in
questo senso?
“Certo, ma la risposta in questo caso
spetta alla politica più che alla scienza”.
I medicinali danno ancora effetti collaterali estremi come accadeva un
tempo?
“Generalmente no. In alcuni casi si è
notato un incremento di certi tipi di tumori e di problemi cardio-vascolari. Ma
rispetto al passato, stiamo vincendo la battaglia contro l’Aids: il numero di
nuove infezioni è in calo e la malattia sta passando gradualmente dall’essere
letale all’essere cronica”.
I trattamenti più moderni possono curare definitivamente i pazienti
sieropositivi?
“Non si hanno ancora prove scientifiche di
soggetti completamente curati. Anche i medicinali più avanzati riescono solo a
contenere l’azione del virus HIV che colpisce il sistema immunitario. Nella
maggioranza dei casi, appena si sospende il trattamento il virus torna alla
carica”.
Qual è il sogno di un virologo che ha dedicato la vita allo studio dell’HIV?
“Scoprire il vaccino per l’HIV”
E per questo quanto manca?
“Difficile fare previsioni accurate. Qui
all’Istituto di Virologia Umana dell’Università del Maryland l’anno prossimo
cominceremo la prima fase di test clinici. Forse fra una decina d’anni avremo
un vaccino, ma non si può mai dire. Ci vuole anche fortuna”.
Si calcola che dalla comparsa del virus siano morte circa 35 milioni di
persone di Aids. Cosa ha reso questa malattia così devastante?
“Diversi i fattori. Ma la lentezza nel
condividere le scoperte è stata una delle cause principali”.
Teme che una simile esperienza possa ripetersi?
“Purtroppo sì. Per questo ho fondato il
Global Virus Network, associazione mondiale di esperti che studiano virus diversi
per mettere in comune le proprie scoperte. L’unico modo per tenere il passo con
i virus che si sviluppano ogni anno, è accelerare la circolazione
d’informazioni fra medici e addetti ai lavori”.
Un tempo si parlava spesso di HIV/AIDS, oggi sembra che il tema sia passato
in secondo piano.
“Questo è un pericolo. Da quando sono
disponibili efficaci più efficaci e meno gente famosa muore di Aids,
l’attenzione è diminuita. Ma la malattia è stata indebolita, non cancellata.
Senza la consapevolezza e le risorse adeguate, debellare l’HIV per sempre resta
una missione impossibile”.
Pubblicato su Io Donna
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