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Photo By Mark Seliger |
Kerry Washington ha cominciato a
riflettere sul concetto d’identità fin da bambina. L’attrice newyorkese,
conosciuta in Europa per aver interpretato la moglie del musicista Ray Charles
nel film Ray e del dittatore ugandese
Idi Amin ne L’ultimo re di Scozia,
abitava nel Bronx quando il quartiere era ancora sinonimo di degrado, crimine e
droga. Ma tutti i giorni faceva la spola con Manhattan, dove frequentava una
delle scuole più esclusive dell’Upper East Side grazie a una borsa di studio.
“I vicini ci consideravano ricchi perché
avevamo la lavapiatti e il forno a microonde”, dice Washington sorridendo
mentre sorseggia un tè al bar di un hotel di Midtown a New York. “La mattina
frequentavo la stessa scuola di Gwyneth Paltrow e il pomeriggio giocavo
nell’oratorio dove era andata Jennifer Lopez”.
Il contrasto non poteva essere più
stridente. Il modo in cui le sue compagne di scuola vestivano, parlavano e
mangiavano era totalmente diverso da quello delle amichette del quartiere.
Washington evitava di portare collane per paura di essere rapinata sotto casa,
come le era capitato quando aveva sette anni. Mentre le alunne della Spence
High School sfoggiavano accessori all’ultima moda.
“Dopo un po’ mi adattai, giocando ruoli
diversi secondo il contesto in cui mi trovavo”, dice l’attrice trentacinquenne.
“Fu un’ottima palestra per imparare a recitare”.
Non che diventare un’attrice fosse nei
suoi piani. Stare sul palcoscenico le piaceva, ma l’idea di farne una
professione non la sfiorava ancora. Ai tempi, il suo palco preferito era quello
degli spettacoli acquatici, dove sognava di lavorare come istruttrice di
balene. Da piccola era soprannominata Fish. L’acqua era il suo elemento. Era
l’unica ragazzina del quartiere ammessa dai maschi alle loro gare di apnea in
piscina. E spesso li batteva.
“Fin da allora lottavo contro le
discriminazioni”, scherza mostrando un sorriso smagliante sotto le labbra
carnose. “Ero la Hillary Clinton delle piscine del Bronx”.
All’università continua a studiare
recitazione e coltiva il teatro senza velleità. I genitori le hanno trasmesso
un solido senso del dovere e dopo gli studi vorrebbero vederla intraprendere la
carriera in una delle professioni liberali classiche.
“Il loro peggior incubo era che finissi a
fare l’attrice”.
Ma dopo la laurea in antropologia
culturale, Washington non resiste alla tentazione. Non ha fretta di entrare nel
mondo del lavoro e decide di provare a recitare per un periodo, “tanto per
vedere se si riuscivo a sopravvivere”. E quando dopo poco più di un anno arriva
a pagarsi un’assicurazione sanitaria grazie agli ingaggi, i genitori sono
costretti a rassegnarsi.
“Hanno cominciato a prendermi in giro,
dicendo che avevo preso gusto a esibirmi da sola scordando il sogno di farlo
insieme alle balene”.
Da allora è stato un susseguirsi di ruoli
di supporto in film molto diversi fra loro: dalla fantascienza nei Fantastici 4, al dramma in Miracolo a Sant’Anna, dalla commedia in Mr. & Mrs. Smith al western in Unchained Django, ultima pellicola
firmata da Quentin Tarantino a cui Washington sta lavorando in queste
settimane. Nel film recita la parte di una schiava costretta a lavorare nella
piantagione di un sadico proprietario terriero (Brad Pitt) fino a quando il
marito (Jamie Foxx) non la libera con la forza. La pellicola è girata in
un’antica piantagione della Louisiana e Washington arriva all’intervista
direttamente dal set, come ci spiega giustificando il suo abbigliamento
accollato, fatto di jeans neri, tacchi alti e camicetta a maniche lunghe.
“Recitando la parte di una schiava, non
posso depilarmi, quindi devo prendere qualche precauzione nel vestire”.
Washington ha un piccolo vizio che si
porta dietro dal primo film che ha girato nel 2000. Ama conservare un ricordo
da tutti i set dei film in cui ha lavorato. Da L’ultimo re di Scozia ha portato via una ceramica ugandese che
decorava la casa di Amin, dai Fantastici
4 un foulard che le copriva i capelli in una scena e ha già adocchiato un
souvenir anche sul set di Django Unchained.
“E’ un rosario molto bello e spero che me lo facciano tenere”.
Washington ha pianto al telefono quando
Tarantino l’ha chiamata per confermarla nella parte di Broomhilda, la moglie di
Django del titolo. Oltre ad essere uno dei ruoli più importanti che le siano
stati affidati fino ad ora, il tema del film le sta particolarmente a cuore.
La questione razziale è un soggetto che ha
già affrontato in vari lavori. Washington ha recitato nel lungometraggio sulle
Pantere Nere Night catches us, in una
serie TV dedicata allo stesso movimento politico e nel film For colored girls. Due anni fa ha fatto
il suo debutto a Broadway con Race,
pièce teatrale scritta e diretta da David Mamet, incentrata sulle ipocrisie che
circolano sul tema delle discriminazioni.
“In questo paese ci illudiamo di vivere in
un’epoca post-razziale ma è un abbaglio. Lavoro in uno dei pochi settori in cui
è legale scartare un lavoratore per il colore della pelle e lo vedo tutti i
giorni”.
Pur dando l’impressione di essere uno
degli ambienti più liberali d’America, Washington è convinta che Hollywood
tenda spesso a perpetuare vecchie dinamiche.
“Se il ruolo di protagonista è affidato a
un afroamericano, gli Studios sono ancora convinti che la pellicola sarà vista
da un pubblico prevalentemente nero. Sono pochissimi gli attori afroamericani
che non soffrono questo limite, uno è Denzel Washington”.
Pur condividendo il cognome, l’attrice non
ha alcuna parentela con il protagonista di American
Gangster e non ha ancora raggiunto una popolarità tale da poter trascendere
le barriere razziali. A suo modo, però, Kerry ha già dato un piccolo
contributo. In seguito alla sua interpretazione di Alicia Masters nel film dei Fantastici 4, anche il cartone animato
ispirato al fumetto ha cominciato a presentare il personaggio della fidanzata
della Cosa in versione afroamericana, anziché nella classica versione biondo
platino.
Qualche settimana fa, inoltre, ha
debuttato nel ruolo di protagonista di una nuova serie TV intitolata Scandal, diventando così la prima donna
afroamericana degli ultimi trent’anni alla guida di un programma trasmesso in
prima serata da un canale americano.
L’attenzione alla questione razziale,
però, non significa che Washington stessa non subisca certi condizionamenti.
Qualche tempo fa l’attrice ha partecipato ad un documentario scritto dal comico
Chris Rock sulla mania delle donne afroamericane di stirarsi i capelli, Good Hair. Il film intervista
studentesse nere delle più prestigiose università americane che ammettono di
non considerare neanche l’idea di presentarsi ad un colloquio di lavoro con una
pettinatura naturale. E sottolinea come i principali modelli di riferimento di
donne di successo – Naomi Campbell, Michelle Obama, Oprah Winfrey, le sorelle
Venus, Condoleeza Rice – abbiano tutte i capelli lisci.
“L’acconciatura per me è uno strumento di
lavoro che contribuisce ad esprimere chi sono. Nel film di Tarantino, ad
esempio, ho tenuto i miei ricci naturali”, dice Washington che si presenta,
però, all’intervista con boccoli alla Shirley Temple. “Ma l’ossessione con i
capelli la dice lunga sulle difficoltà di trovare un equilibrio fra l’orgoglio
per la nostra unicità e il desiderio d’integrazione”.
Pubblicato su Vogue
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