mercoledì 18 luglio 2012

Kerry Washington, diva sospesa fra due mondi


Photo By Mark Seliger
Kerry Washington ha cominciato a riflettere sul concetto d’identità fin da bambina. L’attrice newyorkese, conosciuta in Europa per aver interpretato la moglie del musicista Ray Charles nel film Ray e del dittatore ugandese Idi Amin ne L’ultimo re di Scozia, abitava nel Bronx quando il quartiere era ancora sinonimo di degrado, crimine e droga. Ma tutti i giorni faceva la spola con Manhattan, dove frequentava una delle scuole più esclusive dell’Upper East Side grazie a una borsa di studio.
“I vicini ci consideravano ricchi perché avevamo la lavapiatti e il forno a microonde”, dice Washington sorridendo mentre sorseggia un tè al bar di un hotel di Midtown a New York. “La mattina frequentavo la stessa scuola di Gwyneth Paltrow e il pomeriggio giocavo nell’oratorio dove era andata Jennifer Lopez”.
Il contrasto non poteva essere più stridente. Il modo in cui le sue compagne di scuola vestivano, parlavano e mangiavano era totalmente diverso da quello delle amichette del quartiere. Washington evitava di portare collane per paura di essere rapinata sotto casa, come le era capitato quando aveva sette anni. Mentre le alunne della Spence High School sfoggiavano accessori all’ultima moda.
“Dopo un po’ mi adattai, giocando ruoli diversi secondo il contesto in cui mi trovavo”, dice l’attrice trentacinquenne. “Fu un’ottima palestra per imparare a recitare”.
Non che diventare un’attrice fosse nei suoi piani. Stare sul palcoscenico le piaceva, ma l’idea di farne una professione non la sfiorava ancora. Ai tempi, il suo palco preferito era quello degli spettacoli acquatici, dove sognava di lavorare come istruttrice di balene. Da piccola era soprannominata Fish. L’acqua era il suo elemento. Era l’unica ragazzina del quartiere ammessa dai maschi alle loro gare di apnea in piscina. E spesso li batteva.
“Fin da allora lottavo contro le discriminazioni”, scherza mostrando un sorriso smagliante sotto le labbra carnose. “Ero la Hillary Clinton delle piscine del Bronx”.
All’università continua a studiare recitazione e coltiva il teatro senza velleità. I genitori le hanno trasmesso un solido senso del dovere e dopo gli studi vorrebbero vederla intraprendere la carriera in una delle professioni liberali classiche.
“Il loro peggior incubo era che finissi a fare l’attrice”.
Ma dopo la laurea in antropologia culturale, Washington non resiste alla tentazione. Non ha fretta di entrare nel mondo del lavoro e decide di provare a recitare per un periodo, “tanto per vedere se si riuscivo a sopravvivere”. E quando dopo poco più di un anno arriva a pagarsi un’assicurazione sanitaria grazie agli ingaggi, i genitori sono costretti a rassegnarsi.
“Hanno cominciato a prendermi in giro, dicendo che avevo preso gusto a esibirmi da sola scordando il sogno di farlo insieme alle balene”.
Da allora è stato un susseguirsi di ruoli di supporto in film molto diversi fra loro: dalla fantascienza nei Fantastici 4, al dramma in Miracolo a Sant’Anna, dalla commedia in Mr. & Mrs. Smith al western in Unchained Django, ultima pellicola firmata da Quentin Tarantino a cui Washington sta lavorando in queste settimane. Nel film recita la parte di una schiava costretta a lavorare nella piantagione di un sadico proprietario terriero (Brad Pitt) fino a quando il marito (Jamie Foxx) non la libera con la forza. La pellicola è girata in un’antica piantagione della Louisiana e Washington arriva all’intervista direttamente dal set, come ci spiega giustificando il suo abbigliamento accollato, fatto di jeans neri, tacchi alti e camicetta a maniche lunghe.
“Recitando la parte di una schiava, non posso depilarmi, quindi devo prendere qualche precauzione nel vestire”.
Washington ha un piccolo vizio che si porta dietro dal primo film che ha girato nel 2000. Ama conservare un ricordo da tutti i set dei film in cui ha lavorato. Da L’ultimo re di Scozia ha portato via una ceramica ugandese che decorava la casa di Amin, dai Fantastici 4 un foulard che le copriva i capelli in una scena e ha già adocchiato un souvenir anche sul set di Django Unchained. “E’ un rosario molto bello e spero che me lo facciano tenere”.
Washington ha pianto al telefono quando Tarantino l’ha chiamata per confermarla nella parte di Broomhilda, la moglie di Django del titolo. Oltre ad essere uno dei ruoli più importanti che le siano stati affidati fino ad ora, il tema del film le sta particolarmente a cuore.
La questione razziale è un soggetto che ha già affrontato in vari lavori. Washington ha recitato nel lungometraggio sulle Pantere Nere Night catches us, in una serie TV dedicata allo stesso movimento politico e nel film For colored girls. Due anni fa ha fatto il suo debutto a Broadway con Race, pièce teatrale scritta e diretta da David Mamet, incentrata sulle ipocrisie che circolano sul tema delle discriminazioni.
“In questo paese ci illudiamo di vivere in un’epoca post-razziale ma è un abbaglio. Lavoro in uno dei pochi settori in cui è legale scartare un lavoratore per il colore della pelle e lo vedo tutti i giorni”.
Pur dando l’impressione di essere uno degli ambienti più liberali d’America, Washington è convinta che Hollywood tenda spesso a perpetuare vecchie dinamiche.
“Se il ruolo di protagonista è affidato a un afroamericano, gli Studios sono ancora convinti che la pellicola sarà vista da un pubblico prevalentemente nero. Sono pochissimi gli attori afroamericani che non soffrono questo limite, uno è Denzel Washington”.
Pur condividendo il cognome, l’attrice non ha alcuna parentela con il protagonista di American Gangster e non ha ancora raggiunto una popolarità tale da poter trascendere le barriere razziali. A suo modo, però, Kerry ha già dato un piccolo contributo. In seguito alla sua interpretazione di Alicia Masters nel film dei Fantastici 4, anche il cartone animato ispirato al fumetto ha cominciato a presentare il personaggio della fidanzata della Cosa in versione afroamericana, anziché nella classica versione biondo platino.
Qualche settimana fa, inoltre, ha debuttato nel ruolo di protagonista di una nuova serie TV intitolata Scandal, diventando così la prima donna afroamericana degli ultimi trent’anni alla guida di un programma trasmesso in prima serata da un canale americano.
L’attenzione alla questione razziale, però, non significa che Washington stessa non subisca certi condizionamenti. Qualche tempo fa l’attrice ha partecipato ad un documentario scritto dal comico Chris Rock sulla mania delle donne afroamericane di stirarsi i capelli, Good Hair. Il film intervista studentesse nere delle più prestigiose università americane che ammettono di non considerare neanche l’idea di presentarsi ad un colloquio di lavoro con una pettinatura naturale. E sottolinea come i principali modelli di riferimento di donne di successo – Naomi Campbell, Michelle Obama, Oprah Winfrey, le sorelle Venus, Condoleeza Rice – abbiano tutte i capelli lisci.
“L’acconciatura per me è uno strumento di lavoro che contribuisce ad esprimere chi sono. Nel film di Tarantino, ad esempio, ho tenuto i miei ricci naturali”, dice Washington che si presenta, però, all’intervista con boccoli alla Shirley Temple. “Ma l’ossessione con i capelli la dice lunga sulle difficoltà di trovare un equilibrio fra l’orgoglio per la nostra unicità e il desiderio d’integrazione”.  

Pubblicato su Vogue

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