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Photo by Yelena Yemechuck
Yelena Yemechuck
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Anche dal vivo Liya Kebede ha tratti
splendidi e un’eleganza regale. Pure se indossa jeans, maglione e scarpe da
tennis, come quando si presenta all’appuntamento in un caffè di Manhattan. Ma
questo è scontato, essendo una delle modelle più pagate al mondo. Quel che la
rende unica fra le sue colleghe è il lavoro fatto lontano dalle passerelle. Per
questo quando mette subito in chiaro di non voler discutere la sua sfera
privata, non ci preoccupiamo: con lei resta altro di cui parlare.
Oggi la moda è una piattaforma multiforme
che può servire da rampa di lancio per le carriere più disparate, e la modella
etiope ne è un esempio lampante. Dopo aver mosso i primi passi in piccole
sfilate organizzate ad Addis Abeba da una donna italiana, Kebede si trasferisce
a Parigi con la speranza di trovare un’agenzia e una vita migliore di quella
che poteva offrirle il suo paese. Da piccola ha già vissuto all’estero, sia in
Francia che in Italia, al seguito del padre, impiegato della compagnia aerea
etiope. Stavolta, però, è sola, con una valigia piena di vestiti e una vaga
promessa di un’agenzia contattata dall’Etiopia.
“Se appena maggiorenne mia figlia facesse
altrettanto, mi verrebbe la pelle d’oca”, ammette sgranando i grandi occhi
scuri.
Ai tempi, invece, sua madre appoggia la
scelta, rivelandosi preveggente. Dopo pochi mesi in Francia, Kebede ha l’occasione
di trasferirsi a New York dove incontra il marito Kassy, finanziere etiope di
successo, con cui ha due figli, Suhul e Rae. E da lì la sua carriera prende il
volo. Prima sulle passerelle, dove sfila per tutti le grandi firme della moda,
divenendo una delle indossatrici più famose del nuovo millennio. E poi in altre
direzioni, finendo con l’apparire persino nella lista delle 100 persone più
influenti del mondo redatta ogni anno dalla rivista Time.
Pur continuando a lavorare assiduamente in
passerella, la modella trentacinquenne trova il tempo per dedicarsi ad altro.
Per prima, prova la carriera d’attrice. Prende lezioni private da un coach e
debutta in due camei al fianco di Nicolas Cage (Lord of War) e Matt Damon (L’ombra
del potere). Nel 2009 ottiene il primo ruolo da protagonista in Desert Flower in cui interpreta la
storia vera di Waris Dirie, modella somala divenuta leader nella lotta contro
l’infibulazione. Fino ad arrivare, quest’anno, a recitare in Italia con
Giuseppe Tornatore (La miglior offerta)
e in Francia per Costa-Gavras (Le capital).
Ma la vera svolta nelle attività
extra-passerella arriva nel 2005, quando l’Organizzazione Mondiale della Sanità
le chiede di diventare ambasciatrice della campagna per la salute materna.
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Photo by Yelena Yemechuck |
Ormai quasi tutte le celebrità tendono a
occuparsi di cause umanitarie come strumento per lo sviluppo della propria
immagine. E’ difficile continuare a mantenere alta l’attenzione dei media
parlando unicamente della propria vita e dei successi personali. Ma le cose
cambiano se si perora una buona causa. Durante la conversazione, Kebede non
dice se questo ragionamento le è passato per la mente quando ha accettato il
ruolo di testimonial per l’OMS, ma ammette che “più che averlo scelto
attivamente, è il tema della salute materna ad aver scelto me”.
Appena comincia a occuparsi di questo
problema, però, la sua esperienza di madre e donna africana, le fa subito
abbracciare la causa con passione.
In Etiopia le morti legate al parto sono
ancora frequenti. Creare condizioni sicure per la maternità è fra le priorità
elencate dal cosiddetto Millenium Development Goal, la lista d’obiettivi che le
Nazioni Unite vorrebbero raggiungere entro il 2050. Ma al momento la salute di
mamma e bambino risulta ancora uno dei traguardi più lontani.
“Morire per dare alla luce un figlio in
Etiopia è considerato normale”, sottolinea con malcelata indignazione.
Pur essendo cresciuta in Etiopia in una
famiglia agiata, Kebede è sempre stata consapevole dei rischi che il parto
rappresenta nei paesi come il suo. Quello che non aveva mai realizzato, come
capita spesso quando si è abituati a convivere con un problema, è che questi
pericoli sono prevenibili.
“Per questo credo che il compito di
generare consapevolezza sia così importante”.
Purtroppo, i fattori che trasformano il
parto in un momento rischioso sono spesso strutturali e riguardano la carenza
di personale, d’infrastrutture ed di educazione. Per questo l’OMS cerca
soluzioni che passano attraverso i governi locali, con un allungamento
inevitabile dei tempi d’azione. Nella sua attività di sostegno alla causa,
invece, Kebede incontra spesso persone disposte a impegnarsi e contribuire
nell’immediato. Per questo ha creato una fondazione a suo nome che utilizza i
soldi raccolti per finanziare piccole campagne di prevenzione e cliniche in
Etiopia.
“Nel centro che supportiamo sono avvenuti
oltre 2000 parti con un solo caso di complicazioni gravi per la madre”.
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Photo by Yelena Yemechuck |
Ma l’attività caritatevole non è l’unico
modo in cui Kebede cerca di aiutare il suo paese natale. Cinque anni fa ha
creato Lemlem, marchio d’indumenti fatti a mano in Etiopia e distribuiti negli
Stati Uniti. La qualità del cotone locale è famosa e un tempo l’arte di
lavorare al telaio era una delle industrie più fiorenti del paese. Negli ultimi
anni, però, la crescente disponibilità d’indumenti confezionati a macchina ha
messo a repentaglio un’intera categoria di professionisti. Kebede disegna i
modelli negli Stati Uniti in stile “bohemien-chic” e poi li fa produrre da un
laboratorio tessile nei pressi di Addis. Al momento impiega un centinaio di
lavoratori, ma vorrebbe riuscire ad assumere più gente. Lemlem ha un occhio di
riguardo per le condizioni dei tessitori impiegati, ma il modello economico su
cui si basa non è quello dell’organizzazione caritatevole: per crescere il
marchio deve generare profitti. Per questo le fa rabbia notare nelle vetrine di
New York capi prodotti a macchina chiaramente ispirati ai modelli di Lemlem.
“Vederci copiati sulle bancarelle di Addis
mi riempie d’orgoglio, ma qui significa solo concorrenza scorretta”.
Per adesso il marchio è una realtà
marginale con un impatto limitato sull’economia locale, ma Kebede spera possa
servire da modello per attirare altri investitori occidentali. Recentemente, ad
esempio, ha saputo di un imprenditore francese che, prendendo spunto dal
successo di Lemlem, ha cominciato a produrre scarpe da ginnastica vicino ad
Addis.
“Molti pensano ancora all’Etiopia come il
paese della grande carestia ma, in realtà, oggi ci sono opportunità di crescita
interessanti”.
Pubblicato su Vogue Italia
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