venerdì 21 febbraio 2014

Lupita Nyong'o, nuova regina del red carpet


Photo by Tom Munro
Per talento raffinato e naturale eleganza, l’attrice di origine keniana ha incantato il red carpet. Ma lei, che considera la recitazione un modo per dialogare con gli altri, vorrebbe giocare il ruolo di icona di stile per aiutare le donne africane ad apprezzarsi.

Hollywood è sempre in caccia di nuovi volti. E se ne trova uno che, oltre al talento per la recitazione, ha anche un impeccabile stile naturale è pronta a celebrarlo con i massimi onori. Com’è successo a Lupita Nyong’o, attrice trentenne di origini keniane, passata direttamente dai banchi della scuola di teatro a una nomination al Golden Globe e una agli Oscar come attrice non protagonista per il suo ruolo in 12 Anni Schiavo, ultima pellicola firmata dal regista Steve McQueen e prodotto da Brad Pitt. Nel film Nyong’o interpreta Patsey, schiava in una piantagione americana presa di mira dal crudele proprietario (Michael Fassbender) e da sua moglie (Sarah Paulson).
Oltre a meritarle premi e riconoscimenti, la prima prova sul grande schermo ha catapultato l’attrice africana in un vortice di appuntamenti di gala, rivelandone un gusto raffinato che l’ha immediatamente trasformata nella nuova regina del tappeto rosso,
celebrata dalla stampa americana come modello di gusto ed eleganza. L’ascesa di Nyong’o è stata così perfetta da dare l’impressione che l’attrice stesse preparando da tempo il guardaroba per il debutto, mentre nulla di tutto ciò potrebbe essere più lontano dalla realtà.
“Non ho mai badato tanto alla moda, né comprato riviste specializzate”, confessa Nyong’o al telefono dalla sua casa di New York.
Questo non vuol dire che i vestiti non le piacciano. Recentemente ha indossato un abito che l’ha addirittura commossa.
“E’ stato come vedere un’opera d’arte toccante. Non mi era mai capitata un’esperienza simile. Ma francamente tutta quest’attenzione al mio stile mi ha colto di sorpresa”.
Photo by Tom Munro
A questo punto, però, non le dispiacerebbe approfittare di questa fiammata di notorietà per ispirare altre donne ad apprezzare maggiormente la pettinatura afro. Per anni anche lei ha stirato i suoi capelli. Solo quando ha smesso si è resa conto di quanto quest’abitudine sia schiavizzante e culturalmente indotta. Nyong’o ricorda ancora l’influenza che ebbe su di sé l’ascesa della modella sudanese Alek Wek. Vedere celebrata la bellezza di una donna nera con i capelli corti la aiutò a “cambiare la percezione che avevo di me stessa”. Se potesse fare altrettanto sarebbe felice. Pur essendo nuova a quest’attenzione mediatica, conosce i meccanismi dello star-system ed è pronta a giocare il ruolo d’icona di stile che le è stata cucita addosso, anche se non le corrisponde interamente.
“Avere un padre famoso mi ha aiutato a capire che un personaggio pubblico è una versione riveduta e corretta di quello privato”.
Fino a poco fa, infatti, l’unica celebrità di casa Nyong’o era il capofamiglia Peter, senatore della Repubblica del Kenia, ex ministro e professore più volte imprigionato per le attività pro-democrazia svolte nel paese africano. Ma l’uscita di 12 Anni Schiavo ha cambiato la situazione. D’altronde, l’idea che la figlia potesse seguire i successi paterni, anche se per vie diverse, era scritta nel suo nome di battesimo. Lupita è un nome messicano, scelto perché l’attrice è nata nel paese latinoamericano durante un periodo di esilio del padre. Ma è anche un gioco di parole che significa ‘colei che segue Peter’ in lingua Luo, l’etnia keniana cui appartiene. 
“’Lu’ significa seguire e ‘Pita’ si pronuncia quasi come Peter. Per questo l’hanno scelto”. 
Poco dopo la sua nascita, la famiglia Nyong’o è tornata in Kenia, ma le persecuzioni sono continuate. Per un periodo il padre è stato anche detenuto senza processo. Nonostante il clima difficile in cui è cresciuta, Lupita conserva un bel ricordo dell’infanzia trascorsa in Africa.
“Mio padre ha sempre cercato di proteggerci raccontando poco. Non sono mai stata veramente consapevole dei pericoli legati alla sua attività politica e, tranne quando è stato imprigionato, ho avuto una vita normale e serena”.
Quando le chiedo se teme per la situazione del suo paese, recentemente scosso da attentati e violenze tribali, Nyong’o risponde con un detto: “Preoccuparsi serve come masticare un chewing gum per risolvere un indovinello”.
Photo by Tom Munro
La forma è bizzarra, ma il messaggio è chiaro e il riferimento agli indovinelli non è casuale: sono il suo passatempo preferito.
Certo, quel poco che ha testimoniato della realtà keniana le ha insegnato che un politico per famiglia è sufficiente e anche per questo ha scelto d’imboccare una strada diversa. L’inizio è stato duro, però. In Kenia ci sono pochissimi esempi di attori professionisti e Nyong’o non aveva modelli cui ispirarsi. Per trovarli si è trasferita negli Stati Uniti, dove già il padre aveva conseguito la sua laurea. Qui ha trovato un clima più incoraggiante, in cui recitare è considerato una professione difficile ma possibile. Mentre studiava all’Hampshire College e alla Yale School of Drama si è fatta le ossa in commedie teatrali e dirigendo un documentario (In My Genes) sul dramma degli albini africani, costretti a difendersi dal sole e dai pregiudizi della popolazione locale. E’ stata protagonista di un telefilm sui comportamenti sessuali e la prevenzione dell’HIV fra i giovani (Shuga), distribuito con successo nei paesi del corno d’Africa. E, appena finita la scuola, è stata scelta per 12 Anni Schiavo. Per ironia della sorte, però, il consiglio più prezioso che ha ricevuto è venuto da un attore incontrato proprio in Kenia, durante una pausa estiva trascorsa a casa.
Era tornata da poco a Nairobi quando un’amica le propose di lavorare come assistente sul set di un film con Ralph Fiennes che stavano girando nella capitale keniana. Nyong’o accettò subito e, alla prima occasione, approcciò il protagonista per chiedergli un consiglio su come sviluppare la propria carriera. Invece del solito incoraggiamento di rito, Fiennes fu molto franco e le consigliò di dedicarsi alla recitazione solo se non avesse veramente potuto farne a meno.
“All’inizio rimasi delusa: speravo piuttosto mi desse il numero di un agente da chiamare. Poi capii che era un modo per spronarmi a riflettere sul perché volevo fare l’attrice”.
Da quell’incontro, ci sono voluti anni d’introspezione per riconoscere che la recitazione era per lei “un modo indispensabile di dialogare con gli altri passando attraverso l’analisi personale”. Questa conclusione ha dato a Nyong’o la convinzione necessaria per affrontare le difficoltà che s’aspettava d’incontrare appena uscita dalla scuola di teatro. Uno sforzo che, alla luce del suo scintillante debutto, parrebbe quasi sprecato.  

Pubblicato su Vogue Italia

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