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Photo by Tom Munro |
Per talento raffinato e naturale eleganza, l’attrice di origine keniana
ha incantato il red carpet. Ma lei, che considera la recitazione un modo per
dialogare con gli altri, vorrebbe giocare il ruolo di icona di stile per
aiutare le donne africane ad apprezzarsi.
Hollywood è sempre in caccia di nuovi
volti. E se ne trova uno che, oltre al talento per la recitazione, ha anche un
impeccabile stile naturale è pronta a celebrarlo con i massimi onori. Com’è
successo a Lupita Nyong’o, attrice trentenne di origini keniane, passata
direttamente dai banchi della scuola di teatro a una nomination al Golden Globe
e una agli Oscar come attrice non protagonista per il suo ruolo in 12 Anni Schiavo, ultima pellicola
firmata dal regista Steve McQueen e prodotto da Brad Pitt. Nel film Nyong’o
interpreta Patsey, schiava in una piantagione americana presa di mira dal
crudele proprietario (Michael Fassbender) e da sua moglie (Sarah Paulson).
Oltre a meritarle premi e riconoscimenti,
la prima prova sul grande schermo ha catapultato l’attrice africana in un
vortice di appuntamenti di gala, rivelandone un gusto raffinato che l’ha
immediatamente trasformata nella nuova regina del tappeto rosso,
celebrata
dalla stampa americana come modello di gusto ed eleganza. L’ascesa di Nyong’o è
stata così perfetta da dare l’impressione che l’attrice stesse preparando da tempo
il guardaroba per il debutto, mentre nulla di tutto ciò potrebbe essere più
lontano dalla realtà.
“Non ho mai badato tanto alla moda, né
comprato riviste specializzate”, confessa Nyong’o al telefono dalla sua casa di
New York.
Questo non vuol dire che i vestiti non le
piacciano. Recentemente ha indossato un abito che l’ha addirittura commossa.
“E’ stato come vedere un’opera d’arte toccante.
Non mi era mai capitata un’esperienza simile. Ma francamente tutta quest’attenzione
al mio stile mi ha colto di sorpresa”.
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A questo punto, però, non le dispiacerebbe
approfittare di questa fiammata di notorietà per ispirare altre donne ad
apprezzare maggiormente la pettinatura afro. Per anni anche lei ha stirato i
suoi capelli. Solo quando ha smesso si è resa conto di quanto quest’abitudine
sia schiavizzante e culturalmente indotta. Nyong’o ricorda ancora l’influenza
che ebbe su di sé l’ascesa della modella sudanese Alek Wek. Vedere celebrata la
bellezza di una donna nera con i capelli corti la aiutò a “cambiare la
percezione che avevo di me stessa”. Se potesse fare altrettanto sarebbe felice.
Pur essendo nuova a quest’attenzione mediatica, conosce i meccanismi dello
star-system ed è pronta a giocare il ruolo d’icona di stile che le è stata
cucita addosso, anche se non le corrisponde interamente.
“Avere un padre famoso mi ha aiutato a capire
che un personaggio pubblico è una versione riveduta e corretta di quello
privato”.
Fino a poco fa, infatti, l’unica celebrità
di casa Nyong’o era il capofamiglia Peter, senatore della Repubblica del Kenia,
ex ministro e professore più volte imprigionato per le attività pro-democrazia
svolte nel paese africano. Ma l’uscita di 12
Anni Schiavo ha cambiato la situazione. D’altronde, l’idea che la figlia
potesse seguire i successi paterni, anche se per vie diverse, era scritta nel
suo nome di battesimo. Lupita è un nome messicano, scelto perché l’attrice è
nata nel paese latinoamericano durante un periodo di esilio del padre. Ma è
anche un gioco di parole che significa ‘colei che segue Peter’ in lingua Luo,
l’etnia keniana cui appartiene.
“’Lu’ significa seguire e ‘Pita’ si
pronuncia quasi come Peter. Per questo l’hanno scelto”.
Poco dopo la sua nascita, la famiglia
Nyong’o è tornata in Kenia, ma le persecuzioni sono continuate. Per un periodo
il padre è stato anche detenuto senza processo. Nonostante il clima difficile
in cui è cresciuta, Lupita conserva un bel ricordo dell’infanzia trascorsa in
Africa.
“Mio padre ha sempre cercato di
proteggerci raccontando poco. Non sono mai stata veramente consapevole dei
pericoli legati alla sua attività politica e, tranne quando è stato
imprigionato, ho avuto una vita normale e serena”.
Quando le chiedo se teme per la situazione
del suo paese, recentemente scosso da attentati e violenze tribali, Nyong’o
risponde con un detto: “Preoccuparsi serve come masticare un chewing gum per
risolvere un indovinello”.
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La forma è bizzarra, ma il messaggio è
chiaro e il riferimento agli indovinelli non è casuale: sono il suo passatempo
preferito.
Certo, quel poco che ha testimoniato della
realtà keniana le ha insegnato che un politico per famiglia è sufficiente e
anche per questo ha scelto d’imboccare una strada diversa. L’inizio è stato
duro, però. In Kenia ci sono pochissimi esempi di attori professionisti e
Nyong’o non aveva modelli cui ispirarsi. Per trovarli si è trasferita negli
Stati Uniti, dove già il padre aveva conseguito la sua laurea. Qui ha trovato
un clima più incoraggiante, in cui recitare è considerato una professione
difficile ma possibile. Mentre studiava all’Hampshire College e alla Yale
School of Drama si è fatta le ossa in commedie teatrali e dirigendo un
documentario (In My Genes) sul dramma degli albini africani, costretti a
difendersi dal sole e dai pregiudizi della popolazione locale. E’ stata
protagonista di un telefilm sui comportamenti sessuali e la prevenzione
dell’HIV fra i giovani (Shuga), distribuito con successo nei paesi del corno
d’Africa. E, appena finita la scuola, è stata scelta per 12 Anni Schiavo. Per ironia della sorte, però, il consiglio più
prezioso che ha ricevuto è venuto da un attore incontrato proprio in Kenia,
durante una pausa estiva trascorsa a casa.
Era tornata da poco a Nairobi quando
un’amica le propose di lavorare come assistente sul set di un film con Ralph
Fiennes che stavano girando nella capitale keniana. Nyong’o accettò subito e,
alla prima occasione, approcciò il protagonista per chiedergli un consiglio su
come sviluppare la propria carriera. Invece del solito incoraggiamento di rito,
Fiennes fu molto franco e le consigliò di dedicarsi alla recitazione solo se non
avesse veramente potuto farne a meno.
“All’inizio rimasi delusa: speravo
piuttosto mi desse il numero di un agente da chiamare. Poi capii che era un
modo per spronarmi a riflettere sul perché volevo fare l’attrice”.
Da quell’incontro, ci sono voluti anni d’introspezione
per riconoscere che la recitazione era per lei “un modo indispensabile di
dialogare con gli altri passando attraverso l’analisi personale”. Questa conclusione
ha dato a Nyong’o la convinzione necessaria per affrontare le difficoltà che
s’aspettava d’incontrare appena uscita dalla scuola di teatro. Uno sforzo che,
alla luce del suo scintillante debutto, parrebbe quasi sprecato.
Pubblicato su Vogue Italia
Per
talento raffinato e naturale eleganza, l’attrice di origine keniana ha
incantato il red carpet. Ma lei, che considera la recitazione un modo
per dialogare con gli altri, vorrebbe giocare il ruolo di icona di stile
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incantato il red carpet. Ma lei, che considera la recitazione un modo
per dialogare con gli altri, vorrebbe giocare il ruolo di icona di stile
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