mercoledì 5 marzo 2014

Ji, pianista a cavallo fra Oriente e Occidente


Photo by Guillemain
Con il suo stile fatto di vestiti firmati, tatuaggi e collane appariscenti, il musicista sudcoreano Ji potrebbe passare facilmente per il leader di una boy-band di k-pop. Anche la confidenza con cui dialoga con i suoi fan via Twitter, con frasi a effetto tipo “senza di voi sarei un musicista qualsiasi, mi aiutate a parlare col cuore”, sembrano indicare la stoffa del teen-idol. Ma quando si siede al pianoforte a coda e le sue mani cominciano a danzare sui tasti diventa subito chiaro che Ji è un musicista di ben altra categoria.
“Sono un pianista classico ma ho una personalità funky e mi è sempre piaciuto esibirmi in pubblico”, riconosce parlando al telefono dal suo appartamento di New York.

Per capire cosa intende basta vederlo in alcuni video pubblicati su Instagram, come quello postato di recente, dove balla in casa da solo davanti alla telecamera.
Il suo stile giovane e irriverente, che allo smoking preferisce camicie nere con maniche arrotolate anche per i recital più formali, l’ha reso più di una volta il bersaglio dei critici di musica classica, sempre piuttosto conservatori da un punto di vista formale, ma lui non se ne cura.
“La giacca è scomoda per suonare e quando sono sul palcoscenico voglio essere me stesso al cento per cento”.
Nato in Corea ma educato negli Stati Uniti, Ji si è distinto fin da subito: ha vinto il premio della Filarmonica di New York ad appena dieci anni, il più giovane ad aver mai meritato il prestigioso riconoscimento.
Figlio della proprietaria di una scuola di musica e di un insegnante di filosofia, Ji (al secolo Jiyong Kim) mostra fin da piccolissimo uno spiccato interesse per la musica. Un giorno quando ha quattro anni, si siede da solo al piano e suona un motivetto improvvisato senza che nessuno gli abbia mai insegnato una nota. I genitori riconoscono subito il talento innato del figlio e lo fanno studiare a pieno regime, trasferendosi negli Stati Uniti per dargli la possibilità di frequentare le migliori scuole di musica.
“Da allora mi esercito sempre almeno cinque o sei ore al giorno”, dice il pianista oggi ventitreenne. “Non è difficile farsi notare se si ha la fortuna di avere un talento precoce. La parte più dura viene dopo, quando devi coltivare quel talento”.
I frutti di tanto lavoro non hanno tardato a mostrarsi e oggi Ji è considerato una delle promesse della musica classica contemporanea, con all’attivo un disco di reinterpretazioni di Liszt (Lisztomania) e decine di concerti con orchestre in tutto il mondo. Ma il successo è arrivato a un caro prezzo. La disciplina ferrea imposta fin da bambino e le continue rinunce fatte in nome dell’arte a un certo punto l’hanno portato ad avere un rigetto per la musica. A diciotto anni Ji ha smesso di suonare il piano, è uscito di casa e ha tolto la parola ai genitori.
Photo by Eric Guillemain
“Per un periodo, mentre ancora suonavo, ho annegato il mio malessere abusando di alcol e droghe senza che nessuno si accorgesse. Fino a quando non ho deciso di smettere con tutto, musica inclusa”.
Per un anno Ji sperimenta i lavori più disparati cercando “un significato oltre la musica”. Ma alla fine ritrova la passione per lo strumento a cui ha dedicato la vita e si rappacifica con la famiglia.
“Con il pianoforte è sempre stato un rapporto di amore e odio”.
Per evitare di raggiungere di nuovo un punto di rottura, oggi Ji ha imparato a concedersi più momenti di svago, anche suonando. Continua a esercitarsi sul repertorio classico, ma lavora anche a progetti personali, che fondono generi diversi come la musica elettronica e quella New Age. Non sa ancora se il risultato finale possa essere interessante per il pubblico ma questo non gli importa.
“Sono ancora giovane e voglio continuare a cercare, indipendentemente da quello che ho già ottenuto”.

Pubblicato su L'Uomo Vogue

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