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Photo by Guillemain |
Con il suo stile fatto di vestiti firmati,
tatuaggi e collane appariscenti, il musicista sudcoreano Ji potrebbe passare
facilmente per il leader di una boy-band di k-pop. Anche la confidenza con cui
dialoga con i suoi fan via Twitter, con frasi a effetto tipo “senza di voi
sarei un musicista qualsiasi, mi aiutate a parlare col cuore”, sembrano
indicare la stoffa del teen-idol. Ma quando si siede al pianoforte a coda e le
sue mani cominciano a danzare sui tasti diventa subito chiaro che Ji è un
musicista di ben altra categoria.
“Sono un pianista classico ma ho una
personalità funky e mi è sempre piaciuto esibirmi in pubblico”, riconosce
parlando al telefono dal suo appartamento di New York.
Per capire cosa intende basta vederlo in
alcuni video pubblicati su Instagram, come quello postato di recente, dove
balla in casa da solo davanti alla telecamera.
Il suo stile giovane e irriverente, che
allo smoking preferisce camicie nere con maniche arrotolate anche per i recital
più formali, l’ha reso più di una volta il bersaglio dei critici di musica
classica, sempre piuttosto conservatori da un punto di vista formale, ma lui
non se ne cura.
“La giacca è scomoda per suonare e quando
sono sul palcoscenico voglio essere me stesso al cento per cento”.
Nato in Corea ma educato negli Stati
Uniti, Ji si è distinto fin da subito: ha vinto il premio della Filarmonica di
New York ad appena dieci anni, il più giovane ad aver mai meritato il
prestigioso riconoscimento.
Figlio della proprietaria di una scuola di
musica e di un insegnante di filosofia, Ji (al secolo Jiyong Kim) mostra fin da
piccolissimo uno spiccato interesse per la musica. Un giorno quando ha quattro
anni, si siede da solo al piano e suona un motivetto improvvisato senza che
nessuno gli abbia mai insegnato una nota. I genitori riconoscono subito il
talento innato del figlio e lo fanno studiare a pieno regime, trasferendosi
negli Stati Uniti per dargli la possibilità di frequentare le migliori scuole
di musica.
“Da allora mi esercito sempre almeno
cinque o sei ore al giorno”, dice il pianista oggi ventitreenne. “Non è
difficile farsi notare se si ha la fortuna di avere un talento precoce. La
parte più dura viene dopo, quando devi coltivare quel talento”.
I frutti di tanto lavoro non hanno tardato
a mostrarsi e oggi Ji è considerato una delle promesse della musica classica
contemporanea, con all’attivo un disco di reinterpretazioni di Liszt
(Lisztomania) e decine di concerti con orchestre in tutto il mondo. Ma il
successo è arrivato a un caro prezzo. La disciplina ferrea imposta fin da
bambino e le continue rinunce fatte in nome dell’arte a un certo punto l’hanno
portato ad avere un rigetto per la musica. A diciotto anni Ji ha smesso di
suonare il piano, è uscito di casa e ha tolto la parola ai genitori.
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Photo by Eric Guillemain |
“Per un periodo, mentre ancora suonavo, ho
annegato il mio malessere abusando di alcol e droghe senza che nessuno si
accorgesse. Fino a quando non ho deciso di smettere con tutto, musica inclusa”.
Per un anno Ji sperimenta i lavori più
disparati cercando “un significato oltre la musica”. Ma alla fine ritrova la
passione per lo strumento a cui ha dedicato la vita e si rappacifica con la
famiglia.
“Con il pianoforte è sempre stato un
rapporto di amore e odio”.
Per evitare di raggiungere di nuovo un
punto di rottura, oggi Ji ha imparato a concedersi più momenti di svago, anche
suonando. Continua a esercitarsi sul repertorio classico, ma lavora anche a
progetti personali, che fondono generi diversi come la musica elettronica e
quella New Age. Non sa ancora se il risultato finale possa essere interessante
per il pubblico ma questo non gli importa.
“Sono ancora giovane e voglio continuare a
cercare, indipendentemente da quello che ho già ottenuto”.
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