mercoledì 25 ottobre 2017

Adichie, icona femminista dell'era digitale

40 anni, nigeriana, scrittrice e sostenitrice della parità di genere. È sua la frase sulle magliette indossate da fashion influencer di tutto il mondo. Ecco la sua storia


Chimamanda Ngozi Adichie è uno dei talenti più promettenti della letteratura nigeriana e anglofona in generale. A 39 anni, la scrittrice ha all’attivo due saggi e tre romanzi che hanno vinto diversi premi, fra cui il Commonwealth Writers’ (Purple Hibiscus), e il National Book Critics Award (Americannah), e sono apparsi nella lista dei migliori libri selezionati dal New York Times. Forse più che per i suoi scritti, però, Adichie, è conosciuta per il suo attivismo militante. “Narrare è sempre un gesto di attivismo”, sottolinea l’autrice, nata in una cittadina universitaria della Nigeria meridionale. “A suo modo, Proust era un attivista dell’amore”. La questione che accende, invece, Adichie è la disparità di genere. Il suo saggio We Should all be feminists le ha dato notorietà planetaria, al punto da essere distribuito in tutte le scuole superiori svedesi, e da poco ha pubblicato un testo intitolato Manifesto femminista in 15 suggerimenti.
A detta dell’autrice, il suo merito non è stato aver espresso nuovi concetti anti sessisti. Piuttosto di averlo fatto in modo semplice e accessibile, anche sfruttando medium di massa come video e canzoni, che le hanno permesso di raggiungere un pubblico molto più ampio di quello che, purtroppo, si ottiene attraverso i libri. Oltre a firmare due interventi su TED Talk (visti complessivamente da 13 milioni di persone), Adichie ha prestato il suo viso per la campagna pubblicitaria di una marca di make-up e ha collaborato con due protagonisti dello star system mondiale: Beyoncé e Dior. La cantante le ha chiesto di utilizzare alcune sue frasi sulle pari opportunità nella canzone Flawless, mentre la maison di moda ha stampato il titolo We should all be feminists su una t-shirt della collezione ready-to-wear di quest’anno.
“Alcune puriste mi hanno criticato perché temevano una commercializzazione del femminismo”, dice Adichie. “Capisco la critica, ma non la condivido: l’obiettivo del femminismo è creare giustizia nel mondo. Per riuscirci il nostro messaggio deve necessariamente raggiungere più gente possibile”.
L’idea di farne una maglietta da sfilata, così come una canzone, non è stata di Adichie. Sono le stesse star ad averla coinvolta, non prima di averla conquistata, dimostrandole la sincerità delle loro intenzioni, che non era certo quella di sfruttare gli ideali femministi per vendere più prodotti.
“Maria Grazia [Chiuri, ndr] mi ha scritto a mano una lettera a molto sincera e toccante. Sono rimasta sorpresa quando ho saputo che era la prima direttrice donna nella storia di Dior, mi è sembrato molto simbolico. E poi quella che ha disegnato è proprio una bella maglietta”.
Adichie ha una voce sicura che lascia deliberatamente trasparire una certa soddisfazione nel commentare un indumento firmato.
“Ho sempre amato vestiti, tacchi alti, rossetti. Quando ho cominciato a scrivere, però, nascondevo questo lato, perché il mondo può essere molto intollerante nei confronti delle donne intellettualmente impegnate. Mi sentivo costretta a vestire come una scrittrice seria, non come piaceva a me. Ora che non ho più nulla da dimostrare, sono felice di parlare della mia passione per lo stile: è un modo per affermare il diritto ad avere una personalità sfaccettata”.
La battaglia per raggiungere la parità di genere passa anche da piccoli gesti come questo, esercizi di autoconsapevolezza che mirano a evitare le trappole degli stereotipi in cui anche persone come Adichie, a volte, possono ricadere.
“Qualche giorno fa, parlando di un medico, ho dato per scontato che fosse un uomo. Quando un’amica mi ha fatto notare che era una donna, mi sono vergognata. Proprio io, colta a parlare così! Mi ha dato la misura di quanto lavoro c’è ancora da fare”.
E dire che Adichie ha una certa esperienza, sia per aver studiato e scritto abbondantemente in materia, sia per aver provato sulla pelle visioni piuttosto lontane: quella nigeriana, dov’è cresciuta; e quella americana, dove ha perfezionato gli studi negli atenei più prestigiosi e oggi continua a vivere con il marito e la figlia nata da poco.
“In Nigeria la disparità di genere è più esplicita, negli Stati Uniti più sottile. Non credo che una forma sia necessariamente meglio dell’altra perché, nel secondo caso, spesso la misoginia è comunque presente ma diventa solo più difficile da dimostrare. E la situazione peggiora con l’età: mentre Nigeria gli anziani godono ancora di un certo rispetto, in America la donna che invecchia sconta la somma di due fattori negativi”.
Nonostante questo, Adichie resta ottimista: la scrittrice è convinta che, tranne un manipolo di maschilisti convinti, la maggior parte delle persone tenda a discriminare solo perché condizionata dall’ambiente sessista in cui vive. Questo crea grandi margini di miglioramento, se si lavora per aumentare la consapevolezza nelle donne come negli uomini.
“Soprattutto in Africa, noto che l’atteggiamento di molte donne sta cambiando. Questo significa progresso per me. Sogno d’inventare una pillola rosa che renda tutti femministi all’istante”, conclude ridendo. “Scherzi a parte, la complessità della sfida non è una buona ragione per rinunciare, anzi. Bisogna affrontarla concentrandosi sui miglioramenti incrementali, non sperando di cambiare il mondo dalla mattina alla sera”.

Publicato su L'Officiel Italia

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