
«Lavori così si fanno una volta sola nella vita, e si fanno bene perché questa sarà come casa mia». Carlo Cracco scavalca sacchi di cemento e pile di putrelle d’acciaio mentre perlustra il cantiere che diventerà il suo nuovo ristorante: 1.000 metri quadri affacciati sul Salotto di Milano, la Galleria Vittorio Emanuele, che proprio questo mese festeggia 150 anni. Entro dicembre lo chef apre il nuovo spazio e la corsa contro il tempo è frenetica. I quattro piani affacciati sull’Ottagono coperto, sventrati e ridisegnati per adattarsi alle esigenze di un ristorante, preservano ciò che di pregio esiste, ricreano quel che è andato perduto, sviluppano nuove soluzioni. Al piano nobile un grande ingresso conduce al salone di ricevimento un tempo sede del Cai, come ricorda lo stucco sul soffitto con lo scudo azzurro l’aquila e la stella del club alpino.
All’interno si aprono tre sale da pranzo più piccole e due salottini privati con vista sulla passeggiata più elegante di Milano, completi d’ingresso semi indipendente per garantire massima privacy agli ospiti. C’è anche un fumoir con un bancone ottocentesco recuperato a Parigi. Ambienti raccolti, quasi da appartamento, per una cinquantina di persone al massimo, con luci studiate per creare un’atmosfera intima, senza penalizzare l’esperienza gastronomica.
«Da me il piatto è principe e deve essere illuminato al meglio» sottolinea Cracco.
Il secondo piano invece è un grande open-space destinato agli eventi, con pavimento seminato alla veneziana e lunga balconata a un passo dalla cupola di ferro e vetro che si apre sul cielo milanese: facile immaginare che la fashion industry, che negli anni è tornata a frequentare la Galleria, lo elegga a luogo prediletto per serate speciali. Al pianterreno un caffè charmant, poi il laboratorio di pasticceria nell’ammezzato e nel piano interrato la cantina con mescita. «Ho fatto la maturità cucinando sottoterra», sorride riferendosi al ristorante di via Victor Hugo in cui è rimasto 18 anni, «ora voglio godermi la luce».
E la vista: unica, da ogni affaccio del locale. Lo chef ha vinto il bando per aggiudicarsi questo spazio di proprietà del Comune di Milano con il progetto firmato dagli architetti Roberto Peregalli e Laura Sartori Rimini: «Chi meglio di loro è in grado di restituire la Galleria più bella di prima?».
«La struttura esterna dei palazzi dell’Ottagono è molto architettonica, ma gli interni sono sempre stati modesti», spiega Roberto Peregalli: «Perciò abbiamo cercato di dar loro dignità portando dentro lo stile della Galleria».
Questo ha significato disegnare stucchi e ideare pavimenti come se fossero sempre stati lì: «Non abbiamo immaginato di restituire agli ambienti le forme originali, ci interessava piuttosto creare armonia per trasmettere un’emozione al pubblico senza necessariamente far capire cosa c’era o non c’era prima», spiega Peregalli.
Cracco non ha mai aperto un locale così ambizioso, ma quando gli chiedo se teme la nuova sfida, rispolvera l’accento veneto e risponde senza esitazione: «Lo chef è patron, e qui non faccio niente di diverso dal mio mestiere».
D’altronde oggi un professionista della sua portata deve essere poliedrico: artigiano, inventore, designer, alchimista, ma soprattutto imprenditore. Perché, se per il pubblico il ristorante è luogo di evasione e nutrimento per anima e corpo, per lui è prima di ogni altra cosa un’azienda, anche se un po’ speciale.
«Non esiste un altro ristorante così vicino al Duomo che produce tutto in loco, dal pane ai cioccolatini. Per crearlo ci vuole visione e a Milano mancava un posto così».
Pubblicato su Vogue
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