giovedì 14 settembre 2017

Shirin Neshat racconta la Stella d'Oriente


L'artista di origine iraniana, ha diretto Looking for Oum Kulthum, presentato al Festival di Venezia
Questa volta il suo amato Iran non centra. Per il nuovo progetto, la 60enne Shirin Neshat ha distolto lo sguardo dalla patria da cui è esiliata, allargandolo a un simbolo del mondo arabo. Sempre per parlare della condizione femminile in rapporto agli autoritarismi politici, sociali e religiosi, ma questa volta scegliendo di farlo attraverso un'icona femminile nata in Egitto e considerata un mito da Bagdad a Marrakech: Oum Kulthum, voce leggendaria che ha cantato rivoluzioni postcoloniali e rappresentato un’eccezione di libertà nella società patriarcale musulmana del dopoguerra.

Dopo aver firmato la regia dell’Aida, condotta in agosto da Riccardo Muti, la visual artist iraniana questo mese è al Festival di Venezia con il nuovo lungometraggio Looking for Oum Kulthum. “Non voglio più creare opere nostalgiche sull’Iran”, conferma con voce suadente l’artista già Leone d’Argento nel 2009 per un film sull’Iran di Mossadegh e autrice di una famosa serie di foto di donne col volto coperto di calligrafia persiana. “Non torno dal 1996: devo abituarmi all’idea che forse non lo farò mai più e accettare questa condizione di nomade”.
Raccontare con un film il percorso di una regista che porta sullo schermo la vita e l'opera artistica della Stella d’Oriente, diventa quindi un’occasione per Neshat di tornare su temi cari senza confrontarsi direttamente con la sua cultura d’origine.
“E’ stato un po’ come guardarmi allo specchio: immaginare un personaggio che tenta di cogliere l’essenza di un mito femminile nato in una cultura maschilista, mentre si confronta con le aspettative e le contraddizioni di una donna indipendente che vuole essere madre, moglie e artista allo stesso tempo”.
Includendo elementi surreali e personali, il film non è una biografia nel senso stretto del termine. Ma la figura di Kulthum, che ha venduto 80 milioni di dischi in tutto il mondo e alla sua morte nel 1975 ha trascinato per le strade del Cairo oltre 4 milioni di fan, è ricostruita in maniera da rendere omaggio alla complessità della cantante e a quella della cultura in cui è fiorita.
“In un momento in cui il mondo musulmano è spesso ridotto a stereotipi svilenti per colpa di una minoranza di fanatici, è utile ricordare la ricchezza e la modernità della sua storia recente”.

Pubblicato su L'Uomo Vogue

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