L'artista di origine iraniana, ha diretto Looking for
Oum Kulthum, presentato al Festival di Venezia
Questa
volta il suo amato Iran non centra. Per il nuovo progetto, la 60enne Shirin
Neshat ha distolto lo sguardo dalla patria da cui è esiliata, allargandolo a un
simbolo del mondo arabo. Sempre per parlare della condizione femminile in
rapporto agli autoritarismi politici, sociali e religiosi, ma questa volta
scegliendo di farlo attraverso un'icona femminile nata in Egitto e considerata
un mito da Bagdad a Marrakech: Oum Kulthum, voce leggendaria che ha
cantato rivoluzioni postcoloniali e rappresentato un’eccezione di libertà nella
società patriarcale musulmana del dopoguerra.
Dopo
aver firmato la regia dell’Aida, condotta in agosto da Riccardo Muti, la visual
artist iraniana questo mese è al Festival di Venezia con il nuovo lungometraggio
Looking for Oum Kulthum. “Non voglio
più creare opere nostalgiche sull’Iran”, conferma con voce suadente l’artista già
Leone d’Argento nel 2009 per un film sull’Iran di Mossadegh e autrice di una
famosa serie di foto di donne col volto coperto di calligrafia persiana. “Non
torno dal 1996: devo abituarmi all’idea che forse non lo farò mai più e
accettare questa condizione di nomade”.
Raccontare
con un film il percorso di una regista che porta sullo schermo la vita e
l'opera artistica della Stella d’Oriente, diventa quindi un’occasione per
Neshat di tornare su temi cari senza confrontarsi direttamente con la sua cultura
d’origine.
“E’ stato
un po’ come guardarmi allo specchio: immaginare un personaggio che tenta di
cogliere l’essenza di un mito femminile nato in una cultura maschilista, mentre
si confronta con le aspettative e le contraddizioni di una donna indipendente che
vuole essere madre, moglie e artista allo stesso tempo”.
Includendo
elementi surreali e personali, il film non è una biografia nel senso stretto del
termine. Ma la figura di Kulthum, che ha venduto 80 milioni di dischi in tutto
il mondo e alla sua morte nel 1975 ha trascinato per le strade del Cairo oltre
4 milioni di fan, è ricostruita in maniera da rendere omaggio alla complessità della
cantante e a quella della cultura in cui è fiorita.
“In un
momento in cui il mondo musulmano è spesso ridotto a stereotipi svilenti per
colpa di una minoranza di fanatici, è utile ricordare la ricchezza e la
modernità della sua storia recente”.
Pubblicato su L'Uomo Vogue
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