venerdì 16 luglio 2010

Toh, nell'orto c'è il petrolio


Pubblicato su IO DONNA:
Shelley Aadnes osserva da lontano la villa che sta costruendo insieme al marito nella campagna di Stanley, un paese di 1300 abitanti sperduto nelle immense pianure del Nord Dakota.
“All’inizio volevamo costruire una capanna di legno per l’estate”, dice misurando con lo sguardo il perimetro di quella che sarà una reggia da cinque stanze da letto, cinque bagni e dependance per gli ospiti. “Poi abbiamo scoperto il petrolio sulla nostra terra e il progetto è cambiato”.
Come molti altri qui a Stanley, Shelley e suo marito Ron hanno vinto la lotteria dell’oro nero. Tre chilometri sotto questa prateria spazzata dal vento, che d’inverno raggiunge temperature di cinquanta sotto zero, è stato scoperto uno dei più grandi giacimenti di petrolio degli Stati Uniti.
Il ritrovamento ha attirato le compagnie petrolifere in una corsa che ha trasformato in milionari gli abitanti di questo sonnolento paesino rurale. E mentre dall’altro capo del paese c’è chi lotta per contenere la fuoriuscita del petrolio dal fondo marino, qui è tutto una gara a chi ne estrae di più.
“Non volevamo crederci finché non l’abbiamo visto sgorgare”, racconta Ron Aadnes, marito di Shelley, pensionato sessantaquattrenne che ha lavorava per la compagnia elettrica locale.
Per tutta la vita, il padre di Shelley aveva cercato di convincere la famiglia del grande potenziale di questa terra. Quando morì nel 1999, però, del giacimento di Stanley si sapeva ancora poco. Le stime sulle quantità di greggio erano molto basse e la tecnologia disponibile ai tempi non rendeva economicamente sensato pomparlo. Di conseguenza agli abitanti di queste praterie non restava che coltivare cereali nei mesi in cui il freddo lo permetteva. O allevare una particolare razza di vacca da carne, capace di resistere alle temperature glaciali dell’inverno.
Oggi i nuovi metodi di trivellazione orizzontale permettono invece di sfruttare il petrolio intrappolato nel sottosuolo e sono spuntati decine di pozzi che interrompono la monotonia del paesaggio verde e piatto, come fossero un surrogato metallico degli alberi che non crescono per causa del clima impervio.
“L’estrazione nella zona di Stanley sta aumentando a ritmi frenetici”, dice Ron Ness, presidente del North Dakota Petroleum Council, associazione che rappresenta le compagnie di estrazione. “Ha già trasformato il nostro stato nel quarto produttore nazionale di greggio”.
Per molti abitanti di Stanley questo significa una ricchezza insperata. In media, un pozzo in questa zona produce greggio per un valore di 1,6 milioni di dollari al mese, di cui circa un quinto spetta ai proprietari dei diritti minerari.
“Qui facciamo un milionario al mese”, sottolinea Larry Dokken, responsabile per la supervisione di alcuni pozzi della Whiting, una delle principali compagnie petrolifere della zona. “Per certa gente, coltivare la terra è diventato un hobby”.
La crisi economica che ha scosso gli Stati Uniti non ha neanche sfiorato Stanley: il tasso di disoccupazione non è mai stato così basso e gli affari vanno a gonfie.
La gente del posto, però, continua a condurre una vita normale, ed è restia a parlare apertamente della ricchezza che gli è piovuta addosso.
“Quando sarà tempo, ognuno dei miei sei nipoti riceverà un’eredità sostanziosa”, afferma sibillina Nancy Hemstad, nonna e proprietaria di un appezzamento di terra su cui sorge una modesta fattoria e tre pozzi di petrolio.
Tre anni fa Hemstad ricevette la chiamata di una compagnia di estrazione. Da allora, tutti i mesi si vede recapitare un ricco assegno. Ciò nonostante continua a lavorare presso un’agenzia di telemarketing, e quando l’anno scorso suo marito ha distrutto l’auto in un incidente, ha preferito ricomprarla usata.
“La scoperta del petrolio è una fortuna, ma ha creato tanta invidia in paese”, fa notare Hemstad.
Chi non possiede i diritti di sfruttamento del sottosuolo, infatti, è escluso dalla cuccagna. Ma l’arrivo di centinaia di uomini impiegati nelle operazioni di trivellazione ha contribuito comunque a risollevare le sorti dell’economia locale.
L’unico negozio d’abbigliamento fa affari d’oro vendendo capi anti-freddo per lavorare nei pozzi. Il direttore della banca del paese non sa più come investire il denaro dei correntisti, perché “tutti depositano e nessuno chiede prestiti”. Davanti alla stazione di servizio c’è sempre una lunga fila di camion che trasportano il greggio verso le raffinerie. E la tavola calda locale si è attrezzata con un menù speciale per gli addetti al petrolio: hamburger, patatine, asciugamano e doccia calda per 18 dollari.
“A volte entra gente che non ha potuto lavarsi per due settimane”, spiega Charlene Bangen, proprietaria di Frostee Treat e ideatrice dell’offerta.
L’arrivo in paese di ondate di operai ha reso infatti difficile trovare un alloggio a Stanley. L’amministrazione locale non vuole costruire case e infrastrutture per paura che il boom possa esaurirsi in pochi anni, lasciando una scia di appartamenti vuoti e conti da pagare. Gli affitti sono andati alle stelle e la maggior parte degli uomini è costretta a dormire in roulotte e campi improvvisati ai margini del paese. Ma la paga è buona e i lavoratori fioccano da tutti gli Stati Uniti.
“Ho cominciato a lavorare nei pozzi pensando fosse una soluzione temporanea”, dice Aaron Conrad, 24enne originario del Texas che fa turni da dodici ore al giorno e condivide una roulotte con altri 9 colleghi. “Ma dove lo trovo un altro impiego che mi paga 90.000 dollari per sei mesi di lavoro l’anno?”.
I rough neck, come sono soprannominati gli addetti ai pozzi, hanno un rapporto di odio e amore con i locali.
“Ci disprezzano perché non amiamo vivere in questo paese gelido dove non c’è nulla da fare”, continua Conrad. “Ma non possono fare a meno di noi, perché alimentiamo la loro fortuna”.
L’inverno di Stanley è talmente rigido che sulla prima pagina dell’elenco telefonico sono scritti i consigli per sopravvivere in caso d’ipotermia. Nel periodo più freddo dell’anno, chi lavora all’aperto non può lasciare esposto neanche il viso, pena il congelamento immediato e la cancrena. Ma i locali, quasi tutti discendenti d’immigrati scandinavi, sono fieri della loro terra che chiamano “God’s country”. E anche quando è arrivata la manna del petrolio, nessuno ha pensato di trasferirsi al caldo per godersi la sua fortuna. Al contrario, in molti hanno cominciato a lamentarsi per l’invasione di forestieri e l’aumento del traffico. Effettivamente, i processi penali della contea sono triplicati e le prigioni si sono riempite. Ma l’unico seriamente preoccupato sembra essere lo sceriffo locale, costretto a lavorare il doppio per fronteggiare la situazione.
“Stanley stava lentamente morendo e la scoperta del petrolio l’ha salvato”, sottolinea Shelley Aadnes. “Ma non ha cambiato il modo di vivere dei suoi abitanti”.
Alcuni si sono comprati nuovi trattori, altri si sono regalati un viaggio che sognavano da tempo.
Oltre alla nuova casa, gli Aadnes non si sono concessi altri vizi. Ma hanno cambiato la pietra sulla tomba del padre di Shelley.
“Di fianco al suo nome ho fatto disegnare una spiga di grano e un pozzo di petrolio: ci ha sempre creduto e se lo meritava”.

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