
“Dove andranno d’inverno le anatre di Central Park?” si chiedeva il giovane Holden nel romanzo di J. D. Saliger. La domanda pare escludere che New York offra alternative. Spesso, infatti, si tende a identificare con Central Park l’unico spazio verde della città, anche se i newyorkesi veri molte volte nel grande parco sono solo una minoranza. Specie d’estate, quando i suoi prati si riempiono di turisti in cerca di ristoro.
Pur essendo famosa per la sua giungla di cemento e grattacieli, infatti, la metropoli dispone di un’invidiabile quantità di spazi verdi, popolata da decine di specie animali. A Prospect Park, eterno rivale di Central nel cuore di Brooklyn, ci sono talmente tante anatre che quest’estate il Comune ha dovuto abbatterne una parte per paura che intralciassero il traffico aereo. Poco distante, Fort Greene Park è un importante punto di appoggio nella rotta migratoria della farfalla monarca. Nei cieli di Pelham Bay Park, nel Bronx, si possono vedere volare i falchi pellegrini, mentre le paludi di Alley Pond Park sono abitate da tartarughe e rane. E a Forest Park, nel 2004, è stata avvistata una tigre. Ma quello era uno sbaglio. La belva era scappata da un circo e dopo qualche giorno la polizia è riuscita a rimetterla in gabbia.
L’abbondanza di fauna è favorita dalla dimensione dei parchi. Al posto di frazionare gli spazi verdi, l’amministrazione ha sempre favorito la costruzione di grandi polmoni. Questo fin da quando, negli anni Trenta fu nominato a capo del Dipartimento dei Parchi di New York Robert Moses, una delle figure più potenti della storia della città. Convinto che la rinascita economica della città passasse attraverso il miglioramento delle condizioni di vita dei suoi abitanti, Moses estese le aree verdi a un totale di circa 790 chilometri quadrati. Facendo le dovute proporzioni, questo significa che New York ha più del doppio di verde rispetto a una città come Milano. Con i suoi 340 ettari, infatti, Central Park rappresenta solo il quinto parco in ordine di grandezza. E sono in molti a sostenere che non sia neanche il più riuscito. Gli stessi architetti che lo progettarono nel 1858, Olmsted e Vaux, pochi anni dopo disegnarono anche Prospect Park. Facendo tesoro dell’esperienza accumulata e approfittando di una topografia più malleabile, i due architetti realizzarono a Brooklyn quello che definirono il loro capolavoro, scatenando una rivalità ancora oggi irrisolta fra i frequentatori dei due parchi.
In realtà lo stile dei due giardini è molto simile, anche se quello di Brooklyn è spesso più fruibile perché meno affollato.
“Lo preferisco per venire a correre perché è più tranquillo di Central Park”, dice Robert Kirkin, un corridore incontrato a Prospect Park che ha appena smesso di fare jogging spingendo un passeggino con dentro il figlio di tre anni. Durante la settimana, il parco è frequentato soprattutto da famiglie. Come quasi tutti gli spazi verdi della città, è molto sfruttato per fare sport e, da un paio d’anni, si è riempito di gente che corre trainando i pargoli in carrozzina.
Ma la particolarità dei parchi newyorkesi sta nella varietà dei paesaggi offerti.
A differenza di quello che si è portati a pensare, in fondo New York rimane una città d’acqua. E della sua abbondanza di coste e insenature si è approfittato per creare parchi diversi fra loro.
Per godere dello spettacolo di un tramonto sull’Hudson, c’è il Riverside Park, che si estende lungo il fiume dalla 72esima strada fino alla 158esima. Ogni giorno, qui si trovano molti newyorkesi che, seduti sull’inseparabile sedia da campeggio, si godono il panorama del sole che scompare dietro le scogliere del New Jersey.
“Mi basta per dimenticare tutto lo stress che questa città ti fa accumulare”, dice Christina Adams, un’infermiera che lavora alla vicina Columbia University.
A Staten Island, molti scelgono di rilassarsi passeggiando sulla spiaggia del Wolfe’s Pond Park alla ricerca delle conchiglie Quahog, bivalve originario di queste coste, simile a una grossa vongola che produce perle violacee usate dai nativi americani per fabbricare gioielli.
Spingendosi nel Bronx, i parchi della Grande Mela cambiano volto, mescolando paludi salmastre con foreste di querce e spiagge di sabbia.
Invece che spingersi nel lontano New England, per ammirare lo spettacolo autunnale degli alberi cambiano colore prima di perdere le foglie, basta una visita all’orto botanico del quartiere. Qui, oltre al famoso giardino delle rose dedicato a Peggy Rockefeller, c’è una grande foresta di aceri e faggi che ogni anno, fra ottobre e novembre, si tinge di arancione, rosso e oro.
Pelham Bay è grande più di tre volte Central Park ed è il più esteso della città. Al suo interno si trovano animali diversi come i procioni, cervi, gufi e granchi reali. Due campi da golf, chilometri di sentieri equestri e la cosiddetta “riviera di New York”: una spiaggia artificiale a forma di mezza luna creata da Moses unendo piccole isole con detriti e ricoprendo il tutto con un milione di metri cubi di sabbia.
Il risultato è una specie di Coney Island in versione latinoamericana. La prevalenza d’ispanici che popolano il Bronx, infatti, si rispecchia nell’atmosfera, con il ceviche che prende il posto degli hot dog, e i ritmi di mambo e merengue che dominano rispetto a quelli dell’hip hop.
E siccome i parchi della Grane Mela sono diventati completamente sicuri, per aggiungere adrenalina all’esperienza, ad Alley Pond Park è stato aperto un percorso di zip line, ponti tibetani e liane. Che ogni giorno attrae decine di dipendenti di aziende costretti dai responsabili del personale a usare le corde alte per lavorare sulla fiducia in sé stessi e la collaborazione.
Alla domanda del giovane Holden su dove vanno le anatre quando gela il lago di Central Park, verrebbe quindi da rispondere: “In tanti altri parchi della stessa città”.
Nessun commento:
Posta un commento