Pubblicato su Uomo Vogue:
Quando lo sceneggiatore inglese Simon Beaufoy ha capito che trasformare in un film la storia di Aron Ralston era l’equivalente cinematografico di una missione impossibile, ha cominciato davvero ad interessarsi al progetto.
“Il protagonista di 127 Ore rimane sempre solo; non si muove per quasi tutto il film; e il fatto che sia una storia vera non permette l’uso di trucchi narrativi”, ci spiega al telefono lo sceneggiatore qurantunenne. “Inoltre, tutti sanno come va a finire: dal punto di vista narrativo è un vero incubo”.
Al posto di demoralizzarlo, però, la sfida ha convinto l’autore di Full Monty e Slumdog Millionaire a mettersi al lavoro insieme al regista Danny Boyle per scrivere una sceneggiatura adatta a portare sul grande schermo l’avventura di Ralston, alpinista americano costretto ad amputarsi il braccio rimasto incastrato sotto una roccia durante una gita solitaria in montagna.
Le passate esperienze da alpinista hanno consentito a Beaufoy di avvicinarsi alla situazione vissuta da Ralston. E il continuo confronto con quest’ultimo gli ha permesso di raccontare la vicenda nel modo più fedele possibile. L’unico dubbio che rimaneva all’autore era che la storia risultasse per lo spettatore un atto di eroismo fine a se stesso.
“Mi sono convinto che valeva la pena raccontare quest’avventura quando ne ho capito il messaggio implicito: quello di una persona profondamente egoista che parte credendo di bastare a se stessa, ma è costretta ad ammettere la sua dipendenza dagli altri per trovare la forza necessaria a salvarsi dall’incidente che gli è capitato”.
Dopo l’ennesimo tentativo andato male di liberarsi il braccio, Ralston decide di lasciarsi morire. È solo la visione di un figlio non ancora nato che lo convince a non rinunciare alla sfida.
“Questo dà al racconto una valenza universale, che lo rende interessante per tutti”.
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