venerdì 2 marzo 2012

Missoni e Cerruti: "La moda fa troppo sul serio"


Ottavio Missoni
Oltre ad essere due delle icone più conosciute della moda italiana, Ottavio Missoni e Nino Cerruti condividono una grande passione per lo sport e una certa dose di scetticismo nei confronti dell’industria che hanno contribuito creare. “Ottavio ed io abbiamo sempre vissuto la moda in maniera sportiva: ci entusiasmava ma non l’abbiamo mai presa troppo sul serio”, dice Cerruti al telefono dal suo studio di Biella. 
Nino Cerruti
“Il mondo dello sport ci ha insegnato a rispettare l’avversario, accettare le sconfitte e non porci traguardi irraggiungibili”, gli fa eco il collega 91enne dal suo ufficio nella provincia di Varese. Uno è stato olimpionico, l’altro solo appassionato; ma per entrambi lo sport ha rappresentato un’insostituibile fonte d’insegnamento e ispirazione. Missoni ha vestito la maglia azzurra nei 400 metri a ostacoli alle Olimpiadi di Londra del 1948 e ha cominciato la sua carriera producendo abbigliamento sportivo. Ai Giochi indossò una tuta da lui stesso confezionata.
Non avendo le doti fisiche del collega, Cerruti si è limitato a praticare sport a livello amatoriale. Ma ha avuto il merito di essere il primo ad associare una griffe di moda con campioni del calibro del tennista americano Jimmy Connors e dello sciatore svedese Ingemar Stenmark. I due designer non si occupano più direttamente di moda: Missoni aiuta solo saltuariamente la moglie Rosita, che si dedica all’arredamento d’interni. Cerruti, classe 1930 e di pochi anni più giovane del collega, ha messo da parte le passerelle per concentrarsi sul lanificio di famiglia e su una joint venture nell’ambito del design creata con Baleri. Ma come fa notare, “essere stilista è come essere prete: una volta cominciato, non smetti mai completamente”. Entrambi hanno quindi l’esperienza e il distacco per dare un giudizio spassionato sulla moda maschile attuale.
Cerruti rimprovera all’industria di oggi di essere troppo condizionata dalle logiche d’impresa, che spesso sono in conflitto con quelle creative.
“A volte succede che l’ufficio stilistico scelga dei tessuti”, dice il designer che negli anni Sessanta fu fra i primi a riconoscere il talento di Giorgio Armani assumendolo nel lanificio di famiglia. “Che vengono poi cambiati da quello di merchandising per mere ragioni di costi. L’obiettivo della profittabilità è esasperato e limita la libertà creativa”. L’imprenditore piemontese fu fra i primi a creare il pret-à-porter maschile, portando l’eleganza sartoriale su scala industriale, ed è ben consapevole delle dimensioni colossali raggiunte oggi dal business della haute couture, “diventata insieme al calcio fra i veicoli comunicativi più potenti al mondo”. 
In questo contesto, è naturale che l’atteggiamento dei protagonisti del settore sia cambiato.
“Si prendono molto sul serio, ma forse è legittimo. L’industria è diventata talmente importante che cambiano le responsabilità”, sottolinea il creatore dello stile detto casual chic. “Sembra quasi che i salvatori delle sorti economiche dell’Italia debbano essere gli imprenditori della moda”. 
Cerruti punta, però, il dito sulla frattura che si è creata fra le sfilate “ad alto scopo promozionale” e il prodotto venduto al consumatore finale.
“In passerella si tende ad esagerare per scioccare la gente, mentre le logiche economiche condizionano la produzione al punto da rischiare di trasformare le maison in catene retail”.
Quando chiediamo la sua opinione sulla moda attuale, anche Missoni non risparmia qualche critica, espressa con l’ironia e il sarcasmo che da sempre lo distinguono.
“Oggi per vestire con cattivo gusto non è necessario seguire la moda, ma aiuta”, scherza al telefono con una voce arzilla nonostante la venerabile età, ripetendo una battuta divenuta ormai un suo motto. “Spesso la gente che segue pedissequamente le ultime tendenze combina dei disastri. Mescolare i suggerimenti con un tocco di stile personale è fondamentale”.
D’altronde, rompere le regole ha sempre portato fortuna allo stilista di origini dalmate.
Negli anni Sessanta, i primi successi della maglieria fondata con la moglie Rosita arrivarono quando cominciò a sperimentare la lavorazione di vestiti leggeri con macchine da cucire pensate per la confezione di scialli. Una decina d’anni dopo, quando già il nome del maestro dei colori cominciava a circolare a livello internazionale, fece sfilare a Palazzo Pitti modelle con vestiti leggermente trasparenti senza sotto il reggiseno. La polemica che seguì, gli procurò una scomunica da Firenze, forzandolo ad andare a Milano e a fondare insieme ad un manipolo di giovani stilisti il movimento che ha poi trasformato la città meneghina nella capitale della moda italiana.
“Il vantaggio di non aver mai frequentato una scuola è che sono sempre stato libero di pensare fuori dalle regole”, sottolinea l’anziano fondatore della maison lombarda.
Certo, Missoni ammette che il mondo in cui si muoveva un tempo è diverso da quello attuale. C’erano meno concorrenti ma le opportunità erano minori. E forse proprio questo l’ha aiutato a restare con i piedi per terra. Nonostante il suo marchio sia da anni uno dei principali ambasciatori mondiali del Made in Italy con fatturati milionari, Missoni sostiene di non aver mai spinto per realizzare grandi numeri.
“Non mi ha mai interessato. L’azienda ha mantenuto una qualità costante e un carattere artigianale”.
Anche Cerruti dice di aver sempre interpretato il lavoro nella moda non solo come business, ma soprattutto come un modo per coltivare le proprie passioni.
“Negli anni Settanta ho cominciato ad avvicinarmi al mondo del cinema perché mi piaceva, disegnando vestiti per attori francesi e per Hollywood. Poi sono passato allo sport per la stessa ragione e quando ho cominciato a sponsorizzare il calcio, mi presero per matto. Dicevano che era un gioco del sudore e non sarebbe mai stato una buona promozione. Il tempo mi ha dato ragione”.
Pur restando giustamente fieri di ciò che hanno creato, però, entrambi gli stilisti scherzano volentieri sull’unicità e l’importanza del loro lavoro.
“Serve a trascinare il comparto tessile e come veicolo dell’immagine italiana, ma non è mai stata una grande invenzione”, conclude Missoni ridendo. “Sulle Ande sono duemila anni che copiano i miei modelli e in Egitto sono anche più di tremila”.

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