giovedì 26 maggio 2011
Ora impacchetto un fiume. Per amore
Per il grande artista Christo la moglie Jeanne-Claude non è mai morta. E per tenerla in vita vuole avvolgere 10 chilometri dell’Arkansas River con giganteschi teli d’argento.
Pubblicato su Io Donna:
“Tutti gli artisti vorrebbero che le loro opere facessero discutere. Ma i nostri lavori sono gli unici capaci di farlo ancora prima di essere creati”. La natura dei progetti di Christo e Jean Claude, e le polemiche che suscitano regolarmente, rendono lunghissimi i processi di realizzazione delle opere che li hanno resi famosi. Impacchettare il Reichstag tedesco e il Pont Neuf di Parigi, o circondare le isole al largo di Miami con tessuto colorato richiede un’infinità di permessi burocratici, oltre ad un’idea geniale e un buon piano ingegneristico.
Dopo cinquant’anni di assidua collaborazione, alla fine del 2009 l’artista settantacinquenne è rimasto solo quando la moglie Jean Claude è scomparsa all’improvviso per un aneurisma cerebrale. Questo, però, non ha fermato Christo dal continuare a lottare per realizzare le opere pensate insieme a lei. L’ultima delle quali sta per andare incontro al suo giudizio finale: ai primi di giugno il governo americano deciderà se approvare Over The River, progetto che prevede di coprire dieci chilometri del fiume Arkansas, in Colorado, con giganteschi teloni argentei sospesi nell’aria.
Sta lavorando a quest’opera dal 1992. Pensa che il governo le concederà il permesso di realizzarla?
“Cerco di essere ottimista ma nascondo di essere anche angosciato: nella nostra carriera abbiamo portato a termine 22 progetti ma ne abbiamo visti rifiutare 37”, dice Christo mostrandoci i disegni preparatori di Over The River nella galleria privata sotto il suo studio di New York. Quando parla delle sue opere, l’artista di origini ungheresi usa sempre il plurale, come per sottolineare l’importanza della coppia nella sua produzione artistica.
La prima collaborazione con sua moglie risale al 1961. Che effetto le fa trovarsi lavorare a quest’opera da solo?
“E’ molto difficile, ma fortunatamente il progetto è ormai in una fase avanzata. Ho vissuto e lavorato con Jean Claude per più di cinquant’anni. E’ una perdita immensa. Ci incontrammo a Parigi quando avevamo entrambi 23 anni e da allora non ci siamo mai più separati. Divenne artista per amor mio. Diceva sempre che se fossi stato un dentista lo sarebbe stata anche lei”.
C’è qualcosa che le manca particolarmente?
“Il suo senso critico: discutevamo e ci confrontavamo continuamente. Mi manca anche il suo umorismo. Durante uno dei tanti incontri che abbiamo fatto per spiegare Over the River e ascoltare le obiezioni dei residenti della zona, ad esempio, una donna ci disse che i pali piantati nel terreno per tenere il tessuto sospeso sopra il fiume avrebbero sicuramente causato un terremoto. Ovviamente era un’assurdità, ma alla fine del dibattito Jean Claude era felice perché diceva di essere l’unica donna al mondo capace di creare un terremoto”.
Gli artisti tendono ad avere un ego piuttosto forte. Non c’è mai stato un momento in cui avete rischiato di soffocarvi a vicenda?
“No. Tutto il nostro lavoro era rivolto a completare la nostra opera. L’ego era nell’opera stessa. Riuscire a realizzarla in uno spazio pubblico, coinvolgendo tante persone nel processo è una soddisfazione talmente grande che tutto il resto non conta”.
Come è nata l’idea Over The River?
“Mentre lavoravamo ad un'altra opera che consisteva nell’avvolgere il Pont Neuf di Parigi, nel 1985. Trasportammo enormi pezzi di tessuto con delle zattere e poi li issammo sotto le volte del ponte con un sistema di carrucole. L’immagine del tessuto sospeso sopra l’acqua della Senna rimase impressa nelle nostre menti fino al 1992, quando creammo i primi disegni di Over The River”.
Quanto costerà Over The River?
“Abbiamo già speso nove milioni di dollari e il conto totale potrebbe salire fino a 50, ma è difficile da prevedere. A questa domanda Jean Claude rispondeva sempre: provi a chiedere a una madre quanto le è costato avere un figlio”.
Dove trovate i soldi?
“I progetti sono interamente finanziati da noi, attraverso la vendita di opere preparatorie come foto, disegni e schizzi. Non abbiamo mai accettato commissioni o sponsorizzazioni di alcun tipo perché vogliamo avere il controllo totale di quello che facciamo. Tutti i nostri progetti hanno un valore puramente estetico, sono irrazionali e necessari solo per me e Jean Claude”.
Come fate ad essere sicuri del risultato finale, vista l’unicità e la scala dei vostri progetti?
“Facciamo sempre dei test a grandezza naturale che ci aiutano a visualizzare l’opera. In questo caso abbiamo affittato una proprietà privata attraversata da un fiume che assomigliava all’Arkansas. Li abbiamo deciso che tessuto usare e come disporlo”.
Dal concepimento alla realizzazione di una sua opera possono passare anche vent’anni. Come fa a non mollare mai?
“Siamo testardi e appassionati. Prima di convincere i tedeschi a lasciarci impacchettare il parlamento di Berlino incassammo tre rifiuti e trascorremmo sei mesi nell’allora capitale Bonn per incontrare i deputati e convincerli ad appoggiare il nostro progetto. Molti artisti vivrebbero questi processi come incubi burocratici. Per noi contribuiscono a forgiare l’identità dell’opera e a renderla più potente. Gli artisti solitamente tendono a confrontarsi con un circolo ristretto di persone. Noi siamo costretti a parlare con tutti, dal politico, al contadino che possiede la terra su cui vogliamo lavorare”.
Immagino che questo tipo di processo richiederà molto lavoro burocratico.
“Sì ma io non so neanche usare il computer. Non guido e non mi piace parlare al telefono. Tutti i miei schizzi, i miei disegni e i miei progetti sono fatti a mano. Lavoro da solo nel mio studio, dove nessuno può entrare. Ho tre assistenti ereditati da Jean Claude che sanno usare il computer, ma lavorano in uno spazio separato”.
Pensa a creare nuovi progetti in attesa di poter realizzare Over the River?
“C’è un altro progetto che risale al 1977 e attende di essere realizzato.S’intitola Mastaba ed è una piramide di barili di petrolio che vorremmo costruire ad Abu Dhabi”, dice Christo mentre ci mostra delle vecchie foto della moglie, giovane e bellissima, ritratta nel deserto dell’emirato. “Jean Claude ci ha dedicato molto tempo e voglio finirlo per lei.”
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