giovedì 28 luglio 2011
Nba Star: 'Melo, profeta dei Knicks
Pubblicato su L'Uomo Vogue:
“Arrivando a New York ho trovato una città assetata di vittoria”. Quando Carmelo Anthony è stato acquistato dai Knicks nel febbraio scorso, la Grande Mela l’ha accolto come un salvatore. “C’era un livello di eccitazione cui non ero preparato”, ammette la nuova stella della squadra di basket newyorkese.
Eppure Melo era abituato ad essere al centro dell’attenzione: fin dal suo debutto in Nba sette anni fa, l’ex ala dei Nuggets si è imposto come uno dei migliori realizzatori della lega, trasformando la squadra di Denver da cenerentola del campionato a veterana dei playoff. Questo, però, non ha risparmiato il cestista dallo shock iniziale delle mille luci di New York, fatte di eccitazione collettiva, ritmi accelerati e grandi aspettative.
“Ci è voluto un pochino per adattarmi. Poi però mi sono sentito di nuovo a casa”.
Melo infatti è nato a Brooklyn, in una casa popolare nella zona di Red Hook. E, pur avendo passato gli ultimi sette anni fra le montagne del Colorado, è ben abituato alle realtà urbane. Rimasto presto orfano del padre a causa di un tumore, a otto anni si è trasferito con la madre da New York a Baltimora, dove ha vissuto fino alla fine della scuola.
“Era uno dei quartieri più malfamati della città”, dice il giocatore dei Knicks dopo averci salutato offrendo un fist bump e biascicando un ‘how ya doin’ bro’.
Fin da piccolo, però, Melo trovò nel basket una ragione di vita per tenersi lontano dai guai. E per riuscire a riscattarsi fino a tornare nella sua città natale con l’aureola di salvatore. Quest’anno i Knicks sono tornati a giocare nei playoff per la prima volta dopo sette anni di assenza. L’acquisto a inizio stagione di un altro campione del calibro di Amar’e Stoudemire ha gettato le fondamenta perché la squadra ritornasse competitiva. Ma l’arrivo di Anthony ha cementato la speranza che la franchigia potesse diventare anche vincente. E nonostante la stagione passata sia terminata con risultati non brillanti, Anthony resta ottimista.
“Dal mio arrivo ai Knicks, abbiamo avuto solo un mese e mezzo di tempo per trovare la giusta chimica nella squadra. L’anno prossimo sarà tutta un’altra cosa”.
Dopo lo shock iniziale, l’impazienza del pubblico newyorkese ha smesso di pesargli e si è trasformata in stimolo a fare meglio. Inoltre la moglie Lala Vazquez, ex vj di Mtv con cui Melo ha un figlio di quattro anni, è di New York e tornare a vivere a casa ha reso felice anche lei.
Rimane un dubbio: Melo è un bell’uomo, ha 27 anni, una fama mondiale, un reddito di oltre 20 milioni l’anno e si è appena trasferito in una città che vanta una concentrazione imbarazzante di belle donne disponibili: non teme per la stabilità della sua famiglia?
“Al contrario, venire qui ci ha reso più uniti”, assicura Anthony sorridendo all’allusione. “Vivere a New York mi ha dato l’opportunità di stare più vicino a mia moglie”.
Entrambi i coniugi hanno carriere impegnative che li tengono spesso separati. Lala continua a lavorare nello spettacolo e ha appena finito di girare un reality show. Suo marito, nel frattempo, viaggia per gli Stati Uniti per buona parte dell’anno: la stagione regolare conta 82 partite in cinque mesi, esclusi i playoff. E quando non gioca a basket, Melo è impegnato con la sua casa di produzione cinematografica, che ha già realizzato un documentario su Mike Tyson e sta per terminarne un altro sul campione di baseball Roberto Clemente. Nel poco tempo libero che gli rimane, Anthony finanzia delle fondazioni che promuovono il basket fra i giovani: l’ultimo progetto che ha sponsorizzato è nella sua ex Università, Syracuse, a cui ha donato 3,5 milioni di dollari per rifare la palestra.
Anthony, però, non ha sempre avuto la reputazione di bravo ragazzo. All’inizio della carriera professionistica, la sua personalità irruenta gli ha creato qualche problema. E’ stato spesso criticato per l’atteggiamento arrogante e l’incapacità di fare squadra. Ha avuto qualche scazzottata di troppo in campo e un paio d’incontri ravvicinati con la polizia. Poca roba, ma abbastanza da impedirgli di assumere a pieno titolo lo status di eroe riservato ai fuoriclasse dello sport americano.
Poi nel 2008, c’è stata la svolta, a partire dall’immagine esteriore. Anthony si è tagliato le treccine che portava da quando era bambino e in campo si è trasformato in un leader naturale, guidando il Team Usa all’oro delle Olimpiadi di Pechino.
“Ho smesso anche di fare trash talk durante le partite”, aggiunge l’ala riferendosi alla tradizione che vede spesso i cestisti Nba insultarsi in campo come i livornesi con i pisani.
A quest’ultima affermazione non sappiamo se credere davvero. Ma in fondo non ce n’è bisogno per apprezzare lo sforzo.
“Non molti escono indenni da una realtà come quella in cui sono cresciuto”, sottolinea ammirando con soddisfazione lo skyline di New York dalla terrazza dello studio fotografico dove lo incontriamo. “Questa consapevolezza mi ha sempre dato fiducia, e il fatto di essere qui oggi mi fa pensare di avercela fatta veramente”.
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