martedì 18 novembre 2014

Jack Larsen, pioniere del design etnico


Foto by Carlotta Manaigo
In quest’epoca postmoderna e globalizzata sembra quasi difficile ricordare quando i tessuti di design etnico rappresentavano una novità. Questa amnesia collettiva è frutto di una mentalità cosmopolita che deve tanto al genio di Jack Lenor Larsen.
Fu il tessitore di Seattle il primo a commercializzare nel mercato occidentale degli anni Cinquanta i batik africani e gli ikat asiatici, un tempo conosciuti solo da pochi esploratori e giramondo.
“Ho studiato architettura ed etnografia culturale, ma fu un misto di curiosità, imprenditorialità e tempismo a spingermi a viaggiare alla ricerca di nuovi tessuti”, ricorda Larsen dal suo buen retiro negli Hamptons.
Trent’anni fa il designer 87enne si fece costruire qui una villa ispirata a un tempio shintoista giapponese, cultura cui si sente molto vicino. Un tempo era un rifugio estivo dove scappare quando il caldo nel suo appartamento di New York diventava insopportabile. Oggi è diventata la sua dimora principale, che raccoglie le sue collezioni (di tessuti, di artigianato e di sculture) ed è parzialmente aperta al pubblico.

“Mi considero un artigiano e la passione del collezionismo nasce come reazione alla società consumistica e di produzioni di massa. Apprezzo l’unicità dei manufatti di qualsiasi tipo”, dice il designer con la voce roca di chi fatica a parlare al telefono.
Pur essendo famoso per i tessuti colorati e le fantasie esotiche, il genio di Larsen abbraccia una gamma molto vasta di stili. La sua carriera viene lanciata cavalcando il modernismo architettonico che si diffonde negli Stati Uniti negli anni del dopoguerra. Ai tempi ci sono pochi tessuti adatti a decorare le linee essenziali di questo stile e Larsen li disegna. Il primo riconoscimento importante arriva quando vince la gara per disegnare le tende di Lever House, grattacielo costruito su Park Avenue nello “stile internazionale” di Mies van der Rohe. La stoffa traslucente tessuta da Larsen è fatta di un lino intrecciato con metallo dorato che ben si adatta allo spirito razionalista della torre. Subito dopo, il tessitore apre un negozio poco distante da Lever House, su Park Avenue e 58esima strada, e comincia la sua ascesa: Marilyn Monroe bussa alla sua porta per arredare la casa in Connecticut che divide col marito Henry Miller. E Frank Lloyd Wright compra lì il tessuto verde-blu con cui decora la stanza della musica nella sua famosa villa a Taliesin, Winsconsin.
L’elenco di architetti famosi con cui Larsen collabora spazia da Marcel Breuer a Louis Kahn e Gordon Bunshaft.
“Avendo studiato architettura, parlavo la stessa lingua e condividevo lo stesso senso estetico. Riuscivo ad adattarmi e interpretare i loro obiettivi. Kahn volle addirittura che gli insegnassi a lavorare al telaio per comprendere meglio il mio progetto per la Chiesa di Rochester”.
Il tempio della First Unitarian Church vicino a New York è considerato una delle opere più riuscite dell’architetto americano, a cui Larsen ha contribuito disegnando pannelli di tessuto che abbracciano tutta l’iride, ma sono realizzati solo con fili di colori primari.
Negli anni Settanta, Larsen produce e importa stoffe da oltre 60 paesi del mondo e vanta diversi primati dell’industria tessile: è il primo a disegnare tessuti elastici da rivestimento, a stampare sul velluto e a creare stoffe per gli interni degli aeroplani. Il suo vocabolario cromatico e le fantasie di molte dei suoi tessuti sono spesso ispirati alla natura e ai lavori di alcuni artisti.
“Per Midsummer [tessuto a fiori colorato, ndr], che ebbe un grandissimo successo, presi un’immagine di Matisse e una di Tiffany [pittore e vetraio americano di fine Ottocento, ndr] e disegnai qualcosa che è una via di mezzo fra i due”.
Ma dopo una vita passata a sperimentare fra colori e disegni, oggi Larsen è tornato a uno stile più essenziale che riecheggia quello razionale che ha lanciato la sua carriera. Agli accostamenti forti di alcuni tessuti creati in passato preferisce “quelli fra colori complementari dello stesso valore”. E quando gli domando cosa sia oggi l’eleganza per lui, risponde facendo riferimento a un concetto giapponese che indica un’estetica discreta e sottile: “La vera eleganza è shibui, understatement e modestia”.

Pubblicato su L'Uomo Vogue

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