
Il baseball per Robinson Canò è sempre stato una predestinazione. Il padre, giocatore professionista senza grandi qualità, dopo la nascita lo battezzò con il cognome del primo battitore nero ammesso in una grande squadra americana, Jackie Robinson.
E lo fece crescere a San Pedro de Macoris, cittadina della Repubblica Dominicana che non arriva a duecentomila abitanti ma ha sfornato ben 76 campioni di baseball finiti nelle Major League americane – come se Parma avesse dato i natali a più di sei squadre di serie A.
“Dalle mie parti i ragazzi non fanno altro che giocare a baseball: oltre che un divertimento, è un mezzo di riscatto sociale”, dice Canò finendo la frase con uno di quegli ampi sorrisi che negli spogliatoi gli sono valsi il soprannome di Ray Charles.
Nonostante le premesse, il fatto di ritrovarsi a ventisei anni ad essere il più promettente fra i giovani talenti dei New York Yankees, continua ad aver dell’incredibile anche per il Second Baseman dominicano. Quest’anno Canò ha fatto una stagione straordinaria, mostrando una rara combinazione di velocità e potenza e realizzando quasi lo stesso numero di home runs di Alex Rodriguez, vero fuoriclasse della squadra newyorkese. E l’ha fatto sempre con quel sorriso sulle labbra che fa sembrare qualsiasi sua mossa come la cosa più naturale del mondo.
“A volte mi stupisco ancora di me stesso quando entro allo Yankee Stadium. Da bambino ho sognato così tanto di giocare qui, che ora mi sembra quasi irreale”.
Canò oggi guadagna circa 7 milioni all’anno solo dal contratto d’ingaggio con i Bombers del Bronx, ma non ha scordato le decine di ragazzi per le strade di San Pedro che tutti i giorni si allenano con guantoni fatti di cartoni del latte nella speranza di seguire le sue orme.
“Ogni anno invio a casa centinaia di attrezzature da baseball per i giovani della città”.
Nessun commento:
Posta un commento