mercoledì 1 dicembre 2010

America's Sweethearts


Pubblicato su Uomo Vogue:
Entrando nello spogliatoio delle cheerleaders della squadra di football dei Dallas Cowboys non si fatica a credere di essere nella sede delle ragazze pom pom più famose d’America. La stanza all’interno dello stadio è grande quanto quella dei giocatori di football, ma nell’aria aleggia un profumo di borotalco e lacca per capelli.

Ognuna delle 34 cheerleader ha il suo spazio personale, con una panca ben rifinita dentro cui stivare il set di valigie rosa shocking in dotazione alla squadra e un grande specchio incorniciato da decine di lampadine. Il tutto sovrastato da una foto a dimensioni naturali della ragazza in divisa, con il suo nome sottolineato dalle stelline simbolo dei Dallas Cowboys.
Con i loro stivali bianchi e le uniformi provocanti, le cheerleaders dei Dallas Cowboys, rappresentano in questo sport tutto americano quello che i New York Yankees sono nel baseball.Sono loro a essere chiamate regolarmente per intrattenere i soldati di stanza all’estero, a essere ritratte nei poster appesi agli armadietti dei liceali, a vantare il soprannome di America’s Sweethearts.
Oltre ad essere atlete prestanti, capaci di ballare e fare acrobazie, le ragazze rappresentano agli occhi degli americani la quintessenza della provocazione sensuale. Tanto da aver ispirato uno dei più famosi film porno americani, Debbie Does Dallas.
In realtà, per far parte di questa squadra le ragazze devono aderire ad una rigorosa etichetta influenzata dai costumi puritani del Texas. Le regole della squadra, ad esempio, proibiscono loro di avere qualsiasi tipo di relazione con i giocatori di football e le scoraggiano ad uscire la sera, anche quando sono fuori servizio. Dalle loro biografie, la maggior parte delle ragazze risulta essere piuttosto conservatrice, la bibbia viene spesso menzionata fra le letture preferite.
“Mantenere una certa reputazione è importante perché ci permette di distinguerci”, osserva Kaitlin Ilseng, studentessa di psicologia alla terza stagione con le Cheerleaders di Dallas. “Il pubblico ci rispetta per questo”, aggiunge raccogliendo i capelli biondi in preparazione per sessione di allenamento quotidiano.
Quest’anno una sua compagna è stata espulsa dalla squadra perché si è ubriacata ed è stata coinvolta in un incidente in cui è intervenuta la polizia.
Proprio questo cocktail di provocazione ed innocenza sembra essere alla base della fama che ogni anno porta centinaia di giovani a convergere su Dallas per partecipare alla selezione nella speranza di entrare nella squadra.
“Diventare una cheerleaders dei Dallas Cowboys è il sogno della mia vita”, dice Olivia Stevanovski, diciannovenne di Detroit ammessa nella squadra da pochi mesi.
Considerato che le America’s Sweethearts ricevono uno stipendio simbolico, si allenano incessantemente e sono tenute a comportarsi quasi come suore laiche, non è facile cogliere immediatamente la natura della sua aspirazione. Ma quando Stevanovski mi conduce sul campo da football dove si esibisce insieme alle compagne, tutto diventa più chiaro.
La casa dei Cowboys è uno stadio modernissimo da 110.000 posti, con il tetto retrattile, fontane d’acqua e opere d’arte gigantesche che decorano le pareti.
“Esibirmi qui è l’emozione più grande della mia vita”, confessa giocando con la lampo della tuta blu che deve indossare per venire allo stadio ad allenarsi.
Stevanoski è una delle otto matricole entrate in squadra lo scorso agosto. L’età delle sue compagne varia dai 18 ai 26 anni, con una sola cheerleader arrivata alla sesta stagione consecutiva. Il lavoro è molto impegnativo e la carriera media è di tre anni.
“Per contratto dobbiamo anche studiare o lavorare”, dice Ilseng, che nel frattempo ha indossato la divisa da allenamento, composta da scarpe da ginnastica, pantaloni corti e un top blu molto discreto. “Spesso non abbiamo tempo per fare nient’altro”.
Negli Stati Uniti sono circa 4 milioni le donne che fanno parte di una squadra di cheerleaders. Ogni franchigia che si rispetti ha la sua, ma le Dallas Cowboys continuano ad essere una categoria a parte. È la squadra di football della città texana ad aver inventato negli anni Settanta la formula che ha rivoluzionato questa attività: al posto delle ragazze che cantavano vestite con pantaloni e camice a maniche lunghe, reclutarono ballerine di bell’aspetto capaci di fare piroette e acrobazie. E le vestirono con uniformi attillate che lasciavano ben in vista gambe, ombelico e decolté. Il successo fu immediato, tanto che tutte le altre squadre imitarono le cheerleaders dei Dallas Cowboys, senza però riuscire ad eguagliarne il fascino e il sex appeal.
Ancora oggi la fama di questa squadra è tale da convincere le ragazze che ne fanno parte a lavorare sodo senza pretendere quasi nulla in cambio. Gli allenamenti si tengono tutto l’anno, cinque giorni a settimana, dalle 7 alle 11 di sera. La partecipazione è obbligatoria, pena l’espulsione dalla squadra, anche per chi non può ballare a causa di slogature o problemi muscolari. E la paga consiste in 150 dollari per ognuna delle dieci partite in cui è prevista la loro comparsa, oltre a qualche gettone di presenza per le partecipazioni a eventi pubblici.
I soldi non sono certo lo stimolo che le convince ad andare avanti.
“L’uniforme che vestono da loro uno status di celebrità”, osserva la coreografa della squadra Judy Trammel mentre dirige l’allenamento quotidiano in una palestra dello stadio. “Senza quella tornano ad essere ragazze della porta accanto”, aggiunge prima di sgridare un gruppo di ballerine che va leggermente fuori tempo.
Il processo di selezione per diventare cheerleaders con i Dallas Cowboys è durissimo. Ogni anno partecipano più di 600 ragazze, comprese quelle che fanno già parte della squadra. Tutte devono dimostrare di meritare il proprio posto. Ci sono quattro audizioni, un’interrogazione e un test scritto su materie che vanno dalla storia dei Dallas Cowboy alle scienze alimentari.
“Quando una televisione locale ha chiesto ad alcuni giocatori di fare il test del nostro esame, è risultato che sarebbero stati quasi tutti bocciati”, sottolinea Ilseng con un sorriso di soddisfazione.
Chi passa la prima fase è invitata a partecipare ad un corso di due mesi per la selezione finale, che prevede anche la somministrazione di un test antidroga. Le lezioni sono filmate e usate come soggetto per un reality show. E servono ai responsabili della squadra anche per valutare se la personalità delle aspiranti cheerleaders si adatta agli standard morali richiesti.
Alla fine, le candidate ammesse ricevono un manuale di regole e raccomandazioni: come comportarsi quando firmano autografi, rilasciano interviste, appaiono in pubblico e, in particolare, quando si esibiscono davanti alle truppe. Le ragazze sono consapevoli di rappresentare miraggi provocanti agli occhi dei soldati, ma devono affrontare il loro spettacolo pensando solo di “portare ai soldati un pezzo d’America per farli sentire a casa”, come sottolinea la capogruppo della squadra.
“Far parte delle Dallas Cowboys Cheerleaders è una scuola di vita”, osserva Trammell. “E chi entra deve imparare a comportarsi da signora in qualsiasi circostanza”, aggiunge prima di tornare a impartire ordini alle sue allieve.

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