giovedì 25 ottobre 2012

La tigre mi avvicina a Dio


Come si sopravvive 227 giorni su una scialuppa con una belva feroce? Questione di fede. Parola di Yann Martel, autore del romanzo Vita di Pi. Incredibile storia che un regista da Oscar ho reso un film  

"E’ raro che un prodotto della cultura di massa come un film parli di religione in modo positivo", esordisce Yann Martel. Lo scrittore ha l’aria soddisfatta. Entra nella camera del suo albergo newyorkese, si toglie le scarpe, siede a gambe incrociate ai piedi del letto e tira un sospiro di sollievo. Nel 2002 il suo Vita di Pi fu un bestseller internazionale e vinse il Booker Prize. Da allora Martel ha scritto altri romanzi ma non ha più bissato quel successo. Comprensibile, quindi, che oggi sia contento. È reduce dalla presentazione del film che Ang Lee ha tratto dal suo libro. Una fiaba per adulti, dove si racconta di un ragazzo indiano che si salva da un naufragio sopravvivendo 227 giorni su una zattera in compagnia di una tigre, una zebra, un orango e una iena. Come sarà riuscito il regista di I segreti di Brokeback Mountain e La tigre e il dragone a trasformare in immagini una storia tanto strampalata?
Altri prima di lui avevano dato forfait e l’impresa sembrava impossibile anche sulla carta. Ma la struttura da romanzo di formazione e temi eterni (e attuali) come fede, spiritualità e possibilità di coniugare, senza contrasti, i vari credo religiosi hanno trasformato il libro in un successo.
La sceneggiatura è fedele al libro, ma lei non vi ha collaborato. Sorpreso?
Un po’. Non mi aspettavo che fossero riprese anche le scene in cui il protagonista Pi mostra una spiritualità ecumenica che lo porta a venerare, nello stesso tempo, gli dei indù, il dio islamico e quello cristiano. Pur rimanendo un’avventura fantastica in 3D, anche il film può essere letto come una parabola esistenziale che valorizza la religiosità del protagonista. Al punto da vedere nella sua fede una delle chiavi che lo portano dal naufragio alla salvezza. Mi ha sorpreso che nel film siano state mantenute le parti in cui si parla di religione come modo per interpretare l’universo. Spero che questo faccia riflettere sul tema della spiritualità, anche solo per pochi minuti.
Il Quebec, da cui viene, è conosciuto per essere una regione molto laica.
Infatti. Da noi la religione è marginalizzata. In Canada non si parla mai di chiesa, tranne quando viene scoperto qualche scandalo o abuso sessuale. Ma questo non è un bene.
Perché?
Viviamo in una società cinica che pensa solo al profitto. Al netto di fanatismi e forzature, credo che esercitare lo spirito arricchisca interiormente. Un approccio troppo razionale rischia di limitarci. La religione, invece, ci spinge ad andare oltre. Questo rende le persone che la praticano più interessanti. È un po’ come la differenza fra chi legge molto e chi guarda solo la televisione: alla fine entrambi moriranno allo stesso modo. Ma quello che si è immerso nella letteratura si sarà posto domande più profonde.
Lei è sempre stato religioso?
No, sono cresciuto in una famiglia laica. I miei genitori mi hanno educato a vedere la vita attraverso il prisma dell’arte. I nostri templi erano i musei e l’unico motivo per cui si entrava in chiesa era per ammirarne l’architettura, i quadri e le sculture.
E quando lo è diventato?
Studiando per prepararmi a scrivere Vita di Pi. All’inizio ero semplicemente interessato a capire che cosa significa vivere da fedele. Iniziai a leggere i testi sacri e a frequentare templi indù, chiese e moschee. Lo facevo con il piglio dell’ornitologo che osserva una nuova specie di uccelli. Poi ho cominciato a fingere di avere fede anch’io, per calarmi nel personaggio. E ho finito per scoprire che il dialogo con il divino può dare grandi soddisfazioni.
Nel libro, Pi pratica induismo, islamismo e cristianesimo, facendo arrabbiare i sacerdoti di tutte e tre le religioni. Lei fa altrettanto?
No. La cultura in cui sono cresciuto è più vicina al cristianesimo, anche se ultimamente ho poco tempo per andare in chiesa. Non credo sia fondamentale frequentare i luoghi di culto per sentirsi religiosi, però non farlo è un peccato. Oggi quasi tutti gli spazi sono votati al profitto. Il fatto stesso che chiese e templi siano fuori dalle logiche commerciali li rende interessanti.
Le chiese però continuano a svuotarsi.
È vero: le gerarchie ecclesiastiche hanno perso il contatto con la gente. Da parte della Chiesa a volte sembra mancare la volontà di comunicare con i fedeli. Ma gli ideali della religione cristiana sono come la democrazia: si può essere cinici e criticarne il funzionamento, ma è difficile non condividerne i valori di fondo.
In quasi tutti i suoi libri usa gli animali come protagonisti. Perché?
Li considero strumenti letterari molto potenti. Una delle cose più difficili quando si scrive un romanzo è convincere il lettore a sospendere il proprio giudizio. Di solito la gente è molto cinica, ma davanti agli animali si meraviglia più facilmente. Un tempo li usavano in tanti: La Fontaine, London, Kafka, Orwell. Ora si trovano quasi solo nei libri per bambini. È un peccato, ma mi consente di avere poca concorrenza. Sto finendo un romanzo sul Portogallo che ha per protagonisti tre scimpanzé e un branco di rinoceronti... 

Pubblicato su Io Donna

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