Come si sopravvive 227 giorni su una scialuppa con una belva feroce? Questione di fede. Parola di Yann Martel, autore del romanzo Vita di Pi. Incredibile storia che un regista da Oscar ho reso un film   
"E’ raro che un prodotto della cultura di massa come
un film parli di religione in modo positivo", esordisce Yann Martel. Lo
scrittore ha l’aria soddisfatta. Entra nella camera del suo albergo newyorkese,
si toglie le scarpe, siede a gambe incrociate ai piedi del letto e tira un
sospiro di sollievo. Nel 2002 il suo Vita di Pi fu un bestseller
internazionale e vinse il Booker Prize. Da allora Martel ha scritto altri
romanzi ma non ha più bissato quel successo. Comprensibile, quindi, che oggi
sia contento. È reduce dalla presentazione del film che Ang Lee ha tratto dal
suo libro. Una fiaba per adulti, dove si racconta di un ragazzo indiano che si
salva da un naufragio sopravvivendo 227 giorni su una zattera in compagnia di
una tigre, una zebra, un orango e una iena. Come sarà
riuscito il regista di I
segreti di Brokeback Mountain e La
tigre e il dragone a trasformare in immagini una storia tanto strampalata?
Altri
prima di lui avevano dato forfait e l’impresa sembrava impossibile anche sulla
carta. Ma la struttura da romanzo di formazione e temi eterni (e attuali) come
fede, spiritualità e possibilità di coniugare, senza contrasti, i vari credo
religiosi hanno trasformato il libro in un successo. 
La sceneggiatura è fedele al libro, ma lei non vi ha collaborato.
Sorpreso?
Un po’. Non mi aspettavo
che fossero riprese anche le scene in cui il protagonista Pi mostra una
spiritualità ecumenica che lo porta a venerare, nello stesso tempo, gli dei indù,
il dio islamico e quello cristiano. Pur rimanendo un’avventura fantastica in
3D, anche il film può essere letto come una parabola esistenziale che valorizza
la religiosità del protagonista. Al punto da vedere nella sua fede una delle
chiavi che lo portano dal naufragio alla salvezza. Mi ha sorpreso che nel film siano state mantenute le parti in cui si
parla di religione come modo per interpretare l’universo. Spero che questo
faccia riflettere sul tema della spiritualità, anche solo per pochi minuti.
Il Quebec,
da cui viene, è conosciuto per essere una regione molto laica.
Infatti. Da noi la
religione è marginalizzata. In Canada non si parla mai di chiesa, tranne quando
viene scoperto qualche scandalo o abuso sessuale. Ma questo non è un bene.
Perché? 
Viviamo in una società
cinica che pensa solo al profitto. Al netto di fanatismi e forzature, credo che
esercitare lo spirito arricchisca interiormente. Un approccio troppo razionale
rischia di limitarci. La religione, invece, ci spinge ad andare oltre. Questo rende le persone che la praticano più
interessanti. È un po’ come la differenza fra chi legge molto e chi guarda solo
la televisione: alla fine entrambi moriranno allo stesso modo. Ma quello che si
è immerso nella letteratura si sarà posto domande più profonde.
Lei è sempre
stato religioso?
No, sono cresciuto in
una famiglia laica. I miei genitori mi hanno educato a vedere la vita
attraverso il prisma dell’arte. I nostri templi erano i musei e l’unico motivo
per cui si entrava in chiesa era per ammirarne l’architettura, i quadri e le
sculture.
E quando lo è
diventato?
Studiando per prepararmi
a scrivere Vita di
Pi.
All’inizio ero semplicemente interessato a capire che cosa significa vivere da
fedele. Iniziai a leggere i testi sacri e a frequentare templi indù, chiese e
moschee. Lo facevo con il piglio dell’ornitologo
che osserva una nuova specie di uccelli. Poi ho cominciato a fingere di avere
fede anch’io, per calarmi nel personaggio. E ho finito per scoprire che il
dialogo con il divino può dare grandi soddisfazioni.
Nel libro,
Pi pratica induismo, islamismo e cristianesimo, facendo arrabbiare i sacerdoti
di tutte e tre le religioni. Lei fa altrettanto? 
No.
La cultura in cui sono cresciuto è più vicina al cristianesimo, anche se
ultimamente ho poco tempo per andare in chiesa. Non credo sia fondamentale
frequentare i luoghi di culto per sentirsi religiosi, però non farlo è un
peccato. Oggi quasi tutti gli spazi sono votati al profitto. Il fatto stesso
che chiese e templi siano fuori dalle logiche commerciali li rende
interessanti.
Le chiese però continuano a svuotarsi.
È vero: le gerarchie
ecclesiastiche hanno perso il contatto con la gente. Da parte della Chiesa a
volte sembra mancare la volontà di comunicare con i fedeli. Ma gli ideali della
religione cristiana sono come la democrazia: si può essere cinici e criticarne
il funzionamento, ma è difficile non condividerne i valori di fondo.
In quasi
tutti i suoi libri usa gli animali come protagonisti. Perché?
Li considero strumenti
letterari molto potenti. Una delle cose più difficili quando si scrive un
romanzo è convincere il lettore a sospendere il proprio giudizio. Di solito la
gente è molto cinica, ma davanti agli animali si meraviglia più facilmente. Un
tempo li usavano in tanti: La Fontaine, London, Kafka, Orwell. Ora si trovano
quasi solo nei libri per bambini. È un peccato, ma mi consente di avere poca
concorrenza. Sto finendo un romanzo sul Portogallo che ha per protagonisti tre
scimpanzé e un branco di rinoceronti... 
Pubblicato su Io Donna 

Nessun commento:
Posta un commento