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Photo by Richard Phibbs |
In Italia, dove era venuta per studiare, è diventata una delle voci più ascoltate sulle questioni mediorientali. Poi l'amore l'ha portta a New York. E qui ora segue per una TV americana il duello tra Obama e Romney. Anche se presferiscew guardaqre ancora più avanti.
Rula
Jebreal ha passato buona parte dei 15 anni trascorsi in Italia facendo domande e
raccogliendo voci per giornali e tv: La7 che l’ha lanciata come giornalista e
poi Anno Zero, con Michele Santoro, che l’ha consacrata. Ma da quando si è
trasferita a New York, per seguire nel 2009 Julian Schnabel, l’artista e
regista oggi suo ex fidanzato, i ruoli si sono invertiti. Oggi la trentanovenne
giornalista e scrittrice passa la maggior parte del tempo a rispondere su
questioni mediorientali e italiane. Le origini, è nata ad Haifa nel 1973 in una
famiglia palestinese, e l’esperienza nel Belpaese la rendono un interlocutore
prezioso.
"Mi
occupo di Medio Oriente ma mi presentano come giornalista italo-palestinese e
spesso mi chiedono dell’Italia", dice addentando una pizza in un ristorante di
Manhattan. "Rispecchia molto come mi sento: mangio italiano, vesto italiano e
mi dicono perfino che parlo inglese con accento italiano".
Qui
a New York ha trovato una casa, che potrebbe essere quella della vita. Da pochi
mesi ha traslocato dall’eccentrica dimora che divideva con Schnabel, che due
anni fa ha diretto Miral, film tratto dal romanzo autobiografico da lei
pubblicato nel 2004. Adesso Rula vive in un appartamento nel cuore del Village
con la figlia sedicenne avuta dall’artista Davide Rivalta. New York le ha dato
nuova energia, aprendole molte porte. Come quella di Msnbc, principale network
liberal della tv americana, per cui segue la campagna elettorale per la Casa
Bianca.
Come ci si sente dall’altra parte
della barricata?
“Fare
domande resta la mia passione principale. Non mi stanco mai. Ma rispondere mi
diverte molto”.
Cominciamo
subito. Che cosa pensa di Mitt Romney?
Photo by Richard Phibbs |
“Quando
apre bocca fa danni. Soprattutto ogni volta che deve affrontare temi legati
alla politica estera sembra un dilettante allo sbaraglio. D’altronde è
consigliato dagli stessi architetti della strategia di George W. Bush”.
E di Obama?
“Ha
un approccio più saggio e collaboratori più rodati. Tra tutti Hillary Clinton.
Come Segretario di Stato ha dimostrato grande capacità nell’orchestrare il
teatro della diplomazia internazionale”.
E quindi dà per scontato che se Obama
vince, lei sarà di nuovo Segretario di Stato?
“Non lo so, ma non credo. Ha dichiarato pubblicamente che
nel suo futuro vede beaches&speeches, spiagge e discorsi. Immagino voglia
riposarsi. E soprattutto
avere il tempo per preparare la sua
candidatura alle presidenziali del 2016”.
Vede
astri nascenti femminili nella politica americana?
“Ho l’impressione, e un po’ mi auguro, che
Michelle Obama potrebbe candidarsi a qualche carica pubblica quando finirà di
essere First Lady. Ha dimostrato di avere grande carisma e dubito che, lasciata
la Casa Bianca, voglia tornare a Chicago alla vita di prima. Una donna che
consiglio di tenere d’occhio è Elizabeth Warren. Fa l’avvocato e, quando è
esplosa la crisi economica, ha ideato l’agenzia federale per la Protezione
Finanziaria dei Consumatori. Certo, dipende anche da chi vince. Ma ce ne sono
molte altre: il futuro dell’America sarà molto femminile”.
Un
pronostico per queste elezioni?
“È difficile, tenga presente che la
principale preoccupazione degli elettori è sempre l’economia. Tutti votano con
una mano sul portafoglio. Il dibattito sul risanamento del debito pubblico è
stato cruciale. E poi questa è una campagna molto particolare. Non c’è mai
stato un uso dei soldi così spregiudicato nella storia delle votazioni
americane. Lo sa che con una sentenza del 2010 la Corte Suprema ha autorizzato l’uso
da parte dei candidati di somme illimitate di denaro di provenienza anonima? Mi
scusi, non riesco a smettere di fare domande... La sentenza ha creato un
precedente pericoloso. La concentrazione di potere economico nelle mani di
pochi non giova mai alla democrazia”.
Ha paura che si possa compromettere
la democrazia americana?
“Non necessariamente. Ho fiducia che gli Stati Uniti
riusciranno a trovare una soluzione. L’America è da sempre capace di cambiare
con rapidità. Qui sono molto meno ideologici e ingessati rispetto all’Europa e
al Medio Oriente”.
A proposito, che effetto ha la corsa
alla Casa Bianca sulla questione israelo-palestinese? “Nessuno. L’America è filoisraeliana e lo
sarà sempre. A prescindere da chi c’è alla Casa Bianca. Finché Israele non si
mostrerà interessato al processo di pace, Washington non lo forzerà.
Sbagliando, dal mio punto vista. Perché nel lungo periodo gli israeliani
avranno bisogno di arrivare a patti con i palestinesi. Anche per proteggersi
dai Paesi circostanti che, non essendo più governati da dittature, dovranno
rispondere alle pressioni popolari che li spingono a prendere posizione a
favore dei fratelli arabi”.
Immagino si riferisca ai Paesi della
Primavera araba. Secondo lei riusciranno a diventare democrazie? A giudicare
dagli avvenimenti più recenti, quelli innescati dal film americano anti
Maometto, sembra che la situazione non sia troppo tranquilla.
“Il
voto libero non si traduce immediatamente in una società libera, c’è bisogno di
tempo. Una volta che la tigre democratica è fuori, però, è impossibile
rimetterla in gabbia. È anacronistico pensare d’imporre nuovi dittatori e, se
si dovesse tentare, il caos che seguirebbe sarebbe anche peggiore”.
Come in Siria?
Sì,
dove Bashar al-Assad ha finto di voler riformare il regime senza cambiare
nulla. Ho cominciato a denunciare nel 2002 le false promesse d’apertura di
Damasco. Ma l’Occidente l’ha capito dopo. Quando nel 2011 Vogue Usa ha
pubblicato un articolo sulla moglie di Assad intolato Una rosa nel deserto, mi
è venuto il voltastomaco leggendolo”.
Torniamo al nostro Paese: com’è visto
da questa parte dell’Oceano?
“Da quando c’è Mario Monti, la situazione è migliorata.
Prima tutti ridevano e a me piangeva il cuore, perché considero pur sempre
l’Italia come il mio Paese”.
Una possibile ricandidatura di Silvio
Berlusconi come sarebbe vissuta?
“Francamente...
il mondo sarebbe incredulo. Ed è terribile, quando la politica rischia di
diventare uno scherzo”.
Le viene mai voglia di tornare in
Italia?
“Non ora. Mi trovo troppo bene negli Stati Uniti perché le
donne sono viste diversamente. Tutta l’attenzione all’estetica che c’è in
Italia, qui non c’è. Prevale l’idea che a qualsiasi età puoi avere qualcosa da
offrire. Questo mi ha aiutato ad avere più fiducia in me stessa”.
E quindi vive bene l’avvicinarsi dei
40 anni?
“Molto. Ho più energie e ambizioni ora di quando ne avevo
20”.
Giornalista, analista politica,
scrittrice, sceneggiatrice... Si ferma qui?
“Non mi dispiacerebbe lavorare come regista. Il cinema è
un medium potente e un film può avere un impatto molto più incisivo di un articolo
di giornale. Però al momento sto lavorando a un romanzo sul rapporto corrotto
fra i mezzi di comunicazione e la politica. Ma di più non le dico. Rischierei
di corrompere anche lei….”
Pubblicato su Amica
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