![]() |
Sachs nel suo studio (foto S. Howe) |
Pubblicato su Casa Vogue:
Dall’esterno, lo studio newyorkese dello scultore Tom Sachs sembra un’officina anonima, con una grata di ferro battuto che difende il piccolo ingresso al piano terra di un vecchio palazzo di SoHo. Varcata la soglia, però, l’eccentricità del posto colpisce l’occhio: i visitatori sono accolti da un mezzobusto di Dart Vader e ricevono una targhetta adesiva da applicare al petto con nome e foto, incorniciati dai simboli della Nasa e del governo americano.Qualche tempo fa, l’artista ha riprodotto nel suo studio lo sbarco sulla Luna e ha mantenuto alcune vestigia dell’impresa. Lo spazio è enorme per gli standard newyorkesi: circa 500 metri quadrati distribuiti su tre livelli, disseminati d’installazioni, materiali e attrezzi d’ogni genere. Nonostante l’abbondanza di oggetti, il laboratorio è un esempio d’ordine. Ci sono decine di cassetti e ripostigli divisi meticolosamente in base ai contenuti: viti, bulloni, punte dei trapani, cacciaviti sono ordinati per tipologia e riposti secondo un codice di colori. Anche i pennarelli sono perfettamente allineati in rastrelliere di legno costruite apposta.
Dall’esterno, lo studio newyorkese dello scultore Tom Sachs sembra un’officina anonima, con una grata di ferro battuto che difende il piccolo ingresso al piano terra di un vecchio palazzo di SoHo. Varcata la soglia, però, l’eccentricità del posto colpisce l’occhio: i visitatori sono accolti da un mezzobusto di Dart Vader e ricevono una targhetta adesiva da applicare al petto con nome e foto, incorniciati dai simboli della Nasa e del governo americano.Qualche tempo fa, l’artista ha riprodotto nel suo studio lo sbarco sulla Luna e ha mantenuto alcune vestigia dell’impresa. Lo spazio è enorme per gli standard newyorkesi: circa 500 metri quadrati distribuiti su tre livelli, disseminati d’installazioni, materiali e attrezzi d’ogni genere. Nonostante l’abbondanza di oggetti, il laboratorio è un esempio d’ordine. Ci sono decine di cassetti e ripostigli divisi meticolosamente in base ai contenuti: viti, bulloni, punte dei trapani, cacciaviti sono ordinati per tipologia e riposti secondo un codice di colori. Anche i pennarelli sono perfettamente allineati in rastrelliere di legno costruite apposta.
Appare subito chiaro che disciplina e ordine sono i principi che regolano la vita del laboratorio. E le parole del padrone di casa non fanno altro che rafforzare quest’impressione.
“Prima di entrare avete dato un’occhiata al video sulle regole dello studio?”, s’informa Sachs dopo aver salutato i nuovi arrivati. La domanda è rivolta in modo particolare agli assistenti della fotografa venuta nel suo atelier per ritrarlo. I due uomini stanno disponendo le loro attrezzature sul pavimento senza alcun ordine preciso. Sachs li osserva con sguardo inorridito. “Evidentemente il concetto di knolling vi è sconosciuto”, aggiunge con tono fra l’ironico e il rassegnato. L’artista newyorkese allude al metodo per riordinare gli oggetti secondo assi parallele o perpendicolari divenuto ormai il suo marchio di fabbrica. Il termine è ispirato ai mobili della Knoll, famosi per le loro forme squadrate, ed è illustrato in un video pubblicato sul suo sito (www.tomsachs.org).
“Mantenere un certo ordine per me è prima di tutto una questione di sopravvivenza: odio dover interrompere il lavoro perché non trovo un attrezzo di cui ho bisogno”, dice lo scultore quarantenne quando gli chiediamo della sua metodicità. “Ma c’è qualcosa che va oltre la questione puramente pragmatica”.
Per certi artisti l’atelier rappresenta solo uno spazio fisico in cui realizzare i propri lavori. Sachs invece lo considera parte integrante della sua opera, e dedica al suo sviluppo lo stesso tempo che dedica alla realizzazione delle sue sculture. Al punto che a volte diventa difficile capire dove comincia l’arte e finisce l’architettura.
“Il mio intento era mescolare i due aspetti in modo armonico”, dice Sachs, che ha una laurea in architettura e per anni ha lavorando nello studio di Frank Gehry realizzando i modellini dei progetti dell’archistar canadese.
“E’ stato come nel film Karate Kid, quando il maestro d’arti marziali impone al suo allievo di mettere la cera e togliere la cera: fare modellini per Gehry mi ha dato le basi per sviluppare la mia creatività in modo professionale”.
Sachs ci riceve con indosso una Lacoste a maniche lunghe con la sua firma ricamata sotto il coccodrillo. Mentre gli otto assistenti che si affaccendano intorno a lui nello studio vestono camici bianchi con il logo della Nasa. Giocare con marchi e simboli del consumismo è sempre stato nelle sue corde: quando era ancora poco conosciuto, creò un presepe sostituendo i re magi con i personaggi dei Simpson e la Madonna con Hello Kitty; e alla sua prima mostra importante presentò ghigliottine, pistole e bombe a mano realizzate con i brand di case di moda come Prada e Hermes.
Sachs ama sovvertire regole e immagini del mondo esterno. Ma quando si tratta delle sue regole interne, non permette sgarri.
“La gente crede che gli artisti siano disordinati per definizione. Ma se la creatività è unita all’ordine, diventa come la salsa piccante: ne basta poca per andare avanti tanto. La magia si crea quando le idee più bizzarre si costruiscono su basi solide”.
Per questo all’interno del suo regno niente è lasciato al caso. E’ come se l’artista avesse impresso dovunque il suo marchio, manipolando gli ambienti con le stesse doti di bricolage che l’hanno reso famoso come scultore. Ha aggiunto soppalchi, creato ripostigli, costruito mobili. Persino la macchinetta del caffè Lavazza è stata personalizzata: spogliata della struttura esterna, è stata sistemata in un nuovo involucro di legno con l’aggiunta di un filtro per l’acqua e una foto porno, visibile solo da chi fa il caffè.
“Amo costruire le cose. L’unica volta che ho progettato una scultura e l’ho fatta realizzare da un laboratorio esterno è stato un fallimento”.
Nello studio vigono regole precise sui materiali che si possono utilizzare: scotch ma solo quello trasparente (“Perché con il tempo ingiallisce e risalta di più”), un certo tipo di compensato e viti con la testa nera (“Questione estetica”). E su quelli vietati, come il cartongesso (“Non lo sopporto”), le viti cromate, e le profilature per rifinire gli stipiti. Ci sono anche rigide norme su come realizzare i lavori (“Mai dipingere una superficie dopo averla tagliata o modellata, né usare stucco per riempire le intercapedini”).
La logica è che il processo di realizzazione di un progetto resti sempre visibile all’osservatore esterno.
“Nelle mie opere come nel mio studio, preferisco mostrare le imperfezioni piuttosto che nasconderle”, dice mostrando ad esempio una macchia lasciata in una parete di legno riparata con la resina.
Questo desiderio di trasparenza viene declinato in diversi modi.
Il laboratorio ha tre grandi ambienti collegati da un dedalo di soppalchi, scale e passaggi stretti in cui può capitare di sbattere la testa. In corrispondenza dei punti più pericolosi, ci sono decine di segni scarabocchiati sulla parete, come quelli fatti dai carcerati per scandire il passare dei giorni. E ogni volta che qualcuno picchia inavvertitamente la testa, Sachs si affretta subito ad aggiungere una stanghetta alla parete.
“Ti obbliga a confrontarti con il fatto che è già capitato”, dice sorridendo. “Oltre naturalmente a servire per distrarre la mente, aspettando che passi il dolore”.
Sachs è molto disciplinato anche nei suoi ritmi di lavoro. Passa una media di dieci ore al giorno in studio e compila in continuazione liste di cose da fare.
“L’idea dell’artista tutto talento e poco lavoro è solo un mito”, dice mostrando i tagli sulle mani logorate. “A volte mi piacerebbe sentirmi più libero, ma so che i miei progetti richiedono il massimo impegno”.
Per aiutarsi a mantenere la disciplina nello studio, Sachs ha creato un sistema di multe. L’idea viene dal cantante soul James Brown. In passato lo scultore gli ha dedicato una serie di opere e, studiando la sua biografia, ha scoperto che il musicista era rinomato per le multe comminate ai collaboratori. Per dare l’esempio, Sachs giura di aver multato più volte anche se stesso. E assicura che i soldi raccolti sono sempre utilizzati per organizzare feste memorabili nello studio, “perché in mezzo alla disciplina ci deve sempre una buona dose di divertimento”.
Nessun commento:
Posta un commento