Pubblicato su L'Officiel Hommes:
Per aggiudicarsi il suo primo ruolo cinematografico, Luca Marinelli ha accettato di ingrassare sedici chili. Per il secondo, ha dovuto depilarsi tutto il corpo e imparare a camminare su tacchi alti più di venti centimetri.
“Se credo nella parte, non c’è niente che non sia disposto a fare”, dice il protagonista ventiseienne de La solitudine dei numeri primi, il film di Saverio Costanzo presentato all’edizione dello scorso anno della Mostra del Cinema di Venezia.
Per interpretare il ruolo di un ragazzo divorato dal senso di colpa a causa di un incidente accaduto alla sorella, Marinelli non ha esitato a rovinarsi il fisico atletico ingozzandosi di grassi e carboidrati, e rinunciando a qualsiasi attività per tre mesi. Appena ha potuto, ha ricominciato a correre per perdere i chili di troppo. Fra calcio e nuoto è sempre stato abituato a fare sport. Ma l’immobilità forzata gli aveva atrofizzato i muscoli, e al termine delle prime corse finiva invariabilmente col vomitare l’anima per lo sforzo. Dopo un mese d’intenso esercizio, però, aveva già riperso il suo peso forma.
“Cambiare il tuo corpo ti fa sentire più vulnerabile e diventi preda di timori irrazionali: quando ero grasso avevo paura di morire ogni volta che affrontavo delle scale, quando ero glabro avevo paura che le sopracciglia non mi ricrescessero più”, dice l’attore mentre mangia un’insalata seduto al bar del Palazzo della Triennale di Milano. “Ma è sempre un’esperienza molto interessante”, prosegue accarezzandosi distrattamente i peli dell’avambraccio ancora in ricrescita dalla fine delle riprese de L’ultimo terrestre, film che uscirà l’anno prossimo firmato da Gipi, illustratore italiano al suo debutto dietro la cinepresa. E’ una storia d’amore ambientata sullo sfondo di un’invasione di extraterrestri, in cui Marinelli interpreta il ruolo di un travestito amico del protagonista. Per prepararsi alla parte, l’attore si è guardato decine di filmati di crossdresser e transgender e ha dovuto esercitarsi per ore camminando con trampoli stravaganti al posto delle scarpe.
“Mi è stato detto che, come donna, mi muovo bene e sono piuttosto bella. Insomma, l’esperienza mi ha dato una certa soddisfazione”, scherza ammiccando con gli occhi grigio-azzurri.
Rispetto al debutto cinematografico della Solitudine dei numeri primi, questo nuovo film gli offre un ruolo e una visibilità minori. Ma di questo Marinelli non si preoccupa. Sa di essere stato molto fortunato a finire sul tappeto rosso di uno dei Festival più importanti del mondo con il primo film. E si sentirebbe quasi più tranquillo se la sua carriera dovesse proseguire in modo più graduale.
“E’ stato talmente fulmineo che non ero preparato. Venezia è stata un’esperienza stupenda ma ero nel panico. La sera tornavo a casa con un mal di testa terribile, mi sembrava di avere due viti strette nel cranio. Mi sentivo quasi in difetto a iniziare in maniera così grandiosa. E ora sono contento di ricominciare piano”.
Marinelli ha finito il liceo classico nel 2006 e si è diplomato tre anni dopo all’Accademia di arte drammatica Silvio D’Amico di Roma. Prima di essere scelto da Costanzo per il lungometraggio che gli ha regalato notorietà presso il pubblico, aveva già interpretato diversi ruoli a teatro con registi come Carlo Cecchi e Michele Monetta. Suo padre, attore e doppiatore di film, cercò di iniziarlo fin da bambino al mondo dello spettacolo, senza ottenere grandi risultati. Gli aveva fatto doppiare le voci di Tip e Tap, i nipoti di Topolino dei cartoni animati, e gli aveva proposto qualche ruolo a livello amatoriale. Pur essendo affascinato dal mestiere, però, il figlio, non si sentiva tagliato per fare l’attore.
“Da bambino ero timido. Mi piaceva essere al centro dell’attenzione, ma solo con persone con cui avevo molta confidenza. Più che essere osservato, m’interessava osservare le vite degli altri. Non quelle presenti, ma quelle passate”.
Finito il liceo, Marinelli si è iscritto alla facoltà di archeologia di Roma. Ma dopo due mesi in cui ha frequentato solo lezioni che con il suo corso non centravano nulla, si è reso conto che l’università non faceva per lui e si è buttato nella recitazione, vincendo le paure che si portava dentro fin da piccolo. Ancora oggi, però, conserva una parte di quella timidezza. Al punto che, tutte le volte che sta per salire sul palcoscenico, deve ricorrere a piccoli riti esorcizzanti per ridurre la tensione e annullare i pensieri. E quando gli chiediamo come si sente a raccontare di sé a un perfetto sconosciuto, confessa di essere un poco nervoso.
“E’ la mia seconda intervista. Dalla prima sono uscito come una specie di psicolabile. Spero che questa volta vada meglio”, scherza.
Ha male al collo per una caduta avvenuta pochi giorni prima e muove il busto in maniera leggermente rigida. È saltato a piè pari sulla palla schiantandosi a terra durante una partita di “calciotto”, il calcetto a otto che va per la maggiore a Roma, la città dove è nato e cresciuto. Ogni volta che gira la testa fa una smorfia di dolore. A parte questo, Marinelli sembra essere piuttosto a suo agio, e non ricorre a frasi fatte e cliché. Né prova a nascondersi dietro a personaggi ricercati: veste con una camicia blu, pantaloni verdi militari e giacca marrone, in uno stile che definisce semplicemente “da uomo”, fatto di capi scovati fra negozi vintage e bancarelle dell’usato più che nelle boutique delle grandi firme. Ama scorrazzare con la sua moto, anche se ammette che la gita più lunga che ha fatto è stata da Roma a Fregene per con un amico. E appena ha un momento libero prende il suo cane Nonò, un bassotto trovatello che lo segue anche in tournée, e lo porta in giro per la capitale a fare lunghe passeggiate in compagnia di Sandy, il cane che vive in casa dei suoi genitori.
Pur essendo consapevole delle difficoltà e delle incertezze cui rischia di andare incontro nella sua professione, parla dei suoi sogni con passione e senza angoscia. Vorrebbe portare avanti un progetto da regista ed è entusiasta della collaborazione con Cecchi nel Sogno di una notte di mezza estate, pièce con cui girerà l’Italia fra Novembre e Febbraio.
“So che quello dell’attore è un lavoro ad altissimo rischio di fallimento e depressione, ma per il momento cerco di vivermi al meglio questo momento fortunato”.
Marinelli non è religioso, ma è particolarmente affascinato dalla figura di Cristo. Ama leggere libri e vedere film che raccontano il nazareno nella sua dimensione umana (dal Vangelo secondo Matteo di Pasolini all’Ultima tentazione di Cristo di Scorsese), perché quando vede un miracolo sente “odore di bruciato” e si distrae immediatamente.
“La storia di Gesù, inteso come semplice persona, è una prova delle cose meravigliose di cui è capace l’uomo. E studiarla serve per capire quanto noi viviamo lontani dall’esempio che ci è stato dato”.
Fra i sogni nel cassetto, rimane quello di lavorare con Eimuntas Nekrošius, regista teatrale lituano che recentemente ha messo in scena il Caligula di Albert Camus a Roma. E con Pedro Almodovar, il maestro del cinema spagnolo di cui conosce bene la lingua. Il padre di Marinelli, infatti, ha trascorso l’infanzia in Argentina e ha trasmesso al figlio l’amore per lo spagnolo, che Luca parla con una leggera inflessione sudamericana.
Certo, la situazione in Italia per gli attori alle prime armi non è rassicurante. La maggior parte dei suoi compagni di Accademia sta ancora cercando lavoro. I più fortunati guadagnano qualche euro recitando a teatro o facendo fiction massacranti per il fisico e demoralizzanti per lo spirito. Gli altri tirano a campare con impieghi alternativi in attesa di essere scoperti.
“Io sto lavorando, ma non perché sono il più bravo fra quelli usciti dalla mia classe. Conta tanto la fortuna. In Italia l’ambiente è chiuso e ci sono pochi soldi. All’estero invece sembra che quest’arte sia ben più accessibile”.
La sua risposta è interrotta da uno strano sospiro che pare un canto di balena. È la suoneria del suo cellulare, una ricostruzione delle musiche originali usate nella tragedia greca. Marinelli non risponde, ma comincia a dare segni d’inquietudine. Ha notato che il Palazzo della Triennale ospita una mostra di ritratti di Pasolini che vorrebbe vedere. Gli è rimasto poco tempo, ma adora il poeta e insiste per entrare.
All’interno dell’esposizione, osserva le foto in bianco e nero scattate da Dino Pedriali nel 1975 che mostrano l’artista intento a leggere nella sua villa di Chia, scrivere su una Olivetti 22 e passeggiare su un ponte di Sabaudia con i capelli scomposti dal vento. Poi si ferma davanti ad una foto di Pasolini nudo, ritratto nella sua camera da letto.
“Che uomo affascinate, in questa immagine mi ricorda il cattivo tenente del film di Abel Ferrara”, dice dirigendosi verso l’uscita. Poi, inaspettatamente, si rivolge al suo intervistatore e gli chiede col tono sollevato di chi sa di aver concluso un’impresa: “Prof, com’è andato l’esame?”.
“Le darei un bel ventotto”, gli rispondiamo stando al gioco.
“Va bene, l’accetto”.
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