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Photo by Jean-Baptiste Mondino |
Intervista all'artista serba alla vigilia dell'apertura della sua prima performance dopo la retrospettiva del Moma di New York
A giudicare dalle performance che l’hanno
resa celebre in tutto il mondo, Marina Abramović può sembrare una persona ascetica e
seriosa. Nel 1997 ha vinto un Leone d’Oro alla Biennale di Venezia pulendo un
cumulo d’ossa di animali, simbolo delle atrocità delle guerre avvenute nella sua
nativa Iugoslavia; nel 2002 si è rinchiusa per 12 giorni nella teca di una galleria
senza mangiare. E nel 2010 è rimasta immobile per più di 700 ore a fissare
negli occhi il pubblico del Moma di New York. Quando la s’incontra di persona,
però, appare subito chiaro che dietro questi lavori estremi si nasconde una
donna solare che ha voglia di ridere e scherzare, adora la moda e l’arredamento
di design. Fino a qualche tempo fa, Abramović tendeva a nascondere questi lati del suo carattere per paura di compromettere
il suo ruolo di artista impegnata. Oggi, invece, sa di non aver più bisogno di
dimostrare nulla e si sente libera di esporre anche i suoi lati più umani.